Com’è andata la prima settimana alla Cop30 e cosa possiamo aspettarci ora

I negoziati sono complessi alla Cop30 di Belém, ma a differenza delle ultime Cop la presidenza appare davvero decisa a ottenere risultati

© Kiara Worth/UN Climate Change

La seduta plenaria che ha concluso la prima settimana alla Cop30 di Belém – e in particolare i lavori degli organi sussidiari – è stata l’occasione per numerosi governi di manifestare la loro delusione sull’andamento dei negoziati. La presidenza brasiliana ha presentato un piano per cercare di guidare le trattative nel corso della seconda parte della conferenza, a partire da lunedì (domenica alla Cop è giorno di riposo). Ma il livello delle difficoltà incontrate finora è tale che lo stesso Lula sta pensando di tornare nella capitale dello Stato del Parà per tentare di imprimere nuovo slancio. 

Il presidente della Cop30, André Corrêa do Lago ha spiegato che i negoziati proseguiranno nella seconda settimana su tre assi che, almeno in linea teorica, si dovranno alimentare a vicenda. Ovvero i colloqui ministeriali sulle questioni che necessitano di un orientamento politico, la prosecuzione dei lavori tecnici sui temi in sospeso (che termineranno martedì 18), le consultazioni della presidenza sulla cooperazione.

I nodi politici della seconda settimana: finanza, adattamento e Global Stocktake

Il lavoro politico, in particolare, sarà particolarmente ampio. Occorrerà tentare di sciogliere nodi sull’implementazione del Global Stocktake approvato alla Cop28 di Dubai, sull’Obiettivo globale sull’adattamento, sulla finanza climatica. E ancora su mitigazione, transizione giusta, tecnologie e genere. Particolarmente spinosi i problemi legati alle promesse (insufficienti) di riduzione delle emissioni finora avanzate dai governi (le Nationally determined contributions, Ndc), i rapporti biennali sulla trasparenza, l’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi (sugli obblighi in capo ai Paesi ricchi in materia di finanziamenti) e le questioni commerciali. I punti di vista espressi poi riassunti in una nota di sintesi che servirà da guida per le discussioni.

La sensazione è che Correa do Lago abbia ben chiaro che occorre una svolta, se si vuole evitare che anche la Cop30 si risolva in un nulla di fatto. Per questo ha annunciato che si terrà un “Mutirão” (una “mobilitazione collettiva”), che prenderà la forma di una riunione a livello ministeriale e dei capi-delegazione proprio all’inizio della seconda settimana. Un approccio che ha (almeno quello) suscitato apprezzamento e condivisione da parte dei rappresentanti dei Paesi riuniti a Belém.

Simon Still, segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) ha esortato da parte sua i governi a «incontrarsi nei corridoi». E a «concedere qualcosa per ottenere molto di più».

Una prima settimana in sospeso: tra ambizioni di Lula e disinformazione climatica

Complessivamente, insomma, la prima settimana si chiude con una sensazione di sospensione. Nel suo discorso di apertura, Lula aveva indicato un obiettivo chiaro e ambizioso: chiudere la Cop30 con una road map per un’uscita progressiva dalle energie fossili. Niente più frasi vaghe come “phase down” (diminuzione) o “transitioning away” (allontanamento), privi di date e impegni concreti. Se non si dirà addio a carbone, petrolio e gas, d’altra parte, non si potrà vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici. Inutile dunque tergiversare. 

Una seconda novità della Cop30, oggetto di discussioni nella prima settimana, è stata quella legata alla necessità di lottare contro la disinformazione climatica. Tredici Paesi (Germania, Spagna, Brasile, Canada, Cile, Danimarca, Finlandia, Francia, Svezia e Uruguay, ma non l’Italia di Giorgia Meloni) hanno chiesto un impegno concreto su questo punto, ed è la prima volta che accade nella storia della Cop. 

È stata per questo firmata una dichiarazione che stabilisce impegni internazionali comuni per promuovere un’informazione corretta e fondata su ciò che indica la scienza. «Senza un accesso a notizie affidabili sulla crisi climatica, non poteremo mai sperare di farcela», ha dichiarato Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco.

Deforestazione e Tfff: un risultato parziale che apre nuove sfide

Un risultato parziale ma importante è quello che è stato poi ottenuto sulla deforestazione. Il Tropical forest forever facility, meccanismo innovativo che ha suscitato al contempo critiche e apprezzamenti, fondo d’investimento che punta a difendere le aree forestali, ha raccolto per ora 5,5 miliardi di dollari. Ciò grazie all’impegno di 53 nazioni. L’obiettivo è proteggere almeno un miliardo di ettari di foreste tropicali in oltre 70 Paesi in via di sviluppo.

Proprio le questioni finanziarie, però, bloccano numerosi negoziati alla Cop30 (come sempre accaduto alle ultime conferenze). Il percorso “Road to Belém” avviato al termine della Cop29 di Baku è stato definito “del tutto realizzabile” dal Gruppo di esperti indipendenti di alto livello sulla finanza climatica. L’obiettivo è di mobilitare 1.300 miliardi di dollari all’anno dal Nord al Sud del mondo (esclusa la Cina) di qui al 2035. Ciò per consentire ai Paesi più poveri e vulnerabili di adattarsi agli impatti della crisi climatica, risarcire le perdite e i danni, e fare la loro parte per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. 

Si tratta però di moltiplicare per sette i livelli attuali di finanziamento, che nel 2022 hanno raggiunto appena i 190 miliardi. Realizzabile, dunque. Ma politicamente molto difficile.

Ndc insufficienti e divisioni globali: il nodo più critico dei negoziati

Da ultimo, le discussioni sono apparse molto complesse sulle citate Ndc. Gli impegni finora avanzati dai governi sulle emissioni sono del tutto insufficienti se si vorranno centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Ovvero limitare la crescita della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi e restando il più possibile vicini agli 1,5 gradi. Tanto che, alla Cop30, c’è stato perfino chi ha chiesto di non citare più l’obiettivo più ambizioso (1,5 gradi, appunto), ma l’intero testo dell’Accordo (per mantenersi aperta la possibilità di arrivare a 2 gradi). 

A preoccupare è che le nuove promesse di riduzione sono state presentate per ora da soltanto 114 Paesi. Ne mancano all’appello 80. È il mondo diviso che il Brasile di Lula tenterà di convincere a tornare unito in nome della salvaguardia della nostra casa comune. Forse servirà una specie di miracolo. Ma l’impressione è che la presidenza della Cop30 ci stia provando sul serio. E non è poco.

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