Tutti sostenibili, a parole

C'è grossa crisi, la rubrica di Andrea Baranes che vi spiega perché dovete interessarvi di finanza. Prima che la finanza si interessi di voi

Nel dilagare di iniziative sulla finanza sostenibile, è difficile oggi trovare un gestore finanziario che non si dichiari attento alle questioni sociali e ambientali. Il problema, però, è capire a quante di tali dichiarazioni segua poi un comportamento coerente in materia di scelte operative e quante, al contrario, sembrino pensate unicamente per ripulirsi l’immagine e attirare un pubblico sempre più attento agli impatti dei propri investimenti.

Una conferma della distanza tra dichiarazioni di sostenibilità e attività svolta viene da un report curato da Robeco, che analizza come votano nelle assemblee delle imprese quotate i più grandi gestori finanziari statunitensi. In qualità di azionisti delle imprese, questi soggetti possono infatti intervenire in assemblea ed esprimere il proprio voto sui diversi punti all’ordine del giorno.

Il rapporto analizza oltre 20 milioni di voti su temi sociali e ambientali. Il risultato è sconcertante: «I gestori votano in maniera predominante contro le proposte sociali e ambientali. In particolare i fondi passivi e di grandi dimensioni sono quelli meno favorevoli a tali proposte e, malgrado la crescente attenzione alla sostenibilità, difficilmente votano più spesso a favore rispetto a un decennio fa».

Non è una questione di poco conto, sulla strada verso una maggiore sostenibilità della finanza. Gli investitori istituzionali, quali le Sgr, i fondi pensione o i fondi di investimento hanno un peso rilevante per molte imprese quotate. Non solo per le quote azionarie che direttamente controllano, ma perché le imprese non vogliono essere escluse dalle scelte di investimento dei grandi gestori. Basta guardare l’attenzione e le risorse impiegate dalle aziende nelle relazioni con tali soggetti: la “investor relation” è un’attività sempre più di primo piano per gran parte delle imprese quotate.

Su queste basi si è sviluppata l’idea di azionariato attivo, ovvero proprio il chiedere, in assemblea o portando avanti un dialogo continuo, alle imprese in cui si investe di migliorare i propri comportamenti in ambito ambientale, sociale e di governance.

Da un lato, quindi, una finanza pensata come strumento di cambiamento dell’economia e che si impegna attivamente, confrontandosi con le imprese in cui investe. Dall’altro, il greenwashing di chi si dice sostenibile, ma nei fatti agisce in direzione opposta. Tra questi due estremi si gioca una partita fondamentale. Non solo nella distinzione tra la finanza etica e una visione estremamente diluita di finanza sostenibile. Ma se pensiamo a una finanza che su ambiente e clima sia parte della soluzione e non del problema, è una partita che riguarda lo stesso futuro del Pianeta.