«Dobbiamo superare la pandemia dell’avidità umana»
Intervista a Vandana Shiva, il cui nuovo libro si concentra sull'avidità: il disvalore sul quale abbiamo fondato il nostro sistema economico
Esce oggi, giovedì 17 febbraio, per i tipi di EMI il libro di Vandana Shiva, intitolato “Dall’avidità alla cura. La rivoluzione necessaria per un’economia sostenibile”. Un volume intenso e appassionato che propone un’alternativa strutturale alla pandemia dell’avidità che sta svuotando la Terra di risorse, di biodiversità, di vita.
Nel suo libro “From Greed to Care” scrive di tre pandemie che ci stanno colpendo simultaneamente: quella del coronavirus, quella della fame e infine la pandemia dei mezzi di sussistenza. Ci può dire qualcosa su queste pandemie e come si collegano fra loro, creando la più complessiva pandemia della disuguaglianza? È una visione che, mi sembra, lei condivide con quella di papa Francesco.
Sì, effettivamente. Il libro è nato in occasione dell’invito che avevo ricevuto a parlare ai giovani sull’economia di san Francesco. Le tre pandemie sono collegate l’una all’altra in un rapporto di causalità, come dei sintomi comuni. La causa è che abbiamo costruito un’economia globalizzata, guidata dall’unico motore dell’avidità. In questa situazione nessuno guadagna eccetto le multinazionali. I cui profitti crescono, le cui quotazioni sui mercati s’impennano, il cui accesso alle risorse aumenta.
«Con un’economia basata sull’avidità nessuno guadagna eccetto le multinazionali»
È la finalità del WTO: niente altro che alimentare l’avidità. In questa costruzione il sistema agricolo, di cui era già nota l’insostenibilità e l’iniquità, è stato rapidamente globalizzato. Nel 1984 ho compiuto i miei studi sul Punjab e la “rivoluzione verde” che aveva distrutto la terra, l’acqua, i contadini. Per 14 mesi i contadini protestarono nelle strade perché quell’agricoltura industrializzata, fondata sulla chimica, era devastante per la Terra e per i contadini.
Tutto questo ha subito una forte accelerazione durante la globalizzazione. Abbiamo visto nello stesso tempo che mentre l’agricoltura subiva il processo di industrializzazione, un numero maggiore di persone soffriva la fame. Abbiamo anche sperimentato che meno persone lavoravano la terra, più l’agricoltura era considerata produttiva. Che il cibo prodotto fosse maggiore o migliore non faceva differenza. Ciò che importava veramente è che al denominatore della formula vi fosse un numero minore di contadini. Così creare una crisi di mezzi di sostentamento è diventata la base di tutto. E distruggere il cibo e trasformarlo in una merce.
Quali sono le conseguenze oggi?
Molto buone aziende e contadini indiani (come di altre parti del mondo) sono stati distrutti per coltivare il genoma nell’Amazzonia. E quando si invade la foresta succede che, tutte le ricerche concordano, 300 epidemie emerse negli ultimi 30 anni della globalizzazione vengono da lì. E perché le foreste sono state invase? A causa dell’agroindustria. E perché l’agroindustria distrugge le foreste? Per produrre più merce, non per produrre più cibo. Quindi che si tratti della crisi del coronavirus o della crisi dei mezzi di sussistenza o della crisi della fame, esse hanno le loro radici nello stesso modello.
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Ma con il Covid, le soluzioni hanno aggravato le altre due crisi. Il World Food Program ha ammesso che non abbiamo mai riscontrato una così profonda crisi alimentare. Ci sono dati impressionanti anche nei cosiddetti Paesi sviluppati, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti: quante persone sono lì in fila per chiedere del cibo agli enti di assistenza? La fame è aumentata. Una tipica persona che soffre la fame non è più identificata con un indiano o una persona dell’area sahariana. È ovunque. Il diritto al cibo è stato distrutto.
Se guardiamo alle proteste a livello globale in questi decenni, la maggior parte si concentrava appunto sui beni di sostentamento e sul lavoro: si chiedeva di poter sopravvivere, poter vivere in abitazioni decenti, di poter lavorare. Negli ultimi due anni, il Covid è stato solo l’innesco che fatto esplodere ciò che era già sbagliato nel modello economico. Invece di correggere quelle storture, il Covid ha eliminato ogni freno. Ecco perché abbiamo bisogno di un sistema che possa imporre dei limiti: ogni sistema richiede un qualche tipo di regolazione. Anche il nostro corpo ha un metabolismo che lo regola. Ecco, abbiamo bisogno di un metabolismo dell’economia.
Lei oppone a questo eco-apartheid, costruito sull’avidità e sui falsi assunti della separazione e della superiorità, l’idea di una “Democrazia della Terra” nella quale tutto il vivente è collegato in un unico organismo vivente. Il Pianeta, appunto. Si tratta di una filosofia attraverso la quale possiamo decifrare una nuova possibilità per affrontare i cambiamenti climatici, le diseguaglianze economiche. È così?
Sì, per questo cerco di articolare una proposta di “Democrazia della Terra”. In fondo siamo tutti interconnessi in un unico Pianeta. A mio parere l’enciclica «Laudato Si’” propone questa visione. Nella nostra cultura tutta la Terra è una sola famiglia. Ne ho parlato anche nel mio libro sulla “Democrazia dopo Seattle”.
«Abbiamo bisogno di un metabolismo dell’economia»
Lì abbiamo fermato il WTO. Ricordo i giornalisti che mi dicevano che era chiaro a cosa ci opponevamo, ma non a cosa eravamo favorevoli. E io rispondevo che noi sappiamo benissimo a cosa siamo favorevoli e per questo siamo contro il WTO. Noi siamo per l’acqua e per questo siamo contro la sua privatizzazione. Siamo a favore dell’agricoltura, della terra, dei contadini e per questo siamo contro la mercificazione. Siamo per i semi e per questo non accettiamo Monsanto che pretende di possedere i semi geneticamente modificati. Sappiamo per cosa siamo: per la Terra, per le persone e per le economie della vita.
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L’economia non è la macchina per fare soldi di pochi ricchi. Aristotele lo ha chiarito perfettamente e io ne parlo nel libro: oikonomia per Aristotele era l’arte di vivere. Fare soldi era la crematistica. E noi abbiamo fatto un grande errore a ridurre l’economia ad una macchina per fare soldi nelle mani di un manipolo di poche imprese e di pochi miliardari. Questa economia è una “diseconomia”.Perché fa un disservizio alla Terra, alle persone e alla giustizia. Apartheid significava “separazione” nel linguaggio degli Afrikaaner bianchi che governavano il Sudafrica: volevano creare uno Stato governato dalle leggi bianche in Africa.
Ma la parola apartheid significa anche superiorità: infatti avevano creato un sistema in cui i bianchi erano dichiarati superiori. Questo colpiva i neri, ma prima ancora colpiva gli indiani. Perché loro erano quelli colti, erano avvocati e giuristi come Gandhi. E la prima campagna di disobbedienza civile di Gandhi era contro queste leggi di superiorità, che cercavano di costringere gli indiani in uno stato di inferiorità. La legge era del 1906 e ci volle un’azione di disobbedienza civile che durò fino al 1911 quando finalmente la legge fu abolita. Ho osservato a lungo questi ultimi anni e ho visto la separazione crescere, non solo fra le persone, ma anche fra la natura e gli umani; per questo parlo di eco-apartheid.
L’apartheid ecologico consiste nell’illusione della separazione dalla natura e nella pericolosa illusione che pochi uomini ricchi siano superiori agli altri umani e alla natura. Questa illusione è all’origine di tutta la violenza che abbiamo di fronte, contro la natura e nella società. La mia idea è che siamo tutti uniti in un’unica famiglia. Siamo uniti e diversi: la diversità non è disuguaglianza, così come l’uniformità non è uguaglianza.
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La diversità è libertà. La Democrazia della Terra celebra questa diversità nella natura (biodiversità) e nella cultura. Questo significa che dobbiamo liberarci della categoria della colonizzazione, delle false idee di industrialismo che hanno creato l’illusione che potessimo usare le fonti fossili per un ulteriore sviluppo e che se non usi le fonti fossili sei un paese sottosviluppato.
Ho vissuto questa condizione nel mio Paese. Se non usavi la plastica o i pesticidi eri considerato un Paese del sottosviluppo. Dobbiamo smontare la logica della separazione delle conoscenze. Io ho imparato così tanto ai contadini indiani, che non sono affatto incolti come pretendono i grandi tecnocrati, i quali non capiscono che uno strumento di appropriazione non è conoscenza, è violenza. Dobbiamo mettere tutto questo insieme e cambiare il sistema dalla violenza alla pace e nonviolenza.
Concentriamoci sull’economia. Nel libro lei parla della violenza della colonizzazione che inizia con la Compagnia delle Indie Orientali, il primo modello di multinazionale. È un modello di estrattivismo, opposto alla cura. La finanza è diventata in qualche modo l’interprete maggiore di questo modello economico violento. Di quale tipo di diversa finanza avremo bisogno della Democrazia della Terra?
Quando ero adolescente, viaggiando da uno Stato all’altro, per quanto vi fosse una moneta statale, usavamo tantissime monete locali assolutamente legittime. Durante la Grande Depressione in America c’erano circa tremila nuove monete locali perché il dollaro aveva creato tanti e tali disastri rendendo impossibile la vita che dovevi creare la tua propria moneta locale. Dovrei ringraziare i latini per averci dato il vero significato di molte parole. In particolare dell’economia.
La parola currency (denaro, valuta) significa originariamente “ciò che scorre”, una “corrente”, come un fiume. Il cibo è la “corrente” della vita, così come l’acqua e il respiro. Sono queste le “valute” veramente importanti per la vita. Abbiamo bisogno di recuperare consapevolezza dell’originale significato di quel termine. Poi, chiaramente, abbiamo bisogno di unità di misura finanziarie, come mediatrici per scambiare. Ma anche queste devono essere basate sulla diversità.
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Oggi la gran parte delle banche centrali è di fatto privata. E, inoltre, in questa fase registriamo l’irrompere delle criptovalute nell’ambito della finanza. Prima di scrivere il libro, Microsoft mi ha mandato un modello di valutazione: come utilizzatori di macchine il nostro valore in termini di criptovalute è valutato da algoritmi. Ma questo è sbagliato perché ciò non considera il valore intrinseco di ciascuna individualità. Il mio lavoro sui semi, invece, prende in considerazione questa unicità del valore di ogni vita.
Mentre loro sulla base di un algoritmo e in termini di criptovalute decidono se meriti un prestito sociale, un casa, un’assicurazione, del cibo. Questo è molto pericoloso. Io penso che occuparsi creativamente di finanza e denaro al fine di mantenere la infrastruttura della vita sarebbe funzionale ad un’economia come arte del vivere. È un modello radicalmente diverso da quello nel quale, mentre soffrivamo le tre pandemie, i super-ricchi se ne sono usciti con 1.500 miliardi di extra-bonus. Questo sarebbe sufficiente a svegliarci.
Non so se ha avuto notizia del fatto che di recente l’Italia ha modificato la propria Costituzione inserendo in due articoli il tema del diritto all’ambiente, in particolare tenendo in considerazione il diritto delle future generazioni ad un ambiente sano. Che relazione può esserci fra questa innovazione costituzionale e la sua idea di una economia delle cura?
C’è una fortissima relazione. Nell’ultima sezione del libro ho affrontato questo tema e inizio affermando il principio che questo universo è per tutti. Il Pianeta ha abbastanza per tutti per vivere ma non per l’avidità di poche persone. Quindi, come ho detto, bisogna porre un freno all’avidità. Inserire nella Costituzione il diritto all’ambiente anche per le future generazioni significa assumere in pieno questa antica sapienza nella quale regoliamo noi stessi in base all’etica. Inserire questi principi nella Costituzione implica che le leggi che da essa discendono dovranno contemplarli.
Dopo che i Paesi ricchi avevano indebolito il trattato di Copenhagen sul clima, Evo Morales tornò al suo paese e dichiarò che avrebbe lavorato sui diritti di Madre Terra, ed è per questo che oggi abbiamo una bozza di Dichiarazione sui diritti di Madre Terra. Ho fatto parte del processo che ha portato all’inserimento dei diritti della natura nella Costituzione dell’Ecuador e c’è un caso di fronte alla giustizia internazionale sul caso dell’Amazzonia basato proprio su questo. Sono piccole linee di sviluppo, ma la loro assenza può significare il via libera all’avidità. Viceversa la loro presenza in Costituzione significa che possiamo utilizzarli per creare le condizioni per proteggere il pianeta e costruire l’economia della cura.
Ho trovato interessante nel suo libro il fatto che alla base di tutto vi sia l’idea che siamo tutti collegati in una sola entità vitale che è la nostra Madre Terra. È qualcosa che richiama molto il concetto della “struttura che connette” che fonda il lavoro di Gregory Bateson in Mente e natura. Una necessaria unità. Quale debito o collegamento sente di avere con le opere di Gregory Bateson?
Ho tirato fuori dalla libreria il suo libro “Mente e natura” proprio di recente. Il fatto che fosse nella mia libreria significa che molto tempo fa l’ho certamente letto. Sicuramente l’idea di modelli connettivi e il fatto che lui parli della tossicità del pensiero cartesiano, di cui pure io ho scritto nel libro, mi sono familiari. Io credo di dovere molto a chiunque abbia pensato e parlato di interconnessione perché, purtroppo, sono poche le persone che lo fanno.
Quando combattevo contro gli OGM sapevo che il sistema era sbagliato, ma non conoscevo la biologia. Ma c’erano persone come Brian Goodwin che mi ha chiarito molte cose da quel punto di vista. Questa interconnessione, indipendentemente da quale sia la sorgente, è ciò di cui abbiamo bisogno. Giorni fa stavo intervenendo sul futuro dell’educazione e gli esperti di tecnologia insistevano sulla formazione a distanza.
Io ho chiesto cosa pensavano dei possibili danni alla vista dei bambini che questa poteva alla lunga causare. Loro hanno risposto che dovremmo pensare ad interventi di sanità digitale. Ho replicato affermando che questo era l’approccio sbagliato, perché ci si dovrebbe fermare un momento, comprendere l’impatto e applicare il criterio dell’evitare il danno (do not harm). Voi fate maggiori profitti vendendo gadget piuttosto che pensare dal punto di vista del bambino, piuttosto che alla loro libertà di pensiero, di imparare dalla natura, dalla connessione fra mente e natura di cui Bateson parla.
Questo ci conduce alla conclusione del suo libro: il ritorno alla terra.
Vandana Shiva – Io ho sempre cercato di capire la natura e la terra, sia attraverso i miei studi che attraverso la mia vita ecologica. Volevo cercare di vedere tutto quello che non riusciamo più a vedere: siamo diventati ciechi alla biodiversità, alla struttura della terra. In qualche modo ritorno alla terra è un risveglio.
«Le cinque più grandi multinazionali finanziarie oggi gestiscono tutto»
Tornando alle tre pandemie posso dire che solo il ritorno alla terra ci consentirà di debellare il Covid, la fame, la povertà. Solo tornando alla terra le nostre mani, le nostre menti e i nostri cuori torneranno ad un lavoro creativo. L’idea di collocare il lavoro fisico ad un livello basso e sostituirlo con sempre più raffinate tecnologie non funziona.
Le cinque maggiori multinazionali finanziarie oggi gestiscono tutto. Negli ultimi cinque anni si sono impossessate di tutte le politiche dell’India. Loro decidono come gestire la società civile, la sanità e lavorano sulle soluzioni climatiche. Abbiamo bisogno di un ritorno alla terra per un ritorno alla realtà, in un tempo di fake news, fake food, fake education. Torniamo alla nostra vera essenza, a ciò che veramente la vita è, alla oikonomia.