Il diesel green non è verde: multa da 5 milioni per ENI
L'Autorità Concorrenza e Mercato ha condannato la compagnia petrolifera per gli spot del suo ENIdiesel+ con olio di palma. "Particolarmente ingannevole definirlo green"
La notizia tocca soprattutto Eni ma la decisione dell’Antitrust italiana avrà probabilmente ripercussioni nei confronti di tutte le compagnie petrolifere che pubblicizzano i biocarburanti come amici dell’ambiente e del clima. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha disposto una multa di 5 milioni di euro nei confronti del “Cane a 6 Zampe”. Che, ricordiamo è posseduto, in maggioranza, dal ministero dell’Economia. Motivo: «pratica commerciale ingannevole».
Sul banco degli imputati è finita la pubblicità di “ENIdiesel+”. Veicolata negli ultimi tre anni attraverso giornali, televisione, radio, cinema, web e stazioni di servizio. «Riduce le emissioni di gas serra fino al 40%», recitava il messaggio dello spot, oggi dichiarato ingannevole.
L’Autorità ha quindi imposto a Eni di non utilizzare più la pubblicità e ha disposto la sanzione amministrativa milionaria. Una cifra importante, il massimo irrogabile, proprio considerando gravità e durata della violazione. Tra le motivazioni anche l’aumento delle vendite dell’ENIdiesel+ e i premi (fra 10 e 15 milioni) per incentivare i benzinai nella vendita del prodotto “green”.
La sentenza è arrivata a seguito di un reclamo presentato da Legambiente, dal Movimento Difesa del Cittadino e da Transport & Environment (T&E) per violazione del Codice del Consumo. La vicenda è stata denunciata la prima volta in articolo pubblicato dalla rivista “La Nuova Ecologia”.
«Una decisione storica contro il greenwashing»
Ovviamente soddisfatti i promotori della denuncia. «Quella di oggi è decisione storica, perché per la prima volta in Italia si parla ufficialmente di greenwashing . E perché finalmente viene smascherato questo grande inganno ai danni dei cittadini da parte di uno dei maggiori nemici del clima qual è Eni», dichiara Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.
«L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ci ha dato ragione, ma non basta. Ora è tempo che anche il governo scommetta davvero su un Green New Deal italiano. Iniziando proprio dalla definizione immediata di una strategia di uscita graduale ma netta e inesorabile dai 19 miliardi di euro di sussidi diretti e indiretti alle fonti fossili. Che sono causa dell’emergenza climatica, definendo anche lo stop agli incentivi all’uso dell’olio di palma nel diesel».
Carburante prodotto a Venezia e Gela
Il gasolio Eni-Diesel+ viene oggi prodotto presso le raffinerie Eni di Venezia e di Gela grazie all’utilizzo di una componente del 15% di HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) e nell’impianto italiano si produce questo componente da olio di palma grezzo e dai suoi derivati, come dimostrano i dati ufficiali del GSE (Gestore Servizi Energetici) disponibili sino al 2018 (550mila tonnellate finite nei serbatoi auto e camion).
La sentenza sul greenwashing di Eni afferma che «è particolarmente ingannevole utilizzare la denominazione “Green Diesel” e le qualifiche “verde” e “rinnovabile” per riferirsi alla componente HVO del prodotto». Principalmente a causa delle emissioni associate all’uso di olio di palma. Sostiene, inoltre, che non esiste alcuna giustificazione o calcolo che giustifichi la riduzione del 5% delle emissioni di gas serra.
«Non esiste il diesel green, prodotto con olio di palma o altre colture alimentari perché causa la deforestazione», ha dichiarato Veronica Aneris, responsabile Transport & Environment (T&E) in Italia. «Le compagnie petrolifere devono smettere di cercare di indurre in errore cittadini e politici con il falso claim del diesel che rispetta l’ambiente e la salute. Dovrebbero invece investire in soluzioni realmente sostenibili. Come l’elettricità rinnovabile e i biocarburanti avanzati. E il governo deve fare la sua parte nello spingere le multinazionali dei fossili a dare il giusto contributo nella transizione a emissioni zero».
«Bloccare incentivi all’olio di palma nel diesel»
Le associazioni sollecitano ora il Governo a interrompere gli incentivi all’uso dell’olio di palma nel diesel, come già oltre 57mila italiani in una petizione.
L’Italia è, infatti, il secondo produttore di biodiesel da olio di palma nell’Unione europea. Più della metà (54%) di tutto l’olio di palma e derivati importati in Italia nel 2018 è stata utilizzata per produrre biodiesel. Principalmente nella raffineria di Eni a Porto Marghera, Venezia e di Gela in Sicilia. L’olio di palma proviene principalmente dall’Indonesia e, in misura minore, dalla Malesia. Due Paesi che dove sono stati registrati imponenti tassi di deforestazione negli ultimi due decenni.
Il 65% dell’olio di palma importato è usato per energia
L’Europa ha già etichettato l’olio di palma nel gasolio come insostenibile. Gli europei mangiano sempre meno olio di palma mentre, ne bruciano senza saperlo sempre più utilizzando auto e camion. L’anno scorso il 65% dell’olio di palma importato nell’UE è stato utilizzato per l’energia. Il 53% è stato utilizzato per produrre biodiesel per auto e camion – un massimo storico. E il 12% per generare elettricità e riscaldamento – un altro record.
L’utilizzo dell’olio di palma per il biodiesel è cresciuto del 3% nel 2018. Mentre il suo uso in altri settori come quello per la produzione di cibo e mangimi per animali è diminuito in modo significativo (-11%). Una tendenza che dimostra che la deforestazione causata dall’olio di palma è spinta principalmente dalle politiche europee e nazionali sui biocarburanti.
L’Ue: olio di palma non è combustibile verde
Lo scorso marzo, la stessa Unione europea ha stabilito che l’olio di palma non può essere considerato un combustibile verde. E non va incentivato proprio perché causa la deforestazione. Il suo uso verrà gradualmente ridotto a partire dal 2023 con l’obiettivo della completa assenza nel 2030, seppur con alcune esenzioni.
L’Italia, come ogni altro Paese dell’Unione europea, è chiamato a fare la sua parte. Modificando da subito i propri obiettivi sulle emissioni climalteranti, promuovendo energie rinnovabili anche nei trasporti eliminando gli incentivi per l’uso dell’olio di palma e dei suoi derivati nel biodiesel.
La produzione di olio di palma è tra le principali cause nella distruzione delle foreste pluviali e della fauna selvatica. Secondo uno studio per la Commissione europea, il biodiesel prodotto con olio di palma è tre volte peggiore per il clima rispetto a un prodotto diesel normale se si tiene conto delle emissioni indirette causate dalla modifica nell’uso della terra.
Eni: sorpresi della decisione. Ricorreremo al TAR
A stretto giro è arrivata la replica del colosso energetico, che si dice sorpreso della decisione dell’authority: «Eni ritiene di aver illustrato nel corso del procedimento le ragioni per cui le contestazioni mosse dagli Uffici dell’Autorità devono considerarsi infondate e di aver presentato alcune decisive evidenze che confermano la correttezza metodologica e informativa della propria comunicazione commerciale» si legge in una nota nella quale annuncia di voler ricorrere al TAR contro la decisione dell’Antitrust, una volta che saranno note le motivazioni del provvedimento.
«Eni ribadisce che il tratto distintivo del prodotto Diesel+ è la sua componente HVO (Hydrotreated vegetable oil) che, grazie a un rivoluzionario processo di idrogenazione degli oli vegetali, attribuisce al combustibile Diesel+ proprietà assolutamente uniche sotto il profilo ambientale. Le caratteristiche chimico-fisiche del bio-componente HVO ne aumentano la compatibilità con il gasolio fossile e consentono al carburante Eni Diesel+ di essere l’unico prodotto disponibile a livello nazionale contenente il 15% di componenti rinnovabili».