Decreto rinnovabili, Di Maio ha copiato il testo. Da Calenda
Valori ha visionato la bozza del Decreto Rinnovabili: il ministro Di Maio copia il suo predecessore. E fa parecchi favori a Eni e grande finanza
«Alla fine, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma quanto siamo stati credibili». Lo scriveva, in uno dei suoi appunti diventati storici, Rosario Livatino, giudice assassinato dalla mafia il 21 settembre di 28 anni fa.
Ritornano alla mente le sue parole, confrontando, carte alla mano, il decreto sulle fonti di energia rinnovabile predisposto da Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo del governo Gentiloni (poi bloccato dalle elezioni) e il testo che sta per emanare il suo sucessore, nonché vicepresidente del Consiglio e leader del principale partito in Parlamento, Luigi Di Maio. E il confronto fa riflettere: i due testi infatti sono quasi totalmente sovrapponibili. Un nuovo, clamoroso, segnale di continuità, che arriva appena pochi giorno dopo l’accordo Salva-Ilva con il gruppo Arcelor Mittal. Ma se in quel caso c’era la giustificazione di operare nelle “peggiori condizioni possibili” (come le ha definite Di Maio), sul decreto rinnovabili, non ci sono scuse che reggano.
Promesse al vento
Comparando i due testi (decreto Calenda vs decreto Di Maio), la somiglianza salta all’occhio. Il “cambiamento” annunciato a più riprese nella precedente legislatura e proclamato ancora in sede di fiducia parlamentare, sulle energie pulite, non si vede affatto. Anche questo testo va nella direzione auspicata dalla grande finanza e dai colossi energetici. ENI su tutti.
Una sorpresa. Soprattutto se si rileggono le dichiarazioni preelettorali degli attuali esponenti di maggioranza: «abbiamo dato tantissimo spazio alle rinnovabili per consentire a una platea di investitori di entrare con impianti di piccole o medie dimensioni in un settore fino ad oggi prerogativa di grandi finanziarie, soprattutto estere. Il decreto emanato da Calenda va esattamente nella vecchia direzione e per questo deve essere bloccato». A parlare è l’esponente leghista e attuale sottosegretario allo Sviluppo economico, Armando Siri, pochi mesi prima delle elezioni.
«Fino ad ora siamo andati in una direzione sbagliata: scelte che si sono rivelate antieconomiche, antiambientali e anacronistiche devono essere cambiate. Come governo intendiamo cambiare rotta» ha annunciato Luigi Di Maio poche settimane fa, quando, già nella veste di ministro, era intervenuto al convegno di Elettricità futura, la principale associazione del mondo elettrico italiano.
L’intervento del ministro Di Maio al convegno di Elettricità futura il 25 luglio 2018Perché è urgente un decreto sulle rinnovabili?
Oltre che il cambiamento climatico in atto, l’urgenza di arrivare a un decreto rinnovabili serio ed efficace ce lo ricorda ancora una volta l’Europa e il suo “Quadro energia clima della UE” che fissa tre obiettivi principali per il 2030:
- una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990);
- una quota almeno del 27% di energia rinnovabile;
- un miglioramento almeno del 27% dell’efficienza energetica.
In questo contesto, entra la direttiva europea 2009/28/CE, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, che definisce le linee guida della cosiddetta Strategia Energetica Nazionale (SEN), strumento di indirizzo e programmazione a carattere generale della politica energetica nazionale, approvata con decreto dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente lo scorso 10 novembre.
Che cosa dice la SEN
E a proposito della promozione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, la SEN stabilisce:
- l’abbandono totale dell’uso del carbone per produzione di energia elettrica entro il 2025;
- il raggiungimento dell’obiettivo di produzione di energia rinnovabile pari al 28% del totale dell’energia consumata su tutti i consumi e pari al 55% dei consumi elettrici entro il 2030.
Ma la realtà sulle rinnovabili in Italia è invece un’altra. Da qui l’urgenza dell’approvazione del decreto. Secondo gli ultimi dati dell’ENEA, allo stato attuale siamo lontani dalla crescita prevista fino al 28% dei consumi finali entro il 2030. Nel 2017 la stima preliminare di ENEA parla di un solo 17,6%, rendendo ancora meno scontato il raggiungimento dell’obiettivo fissato nella Strategia Energetica Nazionale del 2013, che si proponeva di andare oltre gli obiettivi europei per raggiungere il 19-20% entro il 2020.
A chi sono destinati gli incentivi del DM Di Maio – Calenda
Il decreto, quindi, recependo la SEN varata a fine 2017, va a integrare il Decreto ministeriale 23/06/2016 che incentiva la produzione, attraverso un sostegno economico, di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di piccola, media e grande taglia.
Il decreto Di Maio si concentra sulla produzione di energia da eolico onshore, idroelettrico, termoelettrico e solare fotovoltaico. Restano esclusi al momento eolico offshore e biogas. L’idroelettrico rimane compreso, ma con particolari norme rispetto all’impatto ambientale dopo la procedura di infrazione EU Pilot 6011/14/ENVI avviata da parte della Commissione europea per l’eccessivo sfruttamento dei bacini idrici in Italia.
Aste miste e il requisito che fa felice la grande finanza
La Bozza Di Maio conferma le aste al massimo ribasso per gli impianti eolici da un megawatt in su e li mette in competizione con gli impianti fotovoltaici. In pratica le gare sono realizzate tramite offerte di riduzione percentuale della tariffa di riferimento e mettono in competizione varie tipologie di energie pulite, suddivise in tre gruppi:
- Il gruppo A a cui partecipano sia impianti eolici che i fotovoltaici.
- Il gruppo B con gli impianti idroelettrici; geotermoelettrici; impianti a gas residuati dai processi di depurazione e i gas di discarica
- e il gruppo C, che comprende gli impianti di rifacimento provenienti dalle categorie A e B.
Per accedere alle procedure d’asta i soggetti devono essere dotati di “solidità finanziaria”. Serve perciò una dichiarazione di un istituto bancario che attesti la capacità finanziaria del concorrente oppure occorre la capitalizzazione, cioè il capitale sociale va interamente versato. A parità di offerte o meglio di riduzione di offerta, vince l’asta chi è in possesso del rating di legalità con almeno due stellette, secondo la legge 27 del 2012. E per il gruppo A ha priorità chi ha realizzato impianti su discariche, cave o miniere esaurite e siti contaminati. Poi gli impianti idroelettrici, quelli geotermoelettrici e quelli che utilizzano i gas di depurazione.
Tale meccanismo però favorisce l’accentramento finanziario. Forse sarebbe il caso di intervenire sulle tariffe che permettono di partecipare ai bandi solo a organizzazioni finanziarie in grado di sostituirsi al sistema creditizio bancario remunerando la sola resa finanziaria. Meccanismo già possibile, ripristinando le tariffe del DM 2016 scontate al massimo del 30%
Il testo peraltro contrasta con il dettato e la logica della normativa europea (recepita in Italia con la Legge 167/2017) che consente di prorogare fino a 5 MW eolici il regime dei registri (un sistema di incentivo basato sull’iscrizione ad appositi registri tenuti dal GSE, attraverso bandi che mettono a disposizione una certa quantità di energia. Il prossimo, secondo la bozza di DM dovrebbe essere il 31 gennaio 2019). La stessa norma europea riconosce al contempo la necessità di un incentivo diversificato per fonte e scaglioni di potenza. Recita l’articolo 20 della legge:
«La produzione di energia elettrica da impianti di potenza nominale fino a un valore, da stabilire con i decreti di cui al comma 5, differenziato sulla base delle caratteristiche delle diverse fonti rinnovabili, comunque non superiore a 5 MW elettrici per gli impianti eolici e a 1 MW elettrico per gli impianti alimentati dalle altre fonti rinnovabili, ha diritto a un incentivo diversificato per fonte e per scaglioni di potenza, al fine di favorire la riduzione dei costi».
La bozza legastellata del decreto azzera i due cardini del dispositivo europeo. in questo modo, genererà una doppia competizione: da un lato, tra impianti eolici di diverse dimensioni (1 MW contro 50 MW) che dispongono di incomparabili economie di scala. Dall’altro, tra diverse tecnologie (fotovoltaico contro eolico) caratterizzate da riduzioni di costi di istallazione e manutenzione totalmente differenti. Chi perde e chi vince da questa scelta?
L’esperienza tedesca
Per rispondere alla domanda, basta focalizzare l’attenzione su ciò che è accaduto in Germania con il bando in asta mista dello scorso aprile: tutto il contingente dei MW a disposizione è stato aggiudicato al fotovoltaico. Un comparto che rafforzerà il proprio vantaggio competitivo, visto che dalla scorsa settimana sono stati eliminati i dazi per l’importazione dei pannelli solari dalla Cina.
Sfugge la ratio di spostare gli impianti da 1 MW tra quelli che devono partecipare all’asta anziché essere incentivabili a registro. Sgambetto a qualcuno o dabbenaggine di pensare che un impianto da 1 MW possa concorrere con un impianto da 50 MW?
La norma “pro ENI”
Una volta appurato che, con ogni probabilità, i megawatt dell’asta mista andranno al fotovoltaico, se si pone attenzione alla graduatoria proposta si scopre che, il posizionamento dell’impianto su suolo contaminato avrà la priorità su tutto, anche sul prezzo.
Chi si avvantaggerà di questo non è un segreto: a festeggiare sarà ENI. Il controverso colosso petrolifero italiano infatti, forte della sua bad company Syndial, dispone di migliaia di ettari di suolo che ha contaminato in anni di petrolio e chimica. Terreno ora pronto per il riciclaggio al fotovoltaico. Positivo? Solo in apparenza. Per quelle aree infatti, il decreto non impone neppure la bonifica…
Allarme già lanciato in occasione della presentazione della bozza Calenda da Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, che aveva già considerato preoccupante che il decreto FER prevedesse incentivi per il fotovoltaico anche in siti contaminati, discariche e cave esaurite senza che alcun obbligo di bonifica o di recupero delle aree.
L’unica novità (per merito di Costa): pannelli sui tetti in eternit
Nel profluvio di continuità tra i due testi, a saltare all’occhio è la reintroduzione di incentivi per gli impianti fotovoltaici in sostituzione dei tetti in eternit, a partire dagli edifici pubblici, come scuole e ospedali.
L’aggiunta, peraltro, non arriva dal ministero dello Sviluppo Economico ma da quello dell’Ambiente ed è figlio di una petizione popolare. A metà giugno, il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ricevendo le 55mila firme della campagna #BastaAmianto, si impegnò a farla propria.
Ma anche questo passaggio non è esente da zone grigie. In merito a tali incentivi infatti, va ricordato che andrà rifinanziata la legge 221/2015, il collegato ambientale, che prevedeva il bonus dello smaltimento dell’amianto, fino al 2019. Senza bonus si rischia di frenare la sostituzione dei tetti per via degli ancora alti costi di smaltimento dell’eternit, in mancanza di una rete adeguata rete di discariche sul territorio nazionale (e la maggior parte dell’amianto va quindi all’estero).