Cosa sappiamo (e cosa non sappiamo) della presenza di Eni in Iraq

Fondazione Finanza Etica ha colto l’occasione dell’assemblea degli azionisti per chiedere conto a Eni della sua presenza in Iraq

Estrazioni di gas e petrolio in Iraq © Zuka83/iStockphoto

Ancora una volta, Fondazione Finanza Etica ha svolto la sua attività di azionariato critico all’assemblea degli azionisti di Eni. Anche a nome della ong Un Ponte Per, che in Medio Oriente lavora da trent’anni, prima dell’assemblea ha presentato ventuno domande scritte su un tema ricco di punti interrogativi, ma pressoché sconosciuto al grande pubblico: la presenza di Eni in Iraq.

Il giacimento di Eni in Iraq, a Zubair

L’Iraq è il quinto Stato al mondo per riserve di petrolio con 145 miliardi di barili, cioè l’8,4 per cento del totale conosciuto. Riserve divenute sempre più appetibili per via della crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina, come dimostrano i 115 miliardi di dollari incassati nel 2022 dalle esportazioni.

C’è anche l’italiana Eni tra le compagnie petrolifere presenti in Iraq, per la precisione a Zubair, nel sud del Paese. Il giacimento nel 2022 ha prodotto 484mila barili di petrolio al giorno e le ha garantito ricavi per 535 milioni di dollari nel 2022, ha spiegato la stessa Eni a Fondazione Finanza Etica. L’obiettivo è quello di raggiungere i 700mila barili al giorno entro il 2025, sempre se ci saranno le condizioni per farlo.

Il coinvolgimento della popolazione irachena

Il reportage di Sara Manisera e Daniela Sala, pubblicato da IrpiMedia, spiega che il giacimento è militarizzato e pressoché inaccessibile. Il panorama dei dintorni è desolante: aree che un tempo erano agricole e ora sono inquinate, case prive di allacciamento all’elettricità, strade malconce, rifiuti sparsi un po’ ovunque. Un ritratto che stride con le promesse di Eni di «creare sviluppo e stabilità anche in Iraq», anche riservando l’80% dei posti di lavoro alla manodopera locale. Fondazione Finanza Etica ha chiesto conto di questo dato, contestato da fonti interne e sindacati.

Nelle risposte scritte pubblicate prima dell’assemblea, il cane a sei zampe afferma che tale percentuale è stata rispettata e, anzi, superata, arrivando al 90%. «Sono effettuate regolari attività di formazione e addestramento per il personale iracheno, anche al fine di consolidare ulteriormente tale incidenza», aggiunge. «Ma quanti sono i lavoratori impiegati nel giacimento di Zubair che lavorano tramite compagnie in subappalto? Quanti di questi sono iracheni e quanti stranieri? Quanti sono i lavoratori a Zubair direttamente assunti da Eni? E quanti di questi sono iracheni?», insiste Fondazione Finanza Etica alla vigilia dell’assemblea, presentando alcune contro-domande a nome di Un Ponte Per.

L’estrazione di idrocarburi priva l’Iraq dell’acqua

L’Iraq è anche tra i paesi più vulnerabili alla crisi climatica, in particolare alla scarsità d’acqua. Lo dice l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Come se non bastasse il riscaldamento globale, ad assetare il Paese è anche l’industria oil&gas. Per estrarre il greggio, infatti, si adotta la tecnica dell’iniezione d’acqua. Le quantità sono considerevoli: da un barile e mezzo a tre barili d’acqua per ogni barile di petrolio.

«Nel 2022 sono stati iniettati mediamente 470mila barili/giorno di acqua per poter sostenere la pressione del giacimento e i livelli di produzione», conferma Eni nelle sue risposte scritte. Precisando però che nel 2022 «i contributi sono stati per circa due terzi da acqua di produzione naturalmente associata a gas e greggio nel giacimento di provenienza, reiniettata dopo la separazione, e da acque con elevata salinità da un livello geologico più profondo, opportunamente trattate prima della reiniezione». Il resto arriva «dal consorzio BECL/ROO (Basra Energy Company/Rumalia Operating Organization) attraverso un canale di raccolta acque superficiali salmastre denominato Qarmat Ali». Fondazione Finanza Etica incalza, chiedendo di precisarne la quantità.

siccità in Iraq
L’Iraq è flagellato dalla siccità © coddy/iStockphoto

Gli impianti finanziati da Eni in Iraq, a Bassora

Per bilanciare il suo impatto, Eni ha finanziato una serie di strutture che dovrebbero garantire l’accesso all’acqua potabile a oltre 100mila abitanti di Bassora. Tra cui l’impianto di trattamento delle acque di Al Baradiya, la cui costruzione – fa sapere – è costata 18,9 milioni di dollari.

Fondazione Finanza Etica vuole vederci chiaro anche su un altro impianto in costruzione, stavolta nella di zona di Al Khora. La stessa Eni aveva spiegato a IrpiMedia che tale struttura preleverà acqua salmastra e contaminata dal canale Main Outfall Drain (MOD), sottintendendo dunque che sia inadatta agli usi civili. È vero che l’acqua è di scarsa qualità, ma è vero anche che esiste un depuratore pubblico che la può redistribuire alle case. Cosa che già avviene.

A una prima domanda in merito, Eni replica di non aver finanziato nessun progetto con questo nome. Ma Fondazione Finanza Etica e Un Ponte Per non si arrendono. Anche ammettendo che il nome ufficiale sia un altro, è stato lo stesso ufficio stampa dell’azienda a confermarne l’esistenza. «Potete darci maggiori informazioni su costi e scopo di tale impianto? C’è stata una valutazione dell’impatto ambientale? Chi ha condotto la ESIA (analisi di impatto ambientale e sociale, ndr)? Quale autorità locale responsabile l’ha approvata?». Eni non ha dato sostanziali risposte a queste domande.

I timori per la salute della popolazione irachena

C’è un altro motivo per cui lo sfruttamento degli idrocarburi in Iraq desta parecchia preoccupazione. La salute degli abitanti. Eni svolge controlli periodici sulla qualità dell’aria e ha eseguito uno studio sui rischi chimici, fisici e biologici delle estrazioni. «I rischi per la salute ambientale sono ben controllati e si trovano negli intervalli accettabili», spiega, senza però fornire i dati precisi.

Di studi epidemiologici non ne sono mai stati fatti, precisa l’inchiesta di IrpiMedia, ma ciò non toglie che trapelino dati allarmanti sull’incidenza del cancro. Interrogata in merito da Fondazione Finanza Etica, Eni suggerisce che la causa sia da ricercare nelle munizioni all’uranio impoverito usate in guerra. Si può dunque escludere un legame tra le attività industriali del giacimento di Eni in Iraq e gli impatti sulla salute della zona? La risposta è degna di ChatGPT. «Eni si impegna a prevenire i potenziali impatti derivanti dalle sue attività operative sulla salute dei suoi lavoratori nonché sull’ambiente e sulla comunità circostante adottando le best practice internazionali volte alla tutela della salute secondo i migliori standard».