Cosa sono le comunità energetiche, la rivoluzione dal basso delle rinnovabili
Cosa sono e come funzionano le comunità energetiche. E perché sono il futuro
L’energia è il tema portante e più importante per riuscire a scardinare lo status quo e provare a costruire un mondo di pace, abitato in modo sostenibile. Una verità che ci hanno scaraventato in faccia sia la guerra in Ucraina che i continui record legati al riscaldamento globale, dalle ondate di caldo alla siccità. C’è sempre più bisogno di energia pulita, accessibile a tutti, condivisa e creata in modo orizzontale. Dal basso.
Un contesto sociale, economico, finanche geopolitico perfetto per portare a uno sviluppo massivo delle comunità energetiche rinnovabili. Ovvero dare la possibilità alle persone di associarsi in un gruppo locale di cittadini, enti pubblici o privati, attività commerciali per costruire sistemi e impianti da fonti rinnovabili che mettano in condivisione l’energia autoprodotta. E soddisfare così il proprio fabbisogno. Una produzione che si definisce “di prossimità”. Fatta in casa, o al massimo nel quartiere.
Uno scenario innovativo, quasi rivoluzionario dal punto di vista energetico e – appunto – pacifico. Perché stimola la cooperazione in un momento storico in cui la produzione centralizzata e gestita da poche, grandi aziende che perlopiù si affidano ancora ai combustibili fossili (gas, petrolio e carbone) non è più sostenibile. Da nessun punto di vista: ambientale, economico e sociale.
Le comunità energeticheCome funziona una comunità energetica rinnovabile
Un sistema che, oltre a decentralizzare la produzione di elettricità, cambia completamente anche la gestione della rete che la distribuisce. Rilanciando le smart grid. Reti intelligenti dotate di sensori e di sistemi di monitoraggio e comunicazione che fanno interagire direttamente gli utenti con il gestore della rete. Monitorando produzioni e consumi in tempo reale (e non a cadenze mensili come succedeva per i vecchi contatori). Così da consentire che il flusso di energia sia efficiente e multidirezionale. Che faccia fronte a eccessi di domanda prevenendo possibili blackout o evitando sprechi quando la domanda di energia diminuisce. Le reti elettriche costruite in passato, invece, vedono l’energia muoversi in una direzione sola: dalla mega-centrale alle utenze domestiche o commerciali. E per questo è difficile avere il polso dei consumi reali.
Un connubio, quello tra comunità energetiche e smart grid, che rende la produzione di energia rinnovabile sostenibile anche dal punto di vista dell’affidabilità. L’unico vero tema su cui eolico e fotovoltaico vengono messi in discussione, infatti, è l’intermittenza nella generazione elettrica.
Un esempio di comunità energetica
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Le norme europee e italiane che regolano le comunità energetiche
Questa “rivoluzione” è disciplinata a livello europeo dalla direttiva sull’energia rinnovabile (Renewable Energy Directive, RED II, 2018/2001/Ue), adottata nel 2009 e aggiornata nel 2018. Che definisce il quadro legale per lo sviluppo delle fonti di energia pulite in ogni settore economico dell’Unione europea.
Una delle comunità energetiche più note è quella di Jühnde in Germania. Si chiama Bioenergy Village ed è un progetto nato nel 2004 grazie alla collaborazione tra la cooperativa locale e l’università di Göttingen. È costituita da una caldaia a cippato da 550 kilowatt (kW) che viene utilizzata in inverno per fornire il riscaldamento. Inoltre, è dotata di un sistema di cogenerazione a biogas da 700 kW. In questo modo gli abitanti della comunità sono in grado di generare fino al 70% del calore necessario. E fino al doppio dell’elettricità di cui hanno bisogno. Ovviamente il surplus viene ceduto alla rete.
In Italia questa direttiva è stata recepita nel 2020 e ha dato vita allo sviluppo di numerose comunità. Come la Geco, Green energy community, la prima dell’Emilia-Romagna. Partita nel 2019, si trova a Bologna, nei quartieri Pilastro e Roveri. Mette in condivisione l’energia per 7.500 abitanti, 1.400 dei quali abitano in alloggi sociali, e per la zona commerciale di 200mila metri quadrati che ospita il parco (Fico) e il centro agroalimentari della città (il Caab). E un’area industriale di oltre un milione di metri quadrati. Nello specifico è stato installato un sistema fotovoltaico da 200 kW, un sistema di accumulo e un impianto a biogas per il trattamento dei rifiuti organici con accumulo.
Vantaggi economici e ambientali
Tutto questo ovviamente crea benefici in bolletta. Perché si riducono i costi, in particolare quelli variabili come l’energia consumata e gli oneri di rete con imposte (come accise e iva) collegate. Produrre energia con un impianto fotovoltaico può diventare persino remunerativo alla luce delle agevolazioni fiscali e degli incentivi statali che possono subentrare. Realizzare un impianto fotovoltaico sul tetto di un edificio, infatti, è considerato un intervento di ristrutturazione edilizia e per questo consente l’accesso alle agevolazioni fiscali.
E poi ci sono i benefici ambientali. È quasi automatica la riduzione delle emissioni di polveri sottili, che causano inquinamento dell’aria – specie nei periodi invernali quando è alto il consumo di metano per il riscaldamento – e di gas a effetto serra, quali il biossido di carbonio, che sono responsabili del riscaldamento globale e della crisi climatica.
Nessuna scusa, questa è la direzione giusta
Il futuro, dunque, passa da qui. Da comunità che puntano su una forma di autarchia positiva per risolvere gran parte dei problemi che la nostra e le future generazioni devono affrontare per costruire un sistema sostenibile e in equilibrio con le risorse rinnovabili che ci mette a disposizione, ogni anno, questo Pianeta. L’unico che abbiamo.