Se anche l’informazione finisce nelle mani della finanza
Come ogni altro settore, anche l'informazione è sempre più nelle mani di grandi fondi d'investimento. Ecco quali rischi corriamo
Il mondo dell’informazione finanziaria è tutt’altro che imparziale. Si tratta piuttosto di una articolata rete di soggetti che generano notizie e analisi di vario tipo, attraverso diversi linguaggi, rivolti a differenti destinatari. Che hanno una formidabile capacità di condizionare il cosiddetto mercato. E che appartengono ad un numero assai limitato di operatori.
Le agenzie di rating sono controllate da un manipolo di fondi di investimento
Il segmento più “tecnico” di questa informazione è costituito dalle agenzie di rating a cui è demandato il compito di esprimere “pagelle” che sono determinanti nella formazione delle strategie di investimento dei fondi pensione e dei fondi istituzionali e persino nell’elaborazione delle condotte monetarie della Banca Centrale Europea. Orientano il vastissimo mondo del risparmio gestito e incidono sull’istituto di Francoforte, che, pur dotato di propri organismi di valutazione, considera in maniera assai attenta i giudizi delle agenzie.
Sappiamo che le tre agenzie principali sono Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch, ma forse ricordiamo meno quale sia la loro proprietà. Vale la pena effettuare un breve ripasso. Moody’s appartiene a Warren Buffett, attraverso il fondo Berkshire, e ad una decina di grandi fondi finanziari, tra cui BlackRock. Standard & Poor’s è controllata, attraverso McGraw-Hill, da un grande fondo come Capital World e, di nuovo, da BlackRock, Vanguard e Capital Research and Management. Mentre Fitch è riconducibile ad Hearst Corporation.
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In sintesi, i soggetti che esprimono valutazioni decisive sulla finanza, pubblica e privata, sono nelle mani di realtà che partecipano direttamente al mercato finanziario. E che ovviamente sono tutt’altro che imparziali. Le sorti delle finanze pubbliche nel mondo discendono dunque dalle valutazioni di società private che devono fare profitti e che sono partecipate, in particolare dopo la crisi del 2008, dai più grandi fondi d’investimento del Pianeta. Come quelli che sono impegnati a scommettere a piene mani contro il debito italiano vendendo assicurazioni in caso di suo fallimento.
Occorre un’agenzia di rating indipendente e senza scopo di lucro per garantire un’informazione corretta
Ma ciò che rende ancora più incredibile una simile situazione è che queste agenzie hanno già causato enormi disastri finanziari, come nel 2001 e nel 2008. Pur garantendo lautissimi proventi ai loro azionisti. L’agenzia europea Esma, al cui controllo esse dovrebbero sottostare, si è dimostrata a più riprese del tutto inadeguata. Del resto, è la normativa europea e internazionale a consentire che organismi il cui “core business” è la valutazione di strumenti finanziari cruciali, come nel caso dei debiti sovrani, possano essere di proprietà degli stessi player che non solo scommettono su tali strumenti finanziari ma anche, non di rado, li producono.
Dovrebbe essere la politica a proporre una regolamentazione, molto chiara, in base al quale le agenzie di rating non possano essere di proprietà di soggetti finanziari. Forse la strada più logica sarebbe quella di creare un’agenzia di rating internazionale e indipendente, senza scopo di lucro e votata per statuto all’interesse pubblico. Ma, probabilmente, si tratta di un’utopia perché il mercato, ormai, sembra non esistere senza la speculazione.
I grandi fondi possiedono anche le principali società di consulenza finanziaria e i quotidiani finanziari
Un’impressione confermata dal fatto che i grandi fondi possiedono anche le principali società di “consulenza” finanziaria, da Bridgewater Associates, ad Advisor Perspectives, a Morningstar. In altre parole valutatori e consulenti del “mercato” appartengono agli stessi grandi fondi che costruiscono così il famoso “sentiment” dominante.
Non bisogna trascurare poi il fatto che i grandi fondi hanno una posizione rilevante non solo nelle agenzie di rating che formulano i giudizi “ufficiali” sulla bontà delle destinazioni finanziarie, ma anche nella stampa più quotata. Il giornale economico più letto nel mondo, il Wall Street Journal, appartiene a News Corporation, a sua volta controllata con poco più del 30% da cinque fondi, il principale dei quali è Vanguard, titolare di quasi il 14%. Gli stessi fondi sono i principali azionisti del gruppo The New York Times Company, che possiede il Financial Times, di cui Vanguard e BlackRock hanno quasi il 20%. E anche la proprietà dello stesso New York Times vede BlackRock, Vanguard e State Street complessivamente al 28,3%. Infine, l’emittente Fox ha una proprietà analoga.
È evidente che una stampa con questo tipo di proprietà tenda, quasi inevitabilmente, a selezionare le informazioni avendo chiari i tempi e le esigenze degli stessi fondi. È assai probabile così che emerga una spinta verso l’ingigantimento di notizie capaci di costruire bolle, trascurando i dati dell’economia reale e alimentando invece le aspettative più coerenti con le dinamiche speculative in modo da inverarle subito.
La filiera dell’informazione finanziaria appare dunque decisamente viziata. Poche agenzie assegnano le pagelle ai titoli, premiando quelli che hanno scelto la consulenza giusta. E i media consolidano quei giudizi, declinandoli in termini favorevoli alla speculazione. Naturalmente, in questo quadro, incidono i grandi motori di ricerca, a cominciare da Google. Che, guarda caso, ha come azionisti di riferimento sempre gli stessi fondi.
Il caso italiano
Un inciso sul caso italiano. Exor è la principale azionista di Stellantis, che sta procedendo ad un rapido smantellamento dei propri impianti italiani attraverso licenziamenti, esodi “incentivati” e varie altre amenità. In pratica sta smontando la filiera dell’automotive nel nostro Paese.
Al tempo stesso, Exor, tramite il gruppo Gedi, è anche proprietaria di una fetta importante dell’informazione italiana. Possiede Repubblica, La Stampa, il Secolo XIX” Radio Capital, Radio DeeJay, e si occupa persino di geopolitica, con Limes. Sempre nel campo dell’informazione, Exor è azionista di riferimento di The Economist.
In sintesi, e semplificando molto, la stessa società che ha sede fiscale in Olanda, che sta contribuendo all’impoverimento produttivo italiano controlla una parte rilevante dei media e dei suoi contenuti, dall’economia alla geopolitica.