Per la prima volta, i fondi “climatici” registrano una raccolta netta negativa

Il 2024 è stato un anno terribile per i fondi "climatici". A pesare l'incertezza politica e la lentezza della transizione energetica

I fondi climatici stanno raccogliendo sempre meno investimenti © Karsten Würth/Unsplash

Per la prima volta i fondi d’investimento “climatici”, cioè quelli che selezionano titoli funzionali alla transizione ecologica e all’abbattimento delle emissioni di gas a effetto serra, registrano una raccolta netta negativa nel 2024. Ciò significa che il quantitativo disinvestito è più alto rispetto ai nuovi investimenti: la raccolta complessiva, in altre parole, è diminuita. Secondo un rapporto di Morningstar, ripreso dalla testata francese Novethic, nei primi nove mesi dell’anno questo saldo è andato in negativo di 24 miliardi di dollari per i 1.600 fondi attivi analizzati a livello globale. Nello stesso periodo del 2023 era in positivo per 40 miliardi e nel 2021 lo era stato per ben 151 miliardi.

Questo dato riflette una crescente diffidenza degli investitori nei confronti di alcuni strumenti legati alla sostenibilità, nonostante l’urgenza della crisi climatica e l’aumento di strategie di investimento sempre più avanzate. «È una tendenza sorprendente, soprattutto in un contesto in cui gli effetti dei cambiamenti climatici sono sempre più evidenti e le soluzioni offerte agli investitori sono in costante evoluzione», osserva Hortense Bioy, responsabile della ricerca sull’investimento sostenibile presso Morningstar Sustainalytics.

I fattori economici e politici dietro il calo dei capitali investiti nei fondi climatici

La raccolta negativa dei fondi climatici contrasta sia con l’andamento positivo dei fondi ESG in generale (cioè quelli basati su parametri ambientali, sociali e di governance), sia con i fondi non ESG, che continuano a registrare risultati dinamici. Morningstar identifica diverse cause. Il contesto macroeconomico, caratterizzato da tassi di interesse elevati e dall’aumento dei costi dei materiali, ha colpito le imprese focalizzate sulla crescita, come quelle che sviluppano soluzioni per il clima e le energie rinnovabili.

In particolare, i fondi legati a prodotti e servizi per la transizione energetica hanno subito il maggior impatto, con una fuoriuscita di quasi 15 miliardi di dollari. I fondi dedicati alla mobilità sostenibile e ai veicoli elettrici hanno registrato una raccolta negativa di 3,3 miliardi di dollari, a causa delle difficoltà dei produttori automobilistici in Europa, dove le vendite sono in calo e la filiera delle batterie non è ancora sufficientemente sviluppata. Anche i fondi sulle energie rinnovabili hanno visto una perdita significativa, con deflussi pari a 10,3 miliardi di dollari, principalmente a causa dell’aumento dei costi dei materiali e della ridotta redditività che hanno rallentato molti progetti.

«Questi numeri portano alla luce una contraddizione profonda. Mentre la crisi climatica continua ad aggravarsi, come confermato dalla comunità scientifica, l’interesse su questi temi sembra paradossalmente diminuire», è il commento di Roberto Grossi, vice direttore generale di Etica Sgr. «È fondamentale ricordare, però, che i cambiamenti climatici rappresentano un rischio concreto per l’economia e la stabilità dei prezzi. Generano infatti sia rischi fisici, come tempeste e inondazioni, sia rischi di transizione legati alle normative, alle trasformazioni del mercato e ai relativi impatti sociali che le imprese devono affrontare per mantenersi competitive. Integrare considerazioni legate al rischio climatico appare un elemento ormai fondamentale per orientare gli investimenti nel medio-lungo periodo».

La percezione dell’anti-ESG e il rischio del greenwashing

«Anticipare i cambiamenti può essere un rischio per gli investitori», ha aggiunto Bioy di Morningstar, «soprattutto se la transizione non procede al ritmo previsto». Un altro elemento che pesa su questo calo è l’aumento dell’atteggiamento anti-ESG soprattutto negli Stati Uniti, dove l’elezione di Donald Trump rischia di frenare ulteriormente la fiducia degli investitori nei fondi verdi. Dall’altro lato, c’è il timore di scandali legati al greenwashing.

Se si guarda all’Europa, il Vecchio Continente si conferma leader in questo settore, rappresentando l’85% degli investimenti. Stati Uniti e Cina, invece, si fermano rispettivamente al 6 e al 5%. Tuttavia, i fondi che investono in aziende in transizione hanno registrato un calo di 530 milioni di dollari nei primi nove mesi del 2024 e le previsioni per il resto del 2024 rimangono negative. La ripresa potrebbe arrivare nel 2025, qualora i tassi di interesse iniziassero a scendere. Ma le incertezze politiche gettano ombre sul futuro di questi fondi.

Un altro punto di vista sull’ecosistema finanziario legato alla sostenibilità

Nonostante il calo attuale dei fondi climatici, l’ecosistema finanziario legato alla sostenibilità continua a evolversi, con iniziative innovative che guardano oltre gli ESG tradizionali. Ad oggi, oltre 450 aziende e istituzioni finanziarie stanno implementando approcci più “nature positive” per affrontare l’emergenza climatica. Lo evidenzia anche dall’ultimo report della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), Nature Positive for Climate Action.

Tra i casi studio citati, spicca il lavoro di Etica Sgr in collaborazione con l’organizzazione non-profit CDP (Carbon Disclosure Project), impegnata nella promozione della trasparenza ambientale e nella raccolta di dati su performance climatiche, idriche e legate alla deforestazione. Questo dimostra che, accanto ai tradizionali indicatori ESG, stanno emergendo strategie complementari che possono rafforzare l’impegno verso una finanza realmente sostenibile.