Elezioni europee, comunque vada i princìpi fondanti sono sotto attacco

Qualunque sia l'esito del voto europeo, difficilmente saranno bloccate le decisioni liberticide in materia di controllo dei contenuti web e dei dati biometrici

Roberto Ferrigno
Roberto Ferrigno
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Le prossime elezioni europee, con il successivo fumettone sulla nomina del presidente della Commissione europea, saranno, come sempre, lo specchio appannato e slabbrato di conflitti e correnti nazionali. Il ruolo della Francia nell’UE a trazione tedesca e l’emergere di partiti e richiami “populisti” in diversi Paesi UE saranno probabilmente gli unici punti interrogativi in un futuro prossimo di sostanziale continuità.

Priorità disattese e trasparenza tradita

Rammentiamo che nessuna delle cosiddette “priorità” dichiarate da Juncker nel 2014 è stata risolta positivamente. Della politica comune sulle migrazioni non si vede traccia. L’auspicata ripresa economica si è tradotta nella moltiplicazione di impieghi precari e sottopagati. La competizione fiscale tra Stati si è accentuata, con l’Olanda che ormai si è aggiunta ai tradizionali paradisi fiscali in Irlanda, Cipro, Malta, Regno Unito, Lussemburgo.

Il colpo di mano istituzionale che ha portato alla nomina di Martin Selmayr, tedesco di stretta osservanza CDU, a segretario generale della Commissione, una posizione cha da amministrativa si è trasformata ormai nell’apice politico della struttura, in aggiunta alla immutabile segretezza dei lavori del Consiglio in tutte le sue articolazioni, hanno poi clamorosamente smentito le roboanti dichiarazioni sulla necessità di aumentare trasparenza e responsabilità democratica nel processo decisionale UE.

Due strategie per blindare lo status quo

Il sistema quindi è stato blindato a difesa della continuità, proprio perché quella “frattura sociale” denunciata dal vecchio leone gollista Chirac a metà degli anni ’90, oggi è diventata un abisso, che si estende dalla Francia dei “Gilets Jaunes” alla Lituania, dove il 30% degli abitanti è a rischio di povertà.

La difesa ad oltranza dell’esistente si dispiega lungo un doppio asse: suscitare la paura del nemico esterno – la Russia, il terrorismo islamico, l’immigrazione clandestina; reprimere anche violentemente e censurare le contestazioni e le espressioni critiche interne, sia nelle strade sia nella rete. In questo, la gestione della crisi greca ha funzionato da laboratorio.

Una guerra ibrida dentro la Ue

La censura pressocché totale dei media europei sulla violenta repressione dei gilet gialli francesi e la costituzionalizzazione dello stato d’eccezione da parte di Macron, che dona ampi poteri a polizia e magistratura transalpini, sono sintomo inequivocabile della guerra ibrida che si combatte ormai all’interno della UE, con l’obiettivo di stroncare qualsiasi opposizione.

Con la scusa della difesa dal terrorismo e dall’immigrazione clandestina, “l’Europa che protegge” – secondo lo slogan caro a Juncker – si è mobilitata compatta. Negli ultimi anni, Commissione, governi e parlamento europeo hanno lavorato in notevole armonia per adottare una serie di misure che hanno intaccato proprio quei principi fondanti dell’UE che dovrebbero difendere e promuovere. Il tutto in una straordinaria mancanza di attenzione da parte dei media. Due esempi su tutti posono aiutare a capire di cosa parliamo.

Weber, Juncker, Tusk al congresso PPE
Il tedesco Manfred Weber insieme all’attuale presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker e al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.

1. Il Regolamento contro la diffusione di contenuti terroristici online

Nel 2015, in seguito ad una serie di attacchi terroristici, la Commissione europea ha riunito Google, Facebook, Twitter e Microsoft per formare il “Forum Internet europeo” ai fini di “proteggere il pubblico dalla diffusione di contenuti terroristici” . L’idea di base: affidare ai giganti digitali la missione di identificare e censurare la propaganda online.

A giugno e dicembre 2017, la Commissione si congratula con i quattro giganti per la soluzione che hanno costruito: compilare una “black list” digitale composta da decine di migliaia di immagini e video classificati come “terroristi” dai loro servizi di moderazione (che mescolano “intelligenza artificiale” e migliaia di impiegati sfruttati nei paesi poveri).

Tutti i servizi web useranno la “black list” per filtrare il contenuto che trasmettono. Tutto ciò senza giudici, senza alcun controllo democratico.

La Commissione europea pubblica quindi la sua proposta di regolamento il 12 settembre 2018, in tutta discrezione.

Obblighi pesanti per gli host web

Il testo prevede l’imposizione di numerosi obblighi per gli host web. In particolare, esso richiede il ritiro in meno di un’ora dei contenuti pubblicati ed identificati come “terroristici”, banalizzando l’azione poliziesca o la censura privata e quindi l’elusione della giustizia, attraverso la creazione di filtri automatici identificati come la chiave per le politiche di censura nell’era digitale. Solo una manciata di hosts sarà in grado di soddisfare tali obblighi, in particolare il tempo limite di un’ora per censurare. Altri operatori – la stragrande maggioranza che è stata il corpo vivo di Internet sin dall’inizio – non saranno in grado di rispondere in tempo e saranno sistematicamente sanzionati.

In aprile, il parlamento adotta la propria posizione, mantenendo l’obbligo di rimozione entro un’ora previsto dalla Commissione. Questo nonostante sia l’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali, sia l’ufficio dello European Data Protection Supervisor (EDPS) avessero espresso critiche severe riguardo la vaghezza di alcune definizioni-chiave del regolamento, da quella di “contenuto terrorista” a quella dell’”incitamento” a compiere atti terroristci, che potrebbero aprire la strada alla repressione indiscriminata della libertà di pensiero. Neanche l’opinione critica comunicata alle istituzioni UE dallo Special rapporteur dell’ONU per il diritto alla libertà di opnione e di espressione e per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella lotta al terrorismo ha fermato la macchina repressiva UE che affida la censura della rete al signor Zuckerberg.

2. Regolamento sulla sicurezza delle carte d’identità Ue

Lo scorso marzo, a seguito dell’ennesimo negoziato segreto tra Commissione, Consiglio e Parlamento, si è raggiunto l’accordo sull’art.3 della proposta della Commissione che prevede, nell’ambito della standardizzazione delle carte d’identità rilasciate dai Paesi UE, l’obbligo di includere impronte digitali e foto nelle carte rilasciate a tutti i cittadini dell’unione a partire dai 12 anni di età.

Questo obbligo riguarda 370 milioni di persone, circa l’85% della popolazione dell’UE – tutti i cittadini che vivono in uno Stato membro che adotta una carta d’identità nazionale, indipendentemente dal fatto che tali carte siano obbligatorie o meno. Da notare che, una volta introdotto il requisito biometrico a livello dell’UE, non sarebbe possibile revocare l’obbligo delle impronte digitali nelle carte d’identità attraverso una legge nazionale.

Ma dov’è la proporzionalità della proposta?

La valutazione d’impatto della Commissione, che precede qualsiasi nuova iniziativa legislativa UE, aveva raccomandato di escludere le impronte digitali obbligatorie dalla proposta, in quanto scelta più “efficiente e proporzionale” rispetto all’obiettivo del regolamento.

Nessuna delle istituzioni UE ha tentato di dimostrare la necessità e la proporzionalità della proposta di rilevamento delle impronte digitali.Tuttavia, poiché la proposta viola i diritti fondamentali, sarebbe spettato ai legislatori dimostrare che tali infrazioni “sono necessarie e rispondono effettivamente a obiettivi di interesse generale riconosciuti dall’Unione o alla necessità di proteggere i diritti e le libertà altrui” (articolo 51, paragrafo 1 della Carta dei diritti fondamentali). Ma i legislatori UE non hanno dimostrato alcunché.

Eppure, il rischio per le libertà civili, data la sicurezza incerta dello strumento biometrico e le numerose possibilità di sottrarre o manomettere i dati stoccati, è elevato. Questo obbligo interferisce con i diritti fondamentali alla privacy e alla protezione dei dati.

La Corte di giustizia europea in un suo precedente giudizio, ha ritenuto che l’uso dei dati biometrici nei passaporti fosse una misura proporzionata all’obiettivo di mantenere la sicurezza. Ma i cittadini europei non sono obbligati ad avere il passaporto. Nel caso delle carte d’identità la soglia per soddisfare la prova di necessità dovrebbe essere più elevata, poiché queste sono obbligatorie in alcuni Stati membri in cui le impronte digitali non sono attualmente raccolte. Ma il regolamento non provvede alcuna certezza che le impronte digitali conservate nelle carte d’identità saranno sufficientemente sicure per proteggere i diritti dei cittadini e se sono efficaci nella prevenzione delle frodi documentali.

Un “deposito centrale di identità”

Infine, i governi nazionali potrebbero cogliere l’opportunità offerta dall’introduzione di dati biometrici nelle carte d’identità per istituire banche dati nazionali. Queste potranno essere collegate, nell’ambito dell’iniziativa sulla “interoperabilità” dell’UE, che prevede di riunire tutte le banche dati esistenti e future dell’UE e la creazione di un unico, gigantesco “deposito centrale di identità” che, nella sua prima fase, è già disposto conserverà i dati biometrici e biografici di quasi tutti i “cittadini di paesi terzi” che entrano nell’UE.

Le proposte attualmente in discussione prevedono che questo verrà esteso in futuro per includere banche dati nazionali contenenti informazioni sui cittadini dell’UE, permettendo alle autorità di polizia, attraverso Europol, di avere accesso ai dati stoccati anche in assenza di un mandato giudiziario. Questo, secondo Statewatch, (organizzazione indipendente che controlla il rispetto delle libertà civili nell’Unione europea) segnerà il punto di non ritorno nella creazione del Grande Fratello UE che, con la scusa di proteggerci, mira al soffocamento delle libertà fondamentali, attraverso la censura ed il controllo pervasivo ed oppressivo di pensieri, movimenti ed attività dei cittadini UE.

Il pericolo concreto di erosione dei diritti

Quelli illustrati finora sono solamente alcuni esempi della panoplia di strumenti che governi ed istituzioni UE stanno mettendo in campo. Si puo’ tranquillamente affermare che il complesso militare e securitario si avvia a rivestire un ruolo sempre più importante nel futuro UE: dai controlli delle frontiere esterne a quelli del fronte interno.

Uno sviluppo importante, che già ha causato l’erosione di alcuni importanti diritti fondamentali ma che sfugge alla percezione e quindi al controllo della stragrande maggioranza dei cittadini, grazie alla complicità dei grandi media europei, che costituiscono un importante pilastro a sostegno della duplice strategia a difesa dell’attuale sistema UE.

Il sistema probabilmente non verrà intaccato, qualsiasi sarà l’esito del voto nelle prossime elezioni per il parlamento europeo. La chiave di volta dell’UE dovrebbe essere rappresentata proprio dai suoi cittadini. Ma il fossato che li separa dalle “stanze dei bottoni” di Bruxelles sta diventando un baratro.