«Smettete di finanziare la deforestazione». Intervista a Merel Van de Mark

Forests & Finance denuncia: banche e fondi continuano a finanziare filiere che causano deforestazione e violazioni dei diritti

Marco Mantovani
Merel Van de Mark, coordinatrice esecutiva della coalizione Forests&Finance
Marco Mantovani
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Al secondo piano di un edificio che ospita un istituto filantropico lungo Avenida Paulista – una delle arterie centrali di San Paolo – abbiamo incontrato Merel Van de Mark, coordinatrice esecutiva della coalizione Forests&Finance.

La coalizione riunisce undici organizzazioni della società civile provenienti da diverse regioni del mondo, comprese aree che ospitano foreste tropicali. Il suo obiettivo è monitorare e contrastare il sostegno finanziario a pratiche che causano deforestazione e violazioni ambientali e sociali, soprattutto nei settori legati alle cosiddette commodities a rischio. Per farlo, Forests&Finance ha sviluppato una banca dati che, negli ultimi 15 anni, raccoglie e analizza informazioni su operazioni e relazioni finanziarie tra banche, investitori istituzionali e aziende operanti in filiere potenzialmente dannose per le foreste.

Merel era a San Paolo per partecipare a un evento sulla finanza climatica organizzato dalla coalizione in vista della Cop30, in parallelo alla conferenza “PRI in Person 2025” del Principles for Responsible Investment. Nella capitale paulista si stanno già svolgendo diversi appuntamenti preparatori alla conferenza sul clima, soprattutto nell’area finanziaria e imprenditoriale, mentre altri sono attesi nei prossimi mesi. Merel sarà presente anche alla Cop30, che si terrà a Belém, nello Stato del Pará, nel cuore dell’Amazzonia, dal 10 al 21 novembre 2025. Lì rappresenterà la coalizione Forests&Finance.

Nelle ultime Conferenze sul clima delle Nazioni Unite il tema del finanziamento climatico, sia pubblico che privato, è diventato sempre più centrale. Che effetti ha avuto questo sul finanziamento legato alle foreste? Ha riscontrato cambiamenti concreti?

A dire il vero, non così tanto. Le Cop hanno portato a vari impegni e iniziative volontarie, come la Net Zero Banking Alliance, un’alleanza di banche che si erano date l’obiettivo di ridurre le emissioni finanziate. Ma quest’anno abbiamo assistito al crollo di questa iniziativa. Le banche non sono riuscite, o non hanno voluto, rispettare l’impegno. E quello che resta è la sensazione di molto greenwashing e poca azione. In questi giorni stiamo pubblicando il nostro rapporto annuale, e i dati mostrano che da quando l’Accordo di Parigi è stato raggiunto, il credito e gli investimenti per settori a rischio di deforestazione sono solo aumentati.

Quali effetti ha la finanza internazionale sulle foreste a livello globale? E da dove provengono soprattutto questi flussi di capitale?

Le nostre analisi si concentrano sui tre principali bacini tropicali e su sei filiere fortemente legate alla deforestazione: carne, soia, olio di palma, carta e cellulosa, legname e gomma. Sul fronte del credito, emerge con chiarezza il peso delle banche brasiliane. Questo dipende anche dal ruolo centrale che svolgono nel credito rurale: le banche, sia pubbliche che private, che operano in Brasile forniscono infatti la maggior parte dei finanziamenti destinati alle attività agricole. Dal 2016, solo nei sei settori analizzati, parliamo di almeno 206 miliardi di dollari americani.

Al secondo posto troviamo le banche dell’Indonesia, con un forte coinvolgimento nel finanziamento dell’industria dell’olio di palma e di quella della carta e cellulosa: 44 miliardi di dollari nello stesso periodo. Al terzo posto, con cifre più distribuite, compaiono le banche della Cina (30 miliardi), degli Stati Uniti (26 miliardi) e del Giappone (24 miliardi).

Se guardiamo invece agli investimenti, gli attori più rilevanti sono gli investitori statunitensi, che a settembre 2025 totalizzavano quasi 16 miliardi di dollari. Seguono quelli della Malesia, con circa 9 miliardi di dollari.

Alla Cop30 il governo brasiliano presenterà la proposta di un nuovo strumento finanziario, il TFFF (Tropical Forests Forever Facility), un fondo che unisce capitali pubblici e privati per sostenere la conservazione delle foreste tropicali. Che opinione ha di questa iniziativa?

La mia valutazione principale è che questa proposta rischia di distogliere l’attenzione dalla questione centrale: regolamentare i flussi finanziari che alimentano la deforestazione. Finché non affronteremo questo nodo, né il TFFF, né i carbon credit, né i progetti di riforestazione saranno sufficienti a proteggere le foreste.

Riconosco però un aspetto positivo nel TFFF: a differenza dei carbon credit, non trasforma le foreste in asset finanziari e non si basa su un meccanismo di mercato diretto. Tuttavia, resta comunque ancorato a una logica capitalista di investimento e profitto, la stessa che sta alla base dello sfruttamento eccessivo delle risorse. In questo senso, temo non rappresenti una soluzione reale.

Oltre agli strumenti di finanza climatica di cui abbiamo parlato, vede altre soluzioni finanziarie che potrebbero contribuire concretamente alla protezione delle foreste?

La risposta è semplice: regolamentare. Serve una regolamentazione finanziaria che renda le banche responsabili. Oggi possono continuare a finanziare la deforestazione, trarne profitto e non affrontare alcuna conseguenza. Finché questo non cambia, il problema resterà irrisolto.

Alla Cop30 saranno presenti molti attori del mondo finanziario, pubblici e privati. Qual è il messaggio che intende rivolgere loro?

Non intralciate il cambiamento! E, soprattutto, smettete di finanziare la deforestazione. Le banche hanno strumenti e competenze per condurre una due diligence seria e per selezionare con attenzione i propri clienti. Se non lo fanno, è perché non lo vogliono fare. Il tempo delle promesse è finito: servono politiche chiare, di deforestazione zero e rispetto dei diritti, da applicare subito.

Che cosa si aspetta dalla Cop30?

Spero che si facciano passi avanti. Che ci sia un dialogo reale e una maggiore consapevolezza, da parte di tutti, dell’urgenza di agire con più decisione. Ma, considerando che da anni si rimanda sempre tutto alla Cop successiva, devo ammettere di non essere molto ottimista.

Molte persone che leggono o scrivono su Valori.it non saranno fisicamente alla Cop30, ma seguiranno i lavori con attenzione. Pur sapendo di far parte di un sistema che contribuisce alla crisi climatica, sono preoccupate e desiderano impegnarsi per cambiare le cose. Che messaggio vuole rivolgere loro?

Credo che la cosa più importante sia sostenere, anche con il voto, governi attenti all’ambiente e alla giustizia sociale, che promuovano regolamentazioni solide – comprese quelle finanziarie – e che difendano normative come l’Eudr, il Regolamento europeo contro la deforestazione, o la Csrd sulla rendicontazione di sostenibilità. È una delle azioni più incisive che ciascuna e ciascuno può intraprendere.

Anche le scelte di consumo consapevole hanno un ruolo, certo. Ma senza regole chiare e vincolanti per chi produce, commercia e finanzia, non riusciremo a ottenere il cambiamento necessario. Per questo considero il voto uno strumento fondamentale, accessibile a tutte e tutti.

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