L’Etiopia si prende la Cop32, ma alla Cop30 ancora si litiga sull’agenda

Addis Abeba ospiterà la Cop del 2027. Ma l'edizione in corso, la Cop30, contrappone i Paesi arabi ad Europa e nazioni in via di sviluppo

Andrea Barolini e Lorenzo Tecleme
© Kiara Worth/Un Climate Change
Andrea Barolini e Lorenzo Tecleme
Leggi più tardi

Martedì 11 novembre si è chiusa la seconda giornata di negoziati alla Cop30 di Belém. Dopo l’astuzia di accantonare una serie di temi dall’ordine del giorno iniziale, al fine di poterlo approvare e avviare concretamente i lavori, la presidenza brasiliana sta tentando di trovare un punto di incontro sulle domande avanzate da diversi Paesi.

In particolare sui temi della mitigazione dei cambiamenti climatici (ovvero sulla necessità di abbattere le emissioni di CO2 in modo molto più drastico rispetto a quanto promesso finora dai governi) e sulla finanza climatica (ovvero sui capitali necessari per la transizione, l’adattamento e i risarcimenti a fronte delle perdite e dei danni patiti). Ma anche sul commercio, ad esempio per quanto riguarda il Meccanismo europeo di aggiustamento della CO2 alle frontiere, e sulla trasparenza dei dati climatici, al fine di rendere uniformi impegni e obiettivi. E, nel caos delle trattative, l’Etiopia si è portata a casa la sede della Cop32.

Resistenza dei petro-Stati e rinvii: cosa potrebbe succedere ora

La presidenza brasiliana ha preceduto con colloqui informali, prima di passare alle riunioni ufficiali. Proprio oggi, mercoledì 12, si terrà una seduta plenaria particolarmente attesa, nel corso della quale il Brasile spiegherà in che modo intende procedere. Da Belém trapela che le distanze sono ancora marcate, ma anche che il dialogo appare sufficientemente costruttivo.

Allo stato attuale è difficile fare previsioni: si potrebbe ipotizzare un testo di sintesi che permetta di raggiungere un compromesso generale, ma anche un documento specifico sui quattro temi in questione. Resta ovviamente il dato politico: evidentemente, come era facilmente ipotizzabile, mentre la prima settimana della Cop30 è in pieno svolgimento, non tutti i Paesi sono d’accordo sulla necessità di limitare maggiormente le emissioni di gas ad effetto serra. E non tutti concordano sull’importanza di aumentare i fondi per fronteggiare le conseguenze del riscaldamento globale.

Eppure, sulla prima questione, quella della mitigazione, la domanda giunta dal gruppo Aosis delle piccole nazioni insulari è stata appoggiata da buona parte dell’Europa e dell’America Latina. Nei contesti delle Nazioni Unite, però, occorre raggiungere un compromesso anche con gli altri Paesi, compresi quelli carboniferi e petroliferi. Non a caso, il gruppo arabo, dominato dai produttori di idrocarburi, ha criticato le posizioni della presidenza brasiliana.

Dal punto di vista finanziario, i Paesi in via di sviluppo hanno inoltre sottolineato la mancanza di mezzi concreti per l’attuazione. A partire dai fondi e dai trasferimenti di tecnologie. In altre parole, pur volendo attuare una transizione, molte nazioni si trovano di fatto impossibilitate a farlo per mancanza di risorse e di know how.

Anche le discussioni sull’Obiettivo globale sull’adattamento (Global Goal on Adaptation) sono state particolarmente complesse. Il fatto che occorra adottare una serie di indicatori comuni per monitorare gli avanzamenti è ormai ampiamente condiviso dalle diplomazie internazionali. C’è però chi punta a prendere tempo e a spostare le discussioni al 2027.

L’Etiopia si prende Cop32, ma l’Africa rimane sola

Mentre i delegati sono alle battute iniziali della Cop30, le cancellerie internazionali iniziano a muovere le pedine dei prossimi vertici. Se sull’edizione dell’anno a venire c’è ancora stallo, con Turchia e Australia che si contendono la sede, per la conferenza del 2027 abbiamo già certezze. Addis Abeba, in Etopia, è la location prescelta. Una vittoria diplomatica del Paese africano, che probabilmente userà l’occasione per rilanciare i temi più cari al Continente. Ovvero, risarcimenti climatici e aiuti finanziari alla transizione.

Proprio dall’Africa, però, arriva la prima vera stoccata contro i negoziato Onu e i Paesi ricchi. «Ci incontriamo, parliamo, discutiamo, promettiamo. Rimandiamo e poi aspettiamo di nuovo», ha affermato il diplomatico del Malawi Evans Njewa nel corso della prima assemblea plenaria a Belém. Njewa parlava non solo a nome della sua nazione, ma come portavoce di 44 Paesi africani, caraibici e pacifici. Assieme, sono il gruppo dei Paesi meno sviluppati. La richiesta è quella di rispettare quantomeno gli impegni finanziari già accordati e triplicare i trasferimenti di capitali da parte dei governi del Nord globale verso le nazioni più povere entro il 2030.

Le mosse delle istituzioni internazionali

Le Cop sono anche grandi acceleratori di eventi. Molte organizzazioni internazionali scelgono infatti le due settimane di Conferenza per annunciare nuove iniziative e presentare i loro studi. È il caso anche dell’Unfccc, la branca delle Nazioni Unite che si occupa di clima e organizza le Cop, e della Banca Europea degli Investimenti.

L’Unfccc ha pubblicato ieri un nuovo report sull’impatto economico e climatico della climatizzazione domestica. L’aumento delle temperature medie globali, del benessere e della popolazione mondiale porterà secondo tutte le stime ad un boom dell’uso dei condizionatori. Con tutto ciò che ne consegue in termini di consumi e, quindi, di emissioni. Un paradosso, perché i gas climalteranti in atmosfera contribuiscono a quelle ondate di caldo che rendono i condizionatori stessi indispensabili. Ma, secondo il report, è possibile frenare il fenomeno con un mix di strategie. Si parla di efficenza energetica, dell’eliminazione dei refrigeranti idrofluorocarburi e dell’uso di strategie di raffreddamento ibride – ad esempio, integrando ventilatori e altri sistemi a basso consumo. Il risparmio economico globale al 2050 potrebbe toccare, secondo l’Onu, i 43 trilioni di dollari.

La Banca Europea degli Investimenti, di proprietà dell’Unione europea, ha invece annunciato l’allargamento della disponibilità del suo Green Checker. Si tratta di uno strumento pensato per gli investitori che permette di valutare la sostenibilità di progetti in cerca di finanziamenti. Fino ad ora era possibile usarlo solo nel vecchio Continente, ma in occasione della Cop30 si è deciso di espanderne il raggio a Nord Africa, Medio Oriente, Balcani e Caucaso.

Protestano gli ecologisti: «non uccideteci più»

L’America Latina che ospita la Cop30 è anche il Continente con più ecologisti uccisi per via del loro impegno politico. Per questo una delle prime proteste di fronte alla blue zone, l’area chiusa riservata ai negoziati, si centra proprio sulla libertà politica.

Un gruppo di attivisti messicani ha inscenato una finta scena di massacro – corpi sdraiati coperti da lenzuoli bianchi – per denunciare il fenomeno degli squadroni della morte. Si tratta di gruppi armati legati talvolta alla criminalità organizzata, talvolta a multinazionali estrattive o direttamente a Stati, che intimidiscono o uccidono i militanti di organizzazioni ecologiste, sindacali, indigene. Nel 2023 si sono contati 193 omicidi di ecologisti in Sudamerica. 79 solo in Colombia.

Nessun commento finora.

Lascia il tuo commento.

Effettua il login, o crea un nuovo account per commentare.

Login Non hai un account? Registrati