Il “flash crash” delle Borse europee, una storia già vista

Lunedì 2 maggio l'errore di un trader ha causato un "flash crash", un temporaneo, repentino e consistente crollo delle Borse europee

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© Nattakorn Maneerat/iStockPhoto
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Tra due anni le imprese europee potrebbero essere chiamate a rendere pubblici alcuni indicatori ESG. È per lo meno questo l’obiettivo dell’Efrag (European Financial Reporting Advisory Group), organismo di consulenza della Commissione europea, che ha proposto l’adozione di 13 norme extra-finanziarie. Le prime due indicano i principi generali; gli altri undici riguardano questioni ambientali (lotta ai cambiamenti climatici, riduzione dell’inquinamento, tutela della biodiversità, gestione delle risorse idriche, ecc.), sociali, etiche e di governance. La disciplina sarà sottoposta a consultazione pubblica fino all’inizio del prossimo mese di agosto. Quindi l’iter prevede che la stessa Commissione di Bruxelles sia chiamata a valutarli ed eventualmente adottarli, sotto forma di atti delegati.

Di contro, il greenwashing continua ad essere la regola. Si moltiplicano infatti i casi di aziende che cercano a tutti i costi di mostrare un’immagine ecologista. Anche quando di “green” c’è poco. L’ultimo caso, in ordine di tempo, riguarda il colosso britannico HSBC: secondo quanto indicato dal Financial Times, l’organismo inglese che vigila sulle pubblicità ha avanzato dubbi su due campagne promozionali dell’istituto finanziario. Che potrebbero indurre in errore i consumatori in merito al reale impegno della banca in materia ambientale.

E se le banche si rifanno il trucco, le criptovalute puntano sugli influencer. E sui social network. Un’analisi del quotidiano economico francese Les Echos spiega come il mercato mondiale delle monete digitali (19mila cripto, 500 piattaforme di scambio, migliaia di fondi) cerchi di sfruttare le star di Twitter, Facebook, Instagram & co. per espandersi. Il caso più eclatante è rappresentato da Elon Musk, che con i suoi 85 milioni di follower è riuscito a garantire enorme pubblicità al Bitcoin e anche (soprattutto) al “suo” Dogecoin. Ma coinvolti ci sono migliaia di influencer, remunerati in funzione del numero di abbonati ai loro account. Il “tariffario” è stato rivelato su Twitter da ZachXBT, sulla base di dati di un’agenzia di marketing incaricata di promuovere criptovalute, token e investimenti nel comparto. Domanda: questi influencer quanto ne sanno di finanza?

Meno certamente degli esperti di numerose banche, che non a caso si stanno lanciando nel metaverso. Di cosa si tratta? Secondo alcuni, del futuro di internet: uno spazio virtuale, persistente, condiviso e accessibile tramite interazioni tridimensionali. Una sorta di evoluzione del web in un mondo parallelo. Nel quale c’è già chi apre negozi. O filiali, appunto. Standard Chartered ha annunciato l’acquisto di una “parcella digitale” sulla piattaforma The Sandbox. Ciò al fine di «ripensare la relazioni con i clienti attuali e futuri», ha spiegato la direttrice generale della filiale di Hong Kong della banca, Mary Huen. All’inizio dell’anno, la stessa strada era stata percorsa da JPMorgan, attraverso la divisione Onyx dedicata alle criptovalute. La spagnola Caixa ha inaugurato allo stesso modo un caffè virtuale sulla piattaforma di realtà virtuale Decentraland.

Sarà il nostro futuro? Forse, intanto ci si rifugia però alla vecchia maniera. Ovvero con l’oro. Da quando è esplosa la guerra in Ucraina, l’oncia è arrivata a superare i duemila dollari. E la domanda trimestrale del metallo prezioso non è mai stata così alta negli ultimi cinque anni.

Le prospettive di chi ha scommesso sulle Borse, d’altra parte, sono incerte. I principali indici mondiali hanno subito ripetute battute d’arresto nel corso dell’anno. Il contesto, per i trader, è ansiogeno: tra rischi di inflazione, strette monetarie, conflitti armati e la pandemia che non ci abbandona. Così, il Nasdaq ha perso oltre il 20% dall’inizio dell’anno. E l’S&P 500 oltre il 13%.

Dati che però non tengono conto del nuovo “flash crash” di lunedì 2 maggio. Poco prima delle 10 ora italiana, alcune transazioni hanno provocato un improvviso crollo delle Borse. Quella di Stoccolma, in particolare, ha temporaneamente perso l’8%. Il motivo? Un errore umano di un trader di Citigroup, come ammesso dalla stessa banca. La ragione è tuttavia, con ogni probabilità, legata agli algoritmi che governano buona parte delle transazioni sui mercati azionari. Che vedendo una vendita improvvisa sono “scattati” e hanno cominciato a cedere a loro volta titoli. Esattamente come accaduto nel maggio 2010 a New York. Dodici anni fa: da allora, evidentemente, non è cambiato molto.