Stati Uniti, impennata dei crediti in sofferenza nei primi tre mesi del 2023

JPMorgan, Bank of America, Citigroup e Wells Fargo accumulano crediti in sofferenza. Per le banche più piccole, lo spauracchio è l'immobiliare commerciale

Wells Fargo ha dovuto mettere da parte 1,2 miliardi di dollari per i crediti in sofferenza © ablokhin/iStockphoto

Negli ultimi anni le grandi banche americane hanno potuto dormire sonni tranquilli, contando su una certa solidità finanziaria da parte dei consumatori. Nell’arco di pochi mesi, le cose sono cambiate. Con l’inflazione che erode il loro potere d’acquisto e il valore dei loro risparmi, i cittadini d’Oltreoceano sono sempre più in difficoltà con i pagamenti.

Lo dimostrano i numeri. Le quattro più grandi banche statunitensi – JPMorgan Chase, Bank of America, Citigroup e Wells Fargo – hanno già svalutato 3,4 miliardi di dollari di crediti in sofferenza nell’arco dei primi tre mesi del 2023. Un dato che non ha niente di usuale, visto che è in aumento del 73% rispetto all’anno precedente.

L’impennata dei crediti in sofferenza negli Stati Uniti

Questi dati, riferiti da Bloomberg, si riferiscono al credito al consumo. Cioè a quei prestiti che i privati chiedono per poter pagare un’automobile, un corso di formazione, un computer o qualsiasi altro acquisto importante.

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Bank of America ha incrementato fortemente gli accantonamenti per la divisione consumer © Mike Mozart/Flickr (CC BY 2.0)

Andando con ordine, JPMorgan Chase fa sapere che i crediti inesigibili legati alle carte di credito (di cui è la maggiore emittente al mondo) sono saliti fino a 922 milioni di dollari nel primo trimestre del 2023, con un balzo in avanti dell’82% sull’anno precedente. Sempre in un anno, il tasso di insolvenza a 30 giorni è passato dall’1,09% all’1,68%. Bank of America ha accantonato 360 milioni di dollari più del previsto per la propria divisione consumer.

I vertici di Citigroup hanno cercato di rassicurare gli investitori: le perdite sul credito al consumo sono aumentate, ma era tutto ampiamente previsto. O, almeno, così dicono. Wells Fargo ha chiuso un trimestre molto positivo con un utile netto che ha sfiorato i 5 miliardi di dollari, trainato dal rialzo dei tassi d’interesse. Contestualmente ha dovuto mettere da parte 1,2 miliardi di dollari per i crediti in sofferenza legati all’immobiliare commerciale, alle carte di credito e alle auto.

Sei statunitensi su dieci vivono di stipendio in stipendio

Le famiglie statunitensi, d’altra parte, continuano a spendere. Ormai considerano l’inflazione come parte della loro vita, come un qualcosa con cui convivere. Anche a costo di vivere di stipendio in stipendio, cioè di spendere subito ciò che guadagnano senza riuscire a mettere quasi nulla da parte; lo fa il 60% degli adulti, incluso il 45% dei percettori di un reddito alto.

Alla fine del 2022 il debito delle carte di credito aveva raggiunto un record di 930,6 miliardi di dollari, il 18,5% in più rispetto all’anno precedente. Il saldo medio di una carta di credito si aggirava sui 5.805 euro. Sempre nel quarto trimestre del 2022, il debito totale delle famiglie ha segnato un +2,4% arrivando a un totale di 16.900 miliardi di dollari. Lo fa sapere la Federal Reserve Bank di New York.

Dai crediti in sofferenza ai prestiti criticati

Finora abbiamo parlato di crediti in sofferenza, cioè quelli che la banca teme di non riuscire più a riscuotere a causa dell’insolvenza del cliente. Ma c’è un’altra metrica da tenere d’occhio, suggerisce Cnbc. Quella dei criticized loans, letteralmente prestiti criticati. In questo caso i pagamenti sono regolari, ma la banca ha motivo di credere che in futuro il cliente possa avere difficoltà. L’esempio tipico è quello di un prestito concesso a una grande società che compra un immobile commerciale, che diventa “criticato” nel momento in cui un’azienda affittuaria lascia lo stabile e bisogna trovarne un’altra che la sostituisca.

La Federal Deposit Insurance Corporation ha pubblicato apposite linee guida, ma per ora è ogni banca a decidere quali asset classificare come “criticati”. Ce ne sono alcune che non inseriscono questa voce nelle proprie relazioni finanziarie. Tra di esse c’è un peso massimo del calibro di Wells Fargo. L’istituto ha comunque riferito che nel corso del 2022 i criticized loans nell’immobiliare commerciale sono complessivamente calati. L’anno si è concluso però con un rimbalzo che li ha fatti arrivare a 12,4 miliardi di dollari su 155,8 di prestiti. Per Bank of America i prestiti criticati sono una fetta piuttosto consistente sul totale di quelli erogati per la costruzione di uffici (3,7 su 19 miliardi) ma diventano briciole (meno dell’1%) se rapportati al totale di asset e prestiti della banca.

Verso una crisi dell’immobiliare commerciale?

Se ultimamente si parla tanto di immobiliare commerciale è perché molti osservatori temono che stia lì, più ancora che nel credito al consumo e nell’immobiliare residenziale, la miccia di una futura crisi. Si tratta di un mercato che negli Stati Uniti vale 20mila miliardi di dollari ed è vitale soprattutto per le banche regionali di medie dimensioni. Quelle che l’amministrazione di Donald Trump ha esonerato dalle regole prudenziali e di solidità patrimoniale previste per le grandi banche, rendendole così molto più fragili anche di fronte a perdite relativamente ridotte.  

Per ora il crack non c’è stato, ma ci sono diverse ragioni che lo fanno sospettare. Innanzitutto, durante la pandemia la domanda di spazi a uso ufficio è crollata e, da allora, non si è ancora del tutto ripresa. Soprattutto nelle grandi città. A fine 2022 il 12,5% degli uffici statunitensi era vuoto, 3 punti percentuali in più rispetto a tre anni prima. Quasi un quarto dei mutui per immobili a uso ufficio dovrà essere rifinanziato entro la fine di quest’anno. Ma nel frattempo i tassi di interesse sono saliti, il che mette ulteriormente sotto pressione le imprese. Certo, finora si tratta solo di campanelli d’allarme, e c’è anche chi crede che non accadrà nulla. Ma la cautela è d’obbligo.