A scatenare il coronavirus in Lombardia sono state le polveri sottili?
La Società di Medicina Ambientale e le università di Bologna e Bari hanno analizzato la correlazione tra PM10 e diffusione del coronavirus. Con risultati sorprendenti
La presenza di polveri sottili nell’aria e la diffusione del coronavirus hanno un legame. Ad affermarlo è un position paper pubblicato dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) e dalle università di Bologna e di Bari. L’analisi sottolinea come vi sia «una solida letteratura scientifica che correla l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico (PM10 e PM2,5). È noto infatti che le polveri sottili funzionano da “carrier”, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus».
«Le polveri sottili fungono da vettore dei contaminanti, virus inclusi»
Questi ultimi, infatti, si «“attaccano”, con un processo di coagulazione, al particolato, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze». In questo modo i virus possono «“viaggiare”, in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni. Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali. Mentre un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente, un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso di diffusione».
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I ricercatori citano in particolare uno studio condotto a Taiwan nel 2010, secondo il quale «l’influenza aviaria può essere veicolata per lunghe distanze attraverso tempeste asiatiche di polveri che trasportano il virus». Ciò con «una correlazione di tipo esponenziale tra le quantità di casi di infezione e le concentrazioni di PM10 e PM2.5». Nel 2016, un’analisi di un’università cinese, ha confermato l’esistenza di un rapporto «tra la diffusione del virus respiratorio sinciziale umano (RSV) nei bambini e le concentrazioni di particolato».
#Coronavirus, smog e polveri sottili 'autostrade' per #Covid19 https://t.co/XEBu8xeu2k pic.twitter.com/7cVMo3xi8E
— Adnkronos (@Adnkronos) March 17, 2020
Un anno più tardi, uno studio di un gruppo di ricercatori di Cina, Australia e Finlandia ha confermato che «il numero di casi di morbillo in 21 città cinesi nel periodo 2013-2014 è variato in relazione alle concentrazioni di PM2.5». I ricercatori hanno dimostrato in particolare che «un aumento di PM2.5 pari a 10 μg/m3 incide significativamente sull’incremento del numero di casi di virus del morbillo». Infine, nel 2020, un’altra analisi di scienziati cinesi è giunta alle stesse conclusioni.
La possibile relazione tra picchi di PM10 e accelerazioni dell’epidemia
Per quanto riguarda più specificatamente il coronavirus, la SIMA e le università di Bari e di Bologna hanno analizzato i dati relativi alle polveri sottili (PM10) – tenendo conto delle giornate di superamento dei limiti di legge – e quelli di diffusione della malattia nelle province italiane.
«Si evidenzia – scrivono i ricercatori – una relazione tra i superamenti dei limiti registrati nel periodo 10-29 febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 marzo». Ciò considerando «un ritardo temporale intermedio di 14 giorni, pari al tempo di incubazione del virus fino all’identificazione dell’infezione contratta».
Ipotesi potrebbe essere duplice: effetto 'carrier' = #coronavirus viaggia meglio con aria inquinata perché riesce a galleggiare più tempo nelle polveri sottili; effetto 'blow' = polmoni che respirano aria inquinata sono più immunodepressi e quindi favoriscono diffusione https://t.co/FddCs9wM7u
— Lorenzo Fioramonti (@lofioramonti) March 18, 2020
Il caso della provincia di Brescia
Secondo gli studiosi, «la relazione tra i casi di COVID-19 e PM10 suggerisce un’interessante riflessione sul fatto che la concentrazione dei maggiori focolai si è registrata proprio in Pianura Padana mentre minori casi di infezione si sono registrati in altre zone d’Italia.
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Le curve di espansione dell’infezione nelle regioni presentano andamenti perfettamente compatibili con i modelli epidemici, tipici di una trasmissione persona-persona, per le regioni del sud Italia. Mentre mostrano accelerazioni anomale proprio per quelle ubicate in Pianura Padana in cui i focolai risultano particolarmente virulenti. E lasciano ragionevolmente ipotizzare una diffusione mediata da “carrier”, ovvero da un veicolante».
Lo studio propone in particolare un grafico relativo alla provincia di Brescia. Dal quale sembra evidente la correlazione tra i picchi di diffusione del coronavirus e le giornate con alte concentrazioni di polveri sottili.
«Un monito per una rinascita sostenibile»
«A questo proposito è emblematico il caso di Roma in cui la presenza di contagi era già manifesta negli stessi giorni delle regioni padane. Senza però innescare un fenomeno così virulento», aggiunge lo studio. Che conclude la propria analisi suggerendo di introdurre «misure restrittive di contenimento dell’inquinamento».
«L’impatto dell’uomo sull’ambiente sta producendo ricadute sanitarie a tutti i livelli» commenta Alessandro Miani, presidente della Societa’ Italiana di Medicina Ambientale (SIMA). «Questa dura prova che stiamo affrontando a livello globale deve essere di monito per una futura rinascita in chiave realmente sostenibile, per il bene dell’umanità e del pianeta. In attesa del consolidarsi di evidenze a favore dell’ipotesi presentata, in ogni caso la concentrazione di polveri sottili potrebbe essere considerata un possibile indicatore o “marker” indiretto della virulenza dell’epidemia da Covid19».