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Contro la lobby della plastica, occhi aperti e impegno civico

L'introduzione della plastica più di 50 anni fa fu una rivoluzione dei costumi. Ora ne occorre un'altra che releghi questo materiale nel passato.

Francesco Ferrante
Francesco Ferrante
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Forse finalmente ci siamo. La consapevolezza che non è più sostenibile – nel pieno senso della parola – la quantità di plastica che invade il nostro ambiente, e in particolare i nostri mari, si sta facendo strada. Non solo grazie alle campagne delle associazioni ambientaliste, ma anche nelle sedi delle istituzioni internazionali. Dalle Nazioni Unite alla Commissione europea, e persino sui giornali mainstream che ne fanno oggetto – seppur con qualche forse inevitabile approssimazione – di campagne d’informazione.

Il momento di una nuova rivoluzione

Era ora. Ci separa infatti oltre mezzo secolo dalla trionfale entrata nelle nostre case della plastica sull’onda della geniale invenzione del premio Nobel Giulio Natta. Una rivoluzione dei costumi che accompagnò una rivoluzione industriale asse portante di quello che nel nostro Paese fu il boom economico degli anni Sessanta. Ora è giunto il momento di farne un’altra di rivoluzione e ridurre in maniera drastica l’uso della plastica, e di cancellarne del tutto l’utilizzo quando se ne può fare tranquillamente a meno.

Questo dossier di Valori è come al solito pieno di ricerche puntuali con numeri e fatti sull’impatto devastante che ha ormai la plastica in ogni parte del Pianeta, sugli extra-profitti che che ne ricavano pochi soggetti, sulla imponente lobby che a livello internazionale si mobilita per difenderne l’(ab)uso.

Ma, un po’ come nel caso dei cambiamenti climatici, il combinato disposto della pressione che proviene dalla difesa non più eludibile del nostro ecosistema e le innovazioni tecnologiche che consentono il recupero di materia a costi sempre più convenienti e la sostituzione con materiali più sostenibili e di origine rinnovabile e non fossile, ci consente di accelerare e imboccare una strada più pulita per il futuro.

Addio al monouso, via senza ritorno

Riciclare é senz’altro utile ed è indispensabile stabilire regole affinché sin dal loro design tutti gli oggetti siano facilmente riciclabili, ne sia resa obbligatoria la raccolta differenziata fissando obiettivi sempre più sfidanti, e ne sia promosso il riutilizzo in tutte le maniere possibili (dalla leva fiscale agli appalti verdi). Ma va detto chiaramente che alcune cose non si possono proprio più fare con la plastica. Abbandonare “l’usa e getta” deve essere una via senza ritorno e la parola d’ordine deve essere “ridurre”. Quindi la strada imboccata dalla Commissione Ue contro la Single Use Plastic (SUP) con la proposta della nuova direttiva che per esempio prevede il divieto della produzione e della commercializzazione delle stoviglie monouso, è senz’altro quella corretta.

La lungimiranza dell’Italia

D’altra parte – per una volta almeno – il nostro Paese è all’avanguardia in questa battaglia. Siamo stati i primi infatti a introdurre, già con un emendamento alla Finanziaria del 2007, il divieto di utilizzo delle buste per la spesa che non fossero biodegradabili e compostabili. Quel divieto dopo svariate vicissitudini burocratiche e tentavi di ostacolo da parte delle solite lobby è in vigore dal 2013.

Introducemmo quella novità legislativa con tre scopi: ridurre l’impatto della plastica e di quei sacchetti, promuovere stili di vita più corretti (con l’uso della sporta riutilizzabile), e incentivare una nuova rivoluzione industriale – la chimica verde – che grazie appunto all’innovazione tecnologica consentiva di produrre sacchetti compostabili da fonte vegetale rinnovabile (non fossile quindi) che una volta finita la loro vita utile potevano essere utilizzati per raccogliere l’organico della raccolta differenziata.

Le novità per il futuro

Risultati raggiunti. Almeno in parte perché la diffusa illegalità impedisce di essere del tutto soddisfatti. Ma la strada è quella. E infatti – alla fine dello scorso anno, grazie all’impegno di Ermete Realacci, la legislazione italiana ha fatto un’ulteriore passo avanti. Anticipando anche in questo caso le scelte internazionali, ha introdotto il divieto di cotton fioc non biodegradabili dal 2019 e delle microplastiche nella cosmesi dal 2020. E, aldilà di ogni sciocca polemica, è stato utilissimo estendere quel divieto dal gennaio scorso anche ai sacchetti per l’ortofrutta. Certo, anche in quel caso, si sarebbe dovuto prevedere la possibilità del riutilizzo come nella norma madre sugli shopper. Benvenuta è la campagna di Legambiente e NaturaSì che va in quella direzione.

Ci sono quindi tutte le condizioni affinché questa battaglia possa essere vinta, ma non bisogna illudersi che le opposizioni di retroguardia delle lobby fossili saranno facili da sconfiggere. Per questo bisognerà tenere alto il livello di mobilitazione civica, informazione e monitoraggio di quel che succede a livello nazionale e internazionale per non perdere questa grande occasione di cambiamento.


Francesco Ferrante è uno dei massimi esperti italiani di green economy, fonti rinnovabili, chimica verde, ed economia circolare. È attualmente vicepresidente del Kyoto Club. In precedenza, dal 1995 al 2007 direttore generale di Legambiente e senatore del Partito democratico per dal 2006 al 2013.