«Fumata grigia» alla Cop30 di Belém: accordo ancora in bilico

Stallo alla Cop30: disaccordo su roadmap per l'uscita dal fossile e fondi per l’adattamento blocca il negoziato mentre Lula e Guterres attendono

© Diego Herculano/UN Climate Change

Il presidente André Corrêa do Lago, il diplomatico brasiliano che sta guidando i negoziati delle Nazioni Unite sul contrasto alla crisi climatica in corso a Belém, si era lanciato in una previsione ottimistica. «Conto di avere una versione finale dell’accordo domani», aveva detto martedì. Nella serata di ieri, mercoledì 19, ancora nessuna notizia. Lula Ignacio da Silva, il presidente brasiliano, era volato nella città ai confini dell’Amazzonia che ospita la Cop30 proprio per benedire l’intesa, e lì lo aveva raggiunto il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Ma entrambi, alla fine, hanno dovuto aspettare. Tutto rimandato ad oggi – come minimo. Un primo stop per una gestione delle trattative coraggiosa e, finora, di successo.

Roadmap e finanza: i nodi centrali del negoziato

Nei giorni scorsi abbiamo raccontato quali sono i temi sul tavolo della Cop30 e quali le possibile strade per un accordo. I punti centrali, semplificando molto, sono due. La stesura di una roadmap (probabilmente molto generica) per l’abbandono dei combustibili fossili e la triplicazione dei fondi per l’adattamento nel Sud globale. La prima è una proposta brasiliana che ha raccolto il consenso di oltre ottanta nazioni – tra cui la quasi totalità di Europa e America Latina e molta Asia ed Africa. Ad opporsi sono i grandi produttori di energia sporca. Non gli Stati Uniti, che non partecipano più al negoziato, ma i petro-Stati arabi guidati dall’Arabia Saudita e la Russia (che pure era sembrata aprire, secondo alcune indiscrezioni).

La seconda è una richiesta dei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, che dovrebbero ricevere i capitali necessari a prepararsi agli effetti della crisi climatica, ed incontra lo scoglio dei Paesi ricchi che non intendono stanziare i soldi.

Per un’accordo serve il consenso di tutte le Parti, cioè i governi presenti. E questo consenso, quando chiudiamo l’articolo, ancora non c’è. «Fumata grigia», scrivono gli analisti di Italian Climate Network (Icn), che danno una loro lettura dell’impasse. «Il suo piano (del presidente della Cop, ndr) si è scontrato con due imprevisti. Da una parte, una mediazione cinese con sauditi e russi non proprio riuscita, che nelle ultime ore ha portato a un deciso rallentamento. Dall’altra, l’Unione europea fatica a trovare una posizione comune. Il Brasile avrebbe voluto Cina e Ue al tavolo con un accordo di massima già ieri sera. Fonti interne ci raccontano che mentre tutti gli altri delegati del mondo aspettavano indispettiti nelle sale fino a mezzanotte inoltrata, in realtà lato cinese ed europeo si era ancora lontani dalla quadra, tanto che la Ceo della Cop30 Ana Toni, figura centrale della presidenza brasiliana, a un certo punto avrebbe addirittura abbandonato il vertice, per poi tornare alla conferenza solo stamani».

L’Italia di Meloni nel fronte della resistenza fossile

Fa notizia anche la lista dei Paesi che stanno spingendo per un accordo su una roadmap relativa all’uscita dal fossile. All’appello mancano solo due europei: la Polonia e l’Italia. Persino l’Ungheria di Viktor Orbán, forse grazie alla mediazione di Pechino o forse per le pressioni di Bruxelles, è della partita. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin aveva detto a Valori.it di essere favorevole alla roadmap, «ma dipende da cosa c’è dentro».

La posizione di Roma si è però spostata via via verso il no nel corso delle ore. «Italia e Polonia nelle ultime ore si sono dichiarate contrarie al linguaggio proposto dalla Presidenza su tutti e tre i temi principali di quello che sarà il “pacchetto politico”: transitioning away dalle fonti fossili, finanza per l’adattamento, giusta transizione. Una contrarietà che arriva nonostante una proposta europea di mediazione sul terzo punto: in teoria dovrebbe tenere conto anche delle opinioni dei due fratelli d’inno, che invece hanno rinnegato ogni coinvolgimento», prosegue Icn. Sempre secondo gli analisti, lo stesso António Guterres avrebbe chiesto a Pichetto Fratin di favorire un compromesso. Richiesta, per ora, caduta nel vuoto.

Cop30: come funziona il negoziato (e cosa contiene la roadmap)

Le Conferenze delle Parti (Cop) sul clima sono appuntamenti annuali organizzati dalle Nazioni Unite. Partecipano i governi di quasi tutto il Pianeta, e hanno il compito di concordare politiche comuni di contrasto al riscaldamento globale. Il 10 novembre si è aperta la trentesima edizione nella città brasiliana di Belém, al margine della foresta amazzonica. Si tratta di un incontro nato con premesse difficili. Gli Stati Uniti per la prima volta hanno deciso di non partecipare, e il presidente Donald Trump ha ordinato – per la seconda volta – l’uscita dall’Accordo di Parigi, il più importante trattato internazionale sul clima mai firmato. Anche l’Unione europea è arrivata stanca alla Cop30. La Commissione a guida Ursula von der Leyen sta ripensando alcune delle misure di sostenibilità decise nella precedente legislatura, e l’Unione non ha presentato in tempo le sue Nationally Determined Contributions (Ndc), gli impegni climatici da presentare regolarmente in sede Onu.

A Belém il dibattito si è centrato sul tema della roadmap. Ma il suo impatto eventuale sulle emissioni globali non è chiaro. Gli osservatori più ottimisti insistono sul cambio di prospettiva nel dibattito. Per decenni i negoziati delle Nazioni Unite non hanno mai menzionato direttamente i combustibili fossili, per via dell’opposizione dei Paesi produttori. Ora, è il ragionamento, si arriverebbe ad un piano di dismissione. I critici, al contrario, ricordano come un impegno senza date o indicatori misurabili è facile da ignorare. Specie in un contesto in cui le Nazioni Unite si affidano alla buona fede dei governi, non avendo strumenti sanzionatori, e con gli Stati Uniti di Donald Trump che boicottano il summit e, a prescindere, non ne rispetteranno gli esiti.

Le due sole notizie dalla Cop30 di Belém

Oltre allo stallo nei negoziati, le due sole notizie della giornata arrivano dal fronte internazionale. La prima riguarda il Messico, che ha presentato in ritardo i propri nuovi Ndc: un piano climatico descritto da Oxfam come «il salto in avanti di cui il mondo ha urgentemente bisogno» e definito tra i più ambiziosi, soprattutto considerato che si tratta di un grande emettitore, grazie agli obiettivi netti al 2035, all’inclusione di una sezione loss & damage e all’integrazione di giustizia, genere e diritti umani.

La seconda è l’annuncio ufficiale della sede della Cop31: sarà la Turchia a ospitare il summit del 2026, dopo il ritiro dell’Australia. Il governo di Tayyip Erdoğan ottiene quindi la sede della prossima Conferenza, ma non la presidenza. In una mossa irrituale, l’Australia ha portato a casa due cose. Una pre-Cop che si terrà nel Pacifico per rilanciare il Fondo per la Resilienza Pacifica, molto voluta dai piccoli stati insulari dell’area, e la possibilità di designare un «presidente negoziale» che guidi le trattative.

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