L’Europa dice addio all’Energy Charter Treaty

Il Consiglio europeo ha approvato l'uscita dal controverso Energy Charter Treaty, diventato per le multinazionali uno strumento di "ricatto"

Daniele Guidi
Le istituzioni europee hanno approvato l'uscita dall'Energy Charter Treaty © mychadre77/iStockPhoto
Daniele Guidi
Leggi più tardi

Anche il Consiglio dell’Unione europea ha dato il suo parere favorevole all’uscita di scena dell’Energy Charter Treaty. Ovvero l’accordo internazionale che protegge gli investimenti nel settore energetico ma ostacola la transizione ecologica. Un via libera che fa seguito alla decisione della Commissione europea di un anno fa e che ora dovrebbe essere ratificato dal parlamento europeo entro maggio. Il risultato è frutto di un compromesso che consente ai singoli Paesi di restare nel trattato solo se otterranno il via libera di Bruxelles.

Come nacque l’Energy Charter Treaty

L’Energy Charter Treaty era stato firmato nel 1994 da 53 Paesi, tra cui quelli dell’Unione europea. Con esso si puntava a favorire la cooperazione energetica tra gli Stati dell’Europa occidentale e quelli dell’ex blocco sovietico, ricchi di giacimenti fossili.

L’obiettivo era di garantire agli investitori occidentali la sicurezza di poter operare anche nei Paesi dell’Europa dell’Est, mettendoli al riparo da eventuali nazionalizzazioni o dal mancato rispetto dei contratti. Il trattato prevedeva infatti la possibilità di ricorrere a un tribunale arbitrale internazionale in caso di controversie con i governi ospitanti.

Chieste agli Stati europei decine di miliardi di dollari di risarcimenti

Negli ultimi anni, però, il trattato stesso era diventato uno strumento nelle mani delle aziende dei combustibili fossili. Che lo avevano usato per impugnare le misure adottate da alcuni Paesi per ridurre le emissioni di gas serra e promuovere le fonti rinnovabili. Nel corso del tempo, il settore energetico hanno chiesto decine di miliardi di dollari di risarcimenti agli Stati europei per le loro politiche climatiche. Usando proprio il trattato come base legale.

L’uscita dall’accordo è quindi un passo necessario per allineare la politica energetica europea agli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima e per sostenere la finanza sostenibile. L’Unione europea, infatti, si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e a ridurre le emissioni di almeno il 55 per cento entro il 2030. Per farlo, ha lanciato il Green Deal, un piano di investimenti pubblici e privati per trasformare l’economia e la società in modo ecologico e inclusivo.

Clausola di salvaguardia e nuovi accordi: cosa potrebbe succedere ora

La decisione di abbandonare l’Energy Charter Treaty non è priva di rischi e di sfide. Innanzitutto, non mette fine alle cause legali da parte delle aziende dei combustibili fossili, che potranno continuare a rivendicare i loro diritti per i prossimi vent’anni. Come ha già sperimentato l’Italia e come prevede una clausola di salvaguardia dell’accordo.

Inoltre, la decisione di lasciare ai singoli Paesi la possibilità di scegliere se restare nel trattato – previa autorizzazione di Bruxelles – potrebbe creare tensioni tra la sovranità nazionale e la solidarietà europea in materia di energia. Infine, la decisione dovrà essere seguita da nuovi accordi di cooperazione energetica con i Paesi extracomunitari. In particolare quelli dell’Europa orientale e dell’Asia centrale, che sono importanti hub energetici su scala intercontinentale.