Eni e Neptune Energy, al matrimonio si brinda con petrolio e gas
L'acquisizione da parte di Eni della britannica Neptun Energy appare in perfetta continuità con il business as usual della compagnia italiana
Eni ha trovato finalmente l’anima gemella ed è convolata felicemente a nozze. Secondo l’immarcescibile Ad Descalzi l’acquisizione da parte di Eni della britannica Neptune Energy è un’operazione strategica per il cane a sei zampe: «Eni e Neptune Energy sono fatte l’una per l’altra, la sovrapposizione geografica e operativa è incredibile». Matrimonio d’amore e di convenienza. La dote portata in famiglia a San Donato Milanese è costata 4,9 miliardi di dollari, più cassa per buyback e dividendi.
Gli obiettivi di decarbonizzazione appaiono ancora più difficili da raggiungere
Ma dal punto di vista della strategia si tratta di decarbonizzazione, un contributo per allontanarsi sempre di più dai già poco credibili obiettivi di azzeramento delle emissioni di CO2 di tipo Scope3 al 2050. Alle nostre domande, in qualità di azionisti critici, durante l’Assemblea degli azionisti dello scorso maggio, Eni così rispondeva: «Le emissioni nette verranno azzerate al 2050 grazie alla riduzione della produzione di idrocarburi e all’incremento del portafoglio prodotti energetici low carbon/ green dovuto principalmente allo sviluppo di energia rinnovabile ma anche da fusione magnetica e dalla produzione di biocarburanti». Abbiamo la netta impressione che ce ne vorrà molta, ma molta di più di energia rinnovabile prodotta, visto il contributo di idrocarburi che il recente matrimonio con Neptune Energy porta in dote.
Infatti, la società britannica, opera pesantemente nel settore. Dove? In Norvegia prima di tutto. Fra il Mare di Barents (Snøhvit) e la parte meridionale del Mare del Nord (Gudrun), Neptune Energy gestisce ben sette campi estrattivi di petrolio e gas, che assicurano circa la metà dell’intera produzione della società. Un produzione, fra gas e petrolio, pari a 58,3 kboepd (migliaia di barili equivalenti al giorno) Però, niente paura, queste attività di perforazione e produzione di idrocarburi sono alimentate da energia idroelettrica generata onshore. Quindi “sostenibile”.
Neptune Energy, un colosso presente in tutto il mondo
Ma il gruppo Neptune Energy spazia da Nord a Sud, da Est a Ovest del globo. In Algeria gestisce l’impianto di estrazione di gas di Touat, dove dall’avvio nel 2020 per i successivi 20 anni, produrrà gas e petrolio. Nel deserto in Egitto gestisce impianti estrattivi di gas e petrolio e nel Golfo di Suez detiene licenze estrattive. Totale Nord Africa: il 4% dell’intera produzione della società. Dall’area del Pacifico e dell’Asia Neptune Energy trae il 15% della produzione del Gruppo. In particolare in Indonesia e in Australia. Qui, nel Mare di Timor, con un progetto dall’evocativo nome di “Bonaparte”, si occupa di “stranded gas”.
Non mancano attività nei mari d’Inghilterra (11% della produzione totale), nei Paesi Bassi con ben 29 impianti offshore nel Mare del Nord (14% della produzione) e in Germania con raffinerie nella Valle del Reno e centrali di gas naturale (13% della produzione) dove pure, ci informano, hanno una staff capace di smantellare vecchi impianti e oleodotti (ben sostituiti da nuovi, visto che sono la seconda azienda tedesca nella produzione petrolifera (producendo e distribuendo il 16% del fabbisogno del paese) e la terza per il gas naturale (12% del fabbisogno).
Eni è sempre più concentrata sugli idrocarburi
Eni, dunque, rafforza la sua capacità produttiva di idrocarburi con questo matrimonio perfetto. Nel nostro engagement con la società abbiamo messo in rilevo come apparisse assai sovradimensionata l’aspettativa di compensare le emissioni di CO2 da idrocarburi con i progetti di carbon capture and storage (CCS), fortemente criticati da autorevoli studi come quello di Carbon Tracker, quello del centro studi ECCO o quello dell’IEEFA.
Una tecnologia dispendiosa e dai risultati modesti. Se poi con questo e altri matrimoni fossili si aumenta la produzione, l’impresa si rivela improba. Il fatto è che Eni è sempre più una società di idrocarburi, il cui contributo alla strategia di transizione energetica verso le rinnovabili e verso la neutralità delle emissioni è sempre più evanescente.