La desertificazione minaccia l’economia globale. Ma alla Cop16 di Riad i governi prendono tempo

La Cop16 sulla desertificazione si chiude a Riad con qualche promessa finanziaria, ma senza l’adozione di un protocollo globale vincolante

La giornata di apertura della Cop16 sulla desertificazione © Unccd/Flickr

Prima la plenaria della Cop16 sulla biodiversità di Cali, in Colombia, che si è conclusa perché mancava il numero legale necessario per istituire il tanto atteso fondo per la biodiversità. Poi la Cop29 sul clima di Baku, in Azerbaigian, che ha approvato il testo sulla finanza climatica. Ma con uno stanziamento di appena 300 miliardi di dollari l’anno a fronte dei 1.300 chiesti dal Sud del mondo. Poi i negoziati sull’inquinamento da plastica che, dopo cinque round in altrettanti Paesi, sono finiti in un nulla di fatto. Il 2024 è stato un anno che ha esposto tutte le fragilità della diplomazia, che pure resta l’unica strada che abbiamo per affrontare problemi di portata planetaria. L’ultima conferma in ordine di tempo è arrivata da Riad, in Arabia Saudita, dove la Cop16 sulla desertificazione si è chiusa sabato 14 dicembre senza raggiungere un accordo.

Gli obiettivi e i risultati della Cop16 sulla desertificazione di Riad

In modo analogo alle più note Conferenze sul clima, la Conferenza delle parti sulla desertificazione è l’organo decisionale supremo della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta contro la desertificazione (Unccd). Ne fanno parte 196 Paesi e il suo segretario esecutivo è Ibrahim Thiaw. Il vertice che si è tenuto a Riad dal 2 al 14 dicembre (sforando di qualche ora sulla tabella di marcia) aveva un obiettivo dichiarato. Cioè, per riprendere le parole dello stesso Thiaw, «adottare una decisione forte per aiutare a invertire la tendenza della catastrofe naturale più pervasiva e distruttiva: la siccità».

La partecipazione è stata imponente, con 20mila presenze di cui circa 3.500 dalla società civile, ma i risultati concreti non lo sono stati altrettanto. Perché il protocollo per affrontare la siccità, alla fine, non è stato siglato. Le divergenze erano troppo profonde. Da un lato gli Stati africani compatti nel chiedere un accordo che fosse legalmente vincolante. E che quindi ponesse ogni governo di fronte alle proprie responsabilità, in termini di preparazione e anche di piani d’azione. Sul fronte opposto le nazioni industrializzate che premevano invece per un framework, un quadro di riferimento che lasciasse più margini di manovra. Dopo due settimane di negoziati infruttuosi, il responso è stato chiaro: ci vuole più tempo. È tutto rimandato alla Cop17 che si terrà in Mongolia nel 2026.

Ma la desertificazione minaccia il nostro sistema economico

Si registra qualche progresso sul fronte finanziario, con la promessa di oltre 12 miliardi di dollari per affrontare la desertificazione, il degrado del suolo e la siccità negli 80 Stati più vulnerabili. Ma 12 miliardi sono poca cosa se comparati con i danni che la desertificazione sta già facendo e continuerà a fare. Oggi – non in un futuro lontano, ma oggi – la siccità coinvolge 1,8 miliardi di persone e genera danni che superano i 307 miliardi di dollari all’anno a livello globale. Lo sostiene un rapporto che l’Unccd ha pubblicato proprio in apertura della Cop16 sulla desertificazione, più che raddoppiando le precedenti stime.

Qualche esempio? Lo abbiamo sperimentato in Italia nel 2022, quando i fiumi erano a secco e la produzione di energia idroelettrica ha toccato il suo minimo storico. Lo sanno bene a Panama, un Paese che sui traffici commerciali attraverso l’omonimo canale basa il 6% del proprio prodotto interno lordo (Pil). E che, proprio per l’abbassamento del livello dell’acqua, ha visto crollare del 33% il numero di transiti marittimi giornalieri. Un altro studio, redatto stavolta dal Science-Policy Interface dell’Unccd, calcola che l’aridità abbia già contribuito al degrado del 40% delle terre coltivabili del Pianeta, a cui si aggiunge un altro 7% se si aggiungono gli effetti sinergici dell’erosione del suolo.

Sono tutte attività che le banche finanziano e in cui le società finanziarie investono. Trovandosi così alle prese con la spada di Damocle degli stranded assets, tutti quei beni che oggi hanno un valore nominale e un domani, per la carenza d’acqua, saranno inservibili. Tra le società finanziarie quotate interpellate dall’organizzazione no profit CDP, tuttavia, una su tre non calcola minimamente questi rischi.  

Contrastare la siccità costa meno che subirla

Questi sono i dati odierni, che non potranno che peggiorare. L’Unfccc chiarisce che la desertificazione «alimentata dalla distruzione dell’ambiente da parte dell’uomo» avrà un impatto sui tre quarti degli abitanti del pianeta entro il 2050. «Nessun Paese è immune alla siccità e il fatto di non aver raggiunto un consenso minaccia i progressi globali in termini di povertà, fame, parità di genere, cambiamenti climatici, vita sulla terra e occupazione», commenta a margine della Cop16 sulla desertificazione Susan Chomba del World Resources Institute Africa.

È vero, gli investimenti annui per contrastare la desertificazione e il degrado del suolo sono aumentati. Erano di 37 miliardi di dollari nel 2016, hanno raggiunto i 66 nel 2022. E bisogna aggiungere gli altri 12 miliardi promessi alla Cop16, 10 dei quali da parte del Gruppo di coordinamento arabo. Fino a oggi, tuttavia, si è trattato quasi solo di stanziamenti delle amministrazioni locali o nazionali. Le risorse bilaterali e multilaterali rappresentano solo il 22% del totale del 2022 e il settore privato si ferma a uno striminzito 6%.

Soprattutto, questi soldi sono troppo pochi. Per raggiungere gli obiettivi prefissati dall’Unccd servono 355 miliardi di dollari all’anno nel quinquennio 2025-2030, ma le proiezioni ammontano a 77 miliardi all’anno. Il buco, dunque, è di 278 miliardi annui. Sono cifre alte, altissime, ma il costo dell’inazione è molto più salato. Ogni anno, la desertificazione e il degrado del suolo provocano danni economici pari almeno a 878 miliardi di dollari. Se veramente si riuscisse a investire 2.600 miliardi di dollari tra il 2016 e il 2030 per ripristinare un miliardo di ettari di terre degradate e sviluppare una maggiore resilienza, per ogni dollaro speso se ne otterrebbero 8 in rendimento sociale.