Donald Trump ora si presenta come il paladino delle criptovalute
Dopo averle criticate per anni, Donald Trump strizza l'occhio al mondo delle criptovalute. Anche lanciando una piattaforma "di famiglia"
«Purtroppo assistiamo ad attacchi contro le criptovalute. Fanno parte di un disegno molto più ampio, portato avanti dagli stessi fascisti di sinistra per sfruttare il governo come un’arma contro qualsiasi cosa minacci il loro potere. Hanno fatto lo stesso anche contro di me». Sul palco della Bitcoin Conference che si è tenuta a Nashville a fine luglio, nel bel mezzo della campagna elettorale per le presidenziali americane, il candidato repubblicano Donald Trump ha messo in scena il suo solito show. Dopo meno di un mese ha rincarato la dose, annunciando il sostegno alla nuova piattaforma di criptovalute lanciata dalla sua famiglia.
La famiglia Trump lancia la sua piattaforma di criptovalute
La piattaforma si chiama “The DeFiant Ones”. Un gioco di parole che applica l’aggettivo defiant (ribelle) al concetto di finanza decentralizzata, con il quale ci si riferisce a blockchain e criptovalute come alternative ai tradizionali intermediari finanziari. Il progetto nasce dai figli dell’ex-presidente, Eric e Donald Jr., e lo gestisce la holding di famiglia, la Trump Organization.
Il tycoon lo ha promosso ai suoi 7,5 milioni di follower su Truth, il social network che lui stesso ha fondato dopo essere stato messo al bando da Facebook e Twitter in seguito all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. All’interno del post c’era anche il link per iscriversi al canale Telegram. Questo è quasi tutto ciò che si sa, almeno per ora. Nelle intenzioni di Donald Trump Jr, The DeFiant Ones dovrebbe sfidare le banche tradizionali, offrendo nuove opportunità anche a soggetti che ne sono esclusi. Ma, per ora, non ci sono ancora informazioni su come funzionerà né sulla data di lancio.
Donald Trump promette di trasformare gli Usa nella capitale delle criptovalute
Le criptovalute sono uno dei tanti argomenti sui quali Donald Trump ha cambiato idea nel corso degli anni. Nel 2019, quando era alla Casa Bianca, le aveva aspramente criticate perché «non sono denaro», «il loro valore è altamente volatile e si basa sul nulla» e perché, se non regolamentate, si prestano a utilizzi illeciti. Uno scetticismo ribadito più e più volte in varie occasioni pubbliche.
Ora Trump possiede tra gli 1 e i 5 milioni di dollari in criptovalute. E, durante la sua terza campagna per le elezioni presidenziali, promette di trasformare gli Stati Uniti nella loro «capitale planetaria». «Farò in modo che il futuro delle criptovalute e dei Bitcoin sia negli Stati Uniti, non altrove. Sosterrò il diritto all’auto-custodia per i 50 milioni di americani che le detengono», ha dichiarato alla convention del Partito libertario americano, a maggio. «Con il tuo voto, terrò lontani dai tuoi Bitcoin Elizabeth Warren e i suoi scagnozzi» [la senatrice democratica è autrice di una proposta di legge volta a fermare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo mediante gli asset digitali, ndr]. E Gary Gensler, presidente della Securities and Exchange Commission che ha cercato di mettere ordine nel comparto a suon di indagini e sanzioni? Il tycoon promette di licenziarlo nel primo giorno del suo mandato.
Le proposte di Donald Trump e quelle di Kamala Harris
Alcuni sondaggi arrivano a dire che il 20% della popolazione statunitense adulta possegga criptovalute. La Federal Reserve – più cauta – parla del 7%, una percentuale in calo rispetto al 2021. Resta il fatto che simili prese di posizione possono spostare consensi. Tanto più dopo il passo indietro di Robert F. Kennedy Jr., che aveva proposto di spostare l’intero bilancio statunitense su blockchain: ha sospeso la sua candidatura da indipendente in dieci Stati in bilico, passando dalla parte repubblicana.
Un altro obiettivo, altrettanto strategico, è quello di attrarre finanziamenti per la campagna elettorale. Donald Trump, non a caso, è il primo candidato di punta alla presidenza americana ad accettare donazioni in criptovalute. Ma, al netto delle roboanti dichiarazioni ai comizi e della piattaforma dai contorni ancora confusi, cosa intende fare se sarà eletto? Elaborare un quadro normativo favorevole, innanzitutto; accumulare una «scorta nazionale strategica di Bitcoin»; e fermare l’emissione di una valuta digitale da parte della Federal Reserve.
La sua sfidante, la democratica Kamala Harris, non ha ancora preso una posizione chiara in materia. Il suo partito, infatti, appare diviso. Da un lato c’è la necessità di mostrare continuità rispetto all’amministrazione di Joe Biden, i cui esponenti – a partire dai già citati Elizabeth Warren e Gary Gensler – premono per assoggettare le criptovalute a normative più severe, paragonabili a quelle in vigore per gli strumenti finanziari propriamente detti. Dall’altro lato, ci sono fazioni dei democratici che invitano Harris ad adottare un approccio più aperto. Tant’è che, secondo alcune indiscrezioni, il team della sua campagna elettorale avrebbe preso contatti con esponenti del settore.
I milioni di Big Crypto per influenzare le elezioni americane
Questo fitto dialogo non stupisce. Stando a Public Citizens, infatti, le grandi società del mondo delle criptovalute – Coinbase e Ripple in testa – finora hanno investito più di 119 milioni di dollari per le elezioni federali del 2024. Convogliandoli soprattutto in un super PAC chiamato Fairshake. Questa tipologia di organizzazione, nata in seguito alla sentenza della Corte Suprema Citizens United v. FEC del 2010, ha la facoltà di raccogliere e spendere qualsiasi cifra per sostenere la campagna elettorale, a patto di mantenersi formalmente indipendente dai candidati. Fairshake ha rastrellato, in tutto, 202,9 milioni di dollari: più della metà arriva direttamente dalle grandi aziende del mondo cripto, il resto dai loro dirigenti (come il Ceo di Coinbase Brian Armstrong che ha donato un milione) e da venture capitalist.
Per mettere questi numeri in prospettiva, Public Citizens ha rintracciato i contributi stanziati dalle corporation per influenzare le elezioni federali dal 2010 in poi (escludendo quindi quelli erogati dai miliardari a titolo personale, che sono la maggior parte). Il totale è di 884 milioni di dollari. Il mondo delle criptovalute, da solo, ne totalizza 129: i 119,2 di questa tornata, sommati ai 4,6 del 2020 e ai 5,2 del 2016. Soltanto le big dei combustibili fossili hanno fatto di più con 176 milioni negli ultimi quattordici anni, di cui 73 provenienti dal gruppo Koch Industries, strenuo sostenitore dei conservatori. Certo, non c’è nulla di nuovo nel fatto che un determinato settore industriale lavori per sostenere i candidati disposti a portare avanti le sue istanze. Ma, in quanto a donazioni da parte delle aziende, il segmento delle criptovalute sta mostrando un’intraprendenza senza pari.