Le risposte di Eni agli azionisti critici lasciano aperti molti dubbi

All'assemblea degli azionisti di Eni, Fondazione Finanza Etica ha rivolto domande ben precise. Ricevendo risposte a dir poco evasive

Il palazzo di Eni al quartiere Eur di Roma © Franco Tognarini/iStockphoto

È da quindici anni che Fondazione Finanza Etica si presenta all’assemblea degli azionisti di Eni. Lo fa per esercitare il suo ruolo di azionista critica: avendo acquistato una piccola quantità di azioni (80, per la precisione), ha il diritto di fare domande dirette ai vertici dell’azienda. In preparazione all’assemblea del 10 maggio 2023 ne ha poste più di cento, pungolando l’azienda su tutte le questioni dirimenti per il suo – e il nostro – futuro: dai piani di decarbonizzazione ai biocarburanti, fino alle condizioni degli stabilimenti in Italia e nel mondo. Le risposte sono arrivate per iscritto, prima dell’assemblea. Ancora una volta, sono a dir poco evasive.

Perché le assemblee sono ancora a porte chiuse?

Lo stesso concetto di partecipare a un’assemblea ha assunto una forma diversa dopo la pandemia. Da quattro anni consecutivi Eni permette di intervenire in assemblea esclusivamente tramite il rappresentante designato. Questo è anche il tema della prima domanda sottoposta da Fondazione Finanza Etica: perché confermare questo limite anche nel 2023, a emergenza sanitaria ormai superata? E perché non organizzare nemmeno una diretta streaming, come ha fatto per esempio Generali?

Nella domanda, Fondazione Finanza Etica sottolinea come questa sia una facoltà prevista dall’articolo 106 del decreto legge n. 18/2020, successivamente convertito e prorogato. Una facoltà, appunto, non un obbligo. Se volesse, Eni potrebbe tornare a convocare l’assemblea in presenza e permettere un vero dialogo con i suoi azionisti, soprattutto quelli più piccoli che non hanno altre occasioni simili. Enel ha fatto così. La risposta? «Le modalità adottate dalla società per lo svolgimento dell’assemblea sono conformi alla normativa vigente». Fondazione Finanza Etica ha chiesto anche se nel 2024 cambierà qualcosa. Ma, per ora, non è dato saperlo.

Le risposte di Eni sull’inquinamento a Gela

Dando voce all’associazione A Sud, impegnata per la giustizia ambientale e climatica, Fondazione Finanza Etica ha presentato diverse domande specifiche sulla presenza di Eni nei territori italiani. A cominciare da uno dei più emblematici, quello di Gela, in Sicilia. Era il 2014 quando chiudeva i battenti il polo petrolchimico fondato nel 1963 per volontà di Enrico Mattei. Lì ora sorge una bioraffineria che nel 2021 ha prodotto circa 585mila tonnellate di biocarburanti e processato 665mila tonnellate di bio-feedstock.

La Valutazione di Impatto Ambientale, ricorda Fondazione Finanza Etica, risale a nove anni fa. Nel 2018, uno studio effettuato nel golfo di Gela evidenzia «perturbazioni nell’ambito degli ecosistemi marini» dovute alle attività industriali, nonostante la chiusura della raffineria e la bonifica svolta. Lo si legge nel provvedimento rilasciato dalla Riserva Naturale del Biviere. Dallo stesso studio emergono concentrazioni preoccupanti di uranio 238 e di torio 234. Interrogata in merito, Eni si trincera dietro al fatto che le varie autorizzazioni concesse negli anni confermino «la piena compatibilità ambientale del progetto». Fondazione Finanza Etica ribatte: «Eni può negare in qualche modo la paternità delle concentrazioni radioattive nel golfo di Gela e l’eventuale correlazione con l’ex impianto ISAF (noto come discarica di fosfogessi)? A proposito: a che punto è il procedimento di bonifica dell’ex discarica ISAF?».

zona industriale Eni a Gela
La zona industriale di Gela vista dall’alto © Civa61 / Wikimedia Commons

Puntare sul gas naturale, nonostante la crisi climatica

L’altro progetto in corso è il gasdotto Argo-Cassiopea. Rispondendo a Fondazione Finanza Etica, che fa notare la mancanza di un cronoprogramma nel sito dell’azienda, Eni fa sapere che la produzione di gas prenderà il via nella prima metà del 2024. Peccato – sottolinea l’associazione A Sud – che le prime autorizzazioni risalgano al 2014. Da allora, il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) e l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) hanno ribadito più volte lo stesso messaggio. Per limitare il riscaldamento globale entro il grado e mezzo, bisogna decarbonizzare completamente il sistema economico globale entro il 2050. Il che significa abbandonare le fonti fossili, gas compreso. Qualsiasi nuovo progetto è controproducente, perché allontana da questo obiettivo.

E le prescrizioni ambientali sancite dal Comune di Gela a seguito del rilascio delle autorizzazioni su Argo-Cassiopea? «Vanno avanti in parallelo ai lavori di realizzazione dell’impianto», specifica Eni. In parallelo, dunque, e non prima di posare la prima pietra. Gli azionisti critici ribattono chiedendo un piano dettagliato, con tempi e costi.

Fondazione Finanza Etica ha chiesto conto al Cane a sei zampe anche della lunga serie di interventi che aveva promesso a sostegno della cittadinanza. Come il reparto di terapia intensiva annunciato nel pieno dell’emergenza sanitaria, il banco alimentare, una sede adeguata per il master universitario tenuto con l’Università Kore di Enna. A ogni domanda, Eni risponde sciorinando lunghi elenchi di autorizzazioni, permessi, interlocuzioni istituzionali.

La decarbonizzazione di Eni, per ora solo annunciata

Eni ha preso un impegno non da poco: decarbonizzare completamente i propri prodotti e processi fino ad azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2050. Un piano su cui gli azionisti critici vogliono vederci chiaro. Innanzitutto perché fa perno in modo preponderante sulle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2. Tecnologie che ad oggi sono ancora in fase di sviluppo e che, anzi, sono state pesantemente criticate da studi autorevoli condotti – tra gli altri – da Carbon Tracker, WWF ed Ecco, Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA). Eni resta ferma nella sua posizione. «La CCUS è il processo tecnologico più efficace (in termini di volumi di CO2 evitati in atmosfera) ed efficiente (per tempi di realizzazione e costi) di decarbonizzazione per i settori industriali hard to abate per i quali non sono disponibili altre soluzioni che possano fornire gli stessi risultati».

Per abbattere le emissioni Scope 3, cioè quelle indirette generate lungo la catena del valore, Eni punta sulla «riduzione della produzione di idrocarburi» e sull’«incremento del portafoglio prodotti energetici low carbon/ green dovuto principalmente allo sviluppo di energia rinnovabile ma anche da fusione magnetica e dalla produzione di biocarburanti», oltre che sul «phase out dalla raffinazione tradizionale e dalla riduzione degli impegni di acquisto di gas da terzi». Lecito il dubbio espresso da Fondazione Finanza Etica e A Sud: «Come si conciliano questi impegni con i piani energetici dell’azienda che prevedono da qui al 2030 il picco della produzione di gas e lo sviluppo del business del GNL, che per forza di cose viene importato?».