[Finanza creativa] Come aggirare delle normative che non esistono ancora
di Andrea Baranes – Fondazione Culturale Responsabilità Etica Un noto adagio recita “fatta la regola, trovato l’inganno”. Ma la grande finanza internazionale riesce una volta ...
di Andrea Baranes – Fondazione Culturale Responsabilità Etica
Un noto adagio recita “fatta la regola, trovato l’inganno”. Ma la grande finanza internazionale riesce una volta di più a sorprenderci e andare oltre. Il nuovo slogan è “trovare l’inganno prima che sia fatta la regola”.
Secondo un articolo pubblicato lo scorso 8 aprile dal Financial Times, alcuni dei maggiori gruppi bancari internazionali sono al lavoro per studiare dei nuovi strumenti e modalità che permettano loro di eludere le disposizioni dell’accordo di Basilea III. Un accordo che, se verranno rispettati i tempi previsti, inizierà a entrare progressivamente in vigore unicamente nel 2013, per andare a regime nel 2019.
Accordo di Basilea III
L’accordo è pensato per diminuire il rischio per le banche e per superare alcuni limiti del precedente Basilea II, che si è dimostrato assolutamente insufficiente a controllare questo rischio quando è esplosa la crisi dei mutui subprime nel 2007. Semplificando, l’accordo di Basilea prevede che per ogni prestito realizzato le banche debbano tenere da parte un certo patrimonio. I motivi sono diversi. Da un lato sull’insieme di prestiti concessi tipicamente alcuni non verranno restituiti, e le banche devono quindi avere a disposizione un loro cuscinetto di capitale per compensare tali perdite. Dall’altra l’obbligare le banche a mettere da parte un certo patrimonio è un modo per limitare la quantità di prestiti erogabili, e quindi il rischio sistemico. Con l’accordo di Basilea III si cerca inoltre di limitare la leva finanziaria che le banche possono utilizzare per operare sui mercati.
I grandi gruppi bancari hanno trovato uno strumento per eludere le disposizioni dell’accordo di Basilea. Parliamo delle cartolarizzazioni, operazioni che permettono di cedere a terzi un credito.
Le cartolarizzazioni
In parole semplici una cartolarizzazione funziona così: le banche concedono un prestito a un soggetto, poi rivendono il credito che vantano verso questo soggetto a un’altra società, chiamata società veicolo. Quest’ultima, per finanziarsi emette delle obbligazioni. Senza entrare nei dettagli tecnici, di fatto in questo modo la banca sposta fuori bilancio il credito. Il rischio corrispondete al prestito è ora passato alla società veicolo, poi agli acquirenti delle obbligazioni. L’insieme delle società veicolo che operano fuori dai bilanci delle banche è una parte sostanziale del famigerato sistema bancario ombra, un settore di dimensioni enormi e non sottoposto ad alcuna regolamentazione.
Portandolo fuori bilancio, il credito concesso non viene più preso in considerazione ai fini dell’accordo di Basilea. Non devo tenere del capitale da parte, visto che il prestito non è più sui miei libri contabili. In questo modo posso moltiplicare i prestiti concessi, il denaro circolante e nel contempo spalmare i rischi sui mercati.
E’ questo il principio alla base dello scoppio della crisi del 2007: le banche concedevano mutui anche ai clienti più inaffidabili – quelli subprime – perché grazie alle cartolarizzazioni potevano disinteressarsi del rischio di credito, visto che lo scaricavano sui mercati di tutto i mondo. Questa montagna di debiti creati sul nulla è franata nel 2007, trascinando con sé l’economia mondiale e costringendo i governi a dei giganteschi piani di salvataggio dello stesso sistema finanziario responsabile di quanto avvenuto.
In seguito all’esplosione della crisi dei subprime, diversi settori dell’economia reale si sono trovati in enorme difficoltà a causa del crollo delle attività finanziarie. Uno di quelli più colpiti è stata la finanza commerciale: l’80% del commercio internazionale si appoggia a strumenti finanziari quali anticipi su fatture e altre forme di prestiti e di garanzie che permettono di facilitare tanto gli scambi commerciali quanto i pagamenti. Un settore da una parte considerato fino a oggi quasi “noioso” dall’ingegneria finanziaria, ma che dall’altra che aveva raggiunto prima della crisi una dimensione globale di 10.000 miliardi di dollari l’anno.
Questo settore si è praticamente bloccato con l’esplosione della crisi. Per questo oggi le autorità preposte hanno deciso di includere anche la finanza commerciale nel perimetro dell’accordo di Basilea III. Un modo per provare a ridurre il rischio bancario, migliorare la solvibilità del sistema, diminuire leve finanziarie eccessive. Il problema è che per le banche questo significa dovere tenere da parte del patrimonio di buona qualità per ogni prestito che realizzano, anche nel campo della finanza commerciale. Significa porre dei limiti a chi è abituato a operare praticamente senza regole e controlli. Come farla franca? Semplice, pensando di cartolarizzare anche i crediti della finanza commerciale.
Ecco allora che gli stregoni della finanza sono al lavoro per costruire degli strumenti che permettano di prendere i crediti della finanza commerciale, portarli fuori bilancio e nel sistema bancario ombra, farli a pezzetti, mischiarli con altri crediti simili, impacchettarli in prodotti strutturati del tutto analoghi alle “salsicce finanziarie” che contenevano pezzi di mutui subprime, e rivendere allegramente queste salsicce sui mercati finanziari di tutto il mondo.
Straordinario. Di fronte a un sistema di regole che faticosamente prova a mettere dei paletti per evitare che un disastro come quello del 2007 – 2008 possa ripetersi, le grandi banche stanno già mettendo a punto nuovi strumenti che fanno leva sugli stessi meccanismi che hanno causato il disastro. Lo scopo è di riuscire a eludere le regole prima ancora che entrino in vigore. Tanto si è capito che finché le cose vanno bene si moltiplicano i profitti privati, quando il giocattolo si rompe intervengono gli Stati con i piani di salvataggio, socializzando le perdite. E se i debiti trasferiti sugli Stati sono eccessivi, a loro volta vengono scaricati sui cittadini tramite piani di austerità, tagli alla spesa pubblica, aumento della pressione fiscale. I debiti dalla finanza ombra alle banche, poi agli Stati e infine ai cittadini. E via con un altro giro di giostra.
Dal lato opposto chi, come la finanza etica e cooperativa, gioca secondo le regole e non ricorre a prodotti sempre più complicati e rischiosi per aggirare le normative, si trova penalizzato. Così da una parte la finanza etica e le banche che “fanno le banche” devono fronteggiare la concorrenza dei grandi gruppi che realizzano i loro profitti con operazioni speculative, salvo ricorrere ai soldi pubblici quando le cose vanno male. Dall’altra, troppo spesso la partita si svolge su un campo in salita e con l’arbitro disposto a lasciare correre, se non a incentivare, qualsiasi scorrettezza.
Di fronte a una regolamentazione internazionale che sembra un gioco del gatto con il topo, cosa possiamo fare? Da un lato fare sentire la nostra voce e chiedere delle regole stringenti e che non consentano scappatoie e trucchetti. Dall’altro informarci. Capire quali sono le banche – tanto quelle estere con filiali in Italia quanto quelle italiane – più attive nel settore della cartolarizzazione dei crediti e nei giochini sopra descritti. E se intendono continuare a lavorare così, lo facessero non con i nostri soldi.