L’Unione europea vuole porre fine al conflitto di interessi dei fornitori di rating ESG
Il Consiglio dell’Unione europea sta lavorando a un testo che vuole ricostruire la fiducia nei fornitori di rating ESG
Stop al conflitto di interessi dei fornitori di rating ESG. Chi offre servizi di revisione e consulenza a una società non può anche dare i voti alle politiche ambientali, sociali e di governance di quella stessa società. Decidendo, quindi, se merita di entrare nell’universo investibile dei fondi sostenibili. Questo è il senso di una proposta alla quale sta lavorando la presidenza spagnola del Consiglio dell’Unione europea, visionata in anteprima da Responsible Investor.
Che ruolo hanno i fornitori di rating ESG
Stando ai dati di Morningstar aggiornati a settembre 2023, gli asset gestiti dai fondi sostenibili si attestano a livello globale sui 2.744 miliardi di dollari. L’Europa, da sola, rappresenta l’84% di questa cifra. Questo universo comprende fondi molto differenti tra loro, accomunati però dalla scelta di considerare nelle proprie scelte di investimento i parametri ambientali, sociali e di governance (ESG).
È dunque cruciale il ruolo dei fornitori di rating ESG. Tali società valutano quanto ogni singola società sia esposta ai fattori ESG e cosa stia facendo per gestirli. Questa loro analisi sfocia in un rating, in parte paragonabile a quello tradizionale che riguarda la solvibilità e la solidità di un’emittente. Perché “in parte”? Perché i rating ESG non si basano su dati finanziari standardizzati: ciascuna società dunque li elabora a modo suo, raccogliendo ed elaborando informazioni non finanziarie fornite dalle aziende stesse. C’è dunque chi li taccia di essere complessi, poco trasparenti, difficilmente comparabili l’uno con l’altro. Ma sono proprio i rating ESG – e quindi i fornitori che li elaborano – a decidere se una società finirà o meno in un indice ESG. E dunque in un fondo che, per investire, si basa su quell’indice.
La consultazione
Fondi sostenibili, l’Unione europea prepara una rivoluzione?
La consultazione lanciata dalla Commissione di Bruxelles sui fondi sostenibili potrebbe portare anche all’addio alla classificazione attuale
La proposta per bloccare il conflitto di interessi
Le istituzioni europee sarebbero al lavoro proprio per far sì che il settore si riconquisti una maggiore fiducia. La bozza prevede infatti che una singola società possa fornire servizi di consulenza, revisione, credit rating e sviluppo di benchmark «se mette in atto misure specifiche per assicurare che ciascuna attività sia esercitata in autonomia e impedisca di creare rischi di conflitto di interessi nelle proprie attività di rating ESG».
Se l’azienda cliente è la stessa, a quel punto non bastano le «misure specifiche»: serve una vera e propria separazione legale tra il fornitore di rating ESG e il fornitore di servizi di consulenza o revisione. Quest’ultima era la direzione sulla quale puntava la proposta originale della Commissione europea, poi ammorbidita perché ritenuta troppo interventista. Tra i temi oggetto di dibattito c’è anche il rischio di una disparità di trattamento tra i fornitori di rating ESG con sede negli Usa o nel Regno Unito e quelli con sede nell’Unione europea. Che si tradurrebbe in uno svantaggio competitivo per questi ultimi.
Stando a una fonte di Responsible Investor, che preferisce rimanere anonima, la presidenza del Consiglio dell’Unione europea preme per arrivare entro fine anno a un testo condiviso che dovrà essere poi discusso dall’Europarlamento.