Disuguaglianze inverosimili, il fallimento di un modello di sviluppo
Un nuovo rapporto di Oxfam mostra come le disuguaglianze, figlie di un modello di sviluppo spietato, continuino ad aumentare vertiginosamente
- Il nuovo rapporto, diffuso per l’apertura del World Economic Forum di Davos, accende i riflettori sulle disuguaglianze generate a livello globale da un potere economico fuori controllo ed un potere politico incurante delle fratture nelle nostre società
- Dal 2020, i 5 uomini più ricchi al mondo hanno raddoppiato le proprie fortune (+114%), mentre 5 miliardi di persone più povere hanno visto complessivamente invariata la propria condizione
- Ai ritmi attuali, ci vorranno oltre 2 secoli (230 anni) per porre fine alla povertà, ma nel giro di un decennio potremmo avere il primo trilionario della storia dell’umanità
- 148 grandi aziende, nel 22-23, hanno realizzato profitti per 1.800 miliardi di dollari, con un aumento del 52,5% rispetto alla media del quadriennio precedente, elargendo ingenti compensi ai propri ricchi azionisti
Le disuguaglianze nel mondo continuano inesorabilmente ad aumentare. Nonostante gli obiettivi delle Nazioni Unite e i timidi tentativi di alcuni governi, le conseguenze di un modello di sviluppo votato di fatto al darwinismo economico appaiono sempre più evidenti. È quanto emerge da Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi, il nuovo rapporto pubblicato da Oxfam, organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze, in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos.
Dal 2020 i cinque uomini più ricchi al mondo (Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warren Buffett) hanno più che raddoppiato, in termini reali, i propri patrimoni. Passando da 405 a 869 miliardi di dollari, a un ritmo di 14 milioni di dollari all’ora. Mentre la ricchezza complessiva di quasi 5 miliardi di persone povere non ha mostrato barlume di crescita. Seguendo i trend attuali, nel giro di un decennio potremmo avere il primo “trilionario” della storia dell’umanità. Ovvero una persona che possieda più di mille miliardi di dollari. Ma ci vorranno oltre due secoli (230 anni) per porre fine alla povertà.
Le 10 più grandi aziende del mondo valgono come il Pil di Africa e America Latina
«Il rapporto ci dice che 7 delle 10 società più grandi al mondo hanno un miliardario come amministratore delegato o azionista di riferimento. Queste corporation hanno un valore di 10.200 miliardi di dollari. Superiore alla somma del Pil di tutti i Paesi dell’Africa e dell’America Latina – ha osservato Amitabh Behar, direttore esecutivo ad interim di Oxfam International -. Sembra di vivere in un film distopico, di trovarci agli albori di un “decennio dei grandi divari”. Con miliardi di persone a sopportare il peso di epidemie, inflazione, guerre, e una manciata di ultra-ricchi che moltiplicano le proprie fortune a ritmi parossistici».
«Il potere economico delle grandi aziende – prosegue il dirigente dell’organizzazione non governativa – è oggi decisamente fuori controllo. È una macchina che alimenta le disuguaglianze. Rendite monopolistiche, compressione dei costi e dei diritti dei lavoratori, elusione delle imposte che concorrono ad ampliare le fortune dei ricchi azionisti. L’estrema ricchezza è potere. Un potere spesso esercitato per condizionare le politiche pubbliche preservando posizioni di privilegio di sparute minoranze a discapito dell’interesse collettivo. E minando alla base l’essenza stessa della democrazia».
Disuguaglianze folli: agli ultra-ricchi 3.300 miliardi di dollari in più rispetto al 2020
L’aumento della ricchezza estrema nell’ultimo triennio è stato poderoso, mentre la povertà globale rimane inchiodata a livelli pre-pandemici. Oggi, i miliardari sono, in termini reali, più ricchi di 3.300 miliardi di dollari rispetto al 2020. E i loro patrimoni sono cresciuti tre volte più velocemente del tasso di inflazione.
L’incremento dei patrimoni dei miliardari rispecchia la straordinaria performance delle società che essi controllano. Il 2023 è destinato, in particolare, ad essere ricordato come l’anno più redditizio di sempre. Complessivamente, 148 tra le più grandi aziende al mondo hanno realizzato profitti per circa 1.800 miliardi di dollari tra giugno 2022 e giugno 2023. Con un aumento del 52,5% degli utili rispetto alla media dei profitti nel quadriennio 2018-21. Per ogni 100 dollari di profitti generati da 96 tra i maggiori colossi globali, 82 dollari sono finiti nelle tasche degli azionisti sotto forma di dividendi o buyback azionari.
Salari reali in calo di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022
A non essere ricompensato adeguatamente è invece chi con il proprio duro lavoro, spesso precario e poco sicuro, contribuisce a rendere floride quelle stesse imprese. L’analisi di Oxfam sui dati della World Benchmarking Alliance relativi a 1.600 tra le più grandi aziende del mondo rivela come solo lo 0,4% di esse si sia pubblicamente impegnato a corrispondere ai propri lavoratori un salario dignitoso. In molti casi le più penalizzate sono le donne. Basti pensare che a una lavoratrice del settore socio-sanitario servirebbero 1.200 anni per raggiungere la retribuzione annua percepita, in media, da un amministratore delegato delle cento aziende più grandi di Fortune.
Inoltre, mentre durante la fase più acuta della crisi legata all’inflazione le imprese sono riuscite a tutelare i propri margini di profitto, ampi segmenti della forza lavoro hanno perso potere d’acquisto. Per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione. Il relativo monte salari ha visto un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022, una perdita equivalente a quasi uno stipendio mensile (25 giorni) per ciascun lavoratore.
«Esiste una via d’uscita da questo status quo. I poteri pubblici devono riacquistare centralità. I governi devono promuovere società più eque, investendo in beni e servizi pubblici di qualità accessibili a tutti. Restituendo potere, dignità e valore al lavoro, agendo sulla leva fiscale per appianare le disuguaglianze – conclude Behar –. I governi devono anche ricondurre il potere economico a obiettivi che vadano a beneficio dell’intera collettività. Spezzando i regimi monopolistici, tutelando la concorrenza. Tassando gli enormi profitti aziendali. E incoraggiando, anche per via normativa, il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità sociale ed ambientale».