Imprese sostenibili? Il nuovo indice MIB ESG non mette tutti d’accordo

Lanciato l'indice Euronext per le società italiane quotate che rispettano criteri ESG, cioè di sostenibilità. Esperti divisi in Rete sul valore della sua rappresentazione

Gli investimenti sostenibili devono difendersi dal rischio di greenwashing © iStockPhoto / IvelinRadkov

Dal 18 ottobre 2021 c’è un nuovo listino di società italiane quotate in Borsa. Si chiama MIB ESG e include imprese che rispettano criteri di sostenibilità. I cosiddetti criteri ESG, appunto, ambientali, sociali e di governance (ovvero ciò che riguarda democrazia ed equità interna, pari opportunità, trasparenza e lotta alle discriminazioni).

Dedicato alle blue-chip italiane, questo indice – si legge in una nota stampa – «combina la misurazione della performance economica con valutazioni ESG in linea con i principi del Global Compact delle Nazioni Unite». E al suo interno si trovano – ad oggi – 40 compagnie, tra cui ENI, Banca Generali, Mediaset, Stellantis (ex Fiat), Telecom, Unicredit

sostenibilità e finanza: composizione indice MIB ESG per settore industriale
Sostenibilità e finanza: composizione indice MIB ESG per settore industriale © Euronext – MESGP_20211014

Realtà o illusione: la miccia di Dal Maso

La notizia, che di per sé è tutt’altro che negativa, poiché certifica l’interesse – ormai obbligato – di finanza e investitori su certi temi, ha aperto tuttavia un vivace dibattito tra alcuni addetti ai lavori ed esperti. Ad accendere la miccia è stato un post su Linkedin di Davide Dal Maso, oggi partner di Avanzi. Sostenibilità per azioni, che si domanda se l’operazione non abbia una componente mistificatoria della realtà dell’economia nazionale.

Davide Dal Maso partner di Avanzi Sostenibilità per Azioni

Nei giorni scorsi è stato comunicato con una certa enfasi il lancio dell’indice Euronext MIB-#ESG, cioè il paniere delle imprese italiane quotate che soddisfano i requisiti di qualità ambientale, sociale e di governance. Su 40 società componenti l’indice “sostenibile”, 32 sono presenti anche nell’indice MIB “tradizionale”.

Non dubito della razionalità dei principi con cui sono state definite le regole di ammissione né, men che meno, della serietà con cui sono stati applicati. Però non posso fare a meno di pensare: se la differenza tra l’indice “tradizionale” e quello “sostenibile” è del 20% (in termine di numero di emittenti; in termini di capitalizzazione è molto inferiore), uno capisce che l’economia italiana, di cui l’indice è la rappresentazione, è già in larga misura “sostenibile”.

Siccome sappiamo che così non è – anzi, che siamo ben lontani dal trovarci in una situazione di sostenibilità – non siamo di fronte ad un’operazione vagamente mistificatoria?

Dal Maso, in sostanza, sembra temere che dalla rappresentazione del MIB ESG passi, ad una prima impressione, un’immagine illusoria del livello di sostenibilità generale raggiunto dall’imprenditoria nazionale. Probabilmente col rischio di ottundere il senso di urgenza che invece la transizione – ecologica e non solo – dovrebbe avere in economia e politica.

Il dibattito sul nuovo indice ESG? Parla di credibilità di imprese e finanza

Molti tra i suoi contatti hanno perciò raccolto la provocazione. E noi riportiamo qui una selezione delle reazioni che alcuni di loro hanno voluto condividere in Rete. Riflessioni di dettaglio ma anche sugli elementi chiave per valutare la credibilità delle “buone intenzioni” sistema economico e finanziario.

Tra posizioni concordi nella critica…

Paolo Venturi Direttore AICCON – università di Bologna

… ci guardavo pochi giorni fa, pensa che la parte “social” (S) ha come unici indicatori il tasso di assenteismo (<3,5% circa) e il non aver avuto controversie gravi negli ultimi 2 anni con l’ Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite. Imbarazzante

Filippo Montesi Altamirano Secretary General at Social Impact Agenda per l’Italia – Global Steering Group for Impact Investment Italy NAB

Davide Dal Maso la tua riflessione è più che attuale e pertinente. Sull’integrità di principi e metriche di sostenibilità si gioca la credibilità e il futuro di questo mercato. Se da una parte è tatticamente sensato avere approcci “inclusivi” che stimolano e incoraggiano le aziende quotate a diventare sempre più sostenibili, dall’altra occorre anche definire dei limiti che non svuotino di significato il concetto di sostenibilità

… e altre più sfumate, o che non sottoscrivono la preoccupazione espressa da Dal Maso e ne ribaltano il punto di vista.

Marco Di Giacomo Esg Sales Manager presso Raiffeisen Capital Management – MBA

Caro Davide il linea di principio ti seguo al 100% ed ho fatto le tue stessissime considerazioni. Poi dico che è giusto che società ad alta capitalizzazione siano premiate se hanno anche un alto Rating Esg.

Tra investire in Mib Tradizionale e Mib ESG meglio questo, senza alcun dubbio. Attendiamo l’Etf che sta progettando Cerved Group SpA e poi tiriamo le conclusioni.

Transizione finanziaria è anche dibattito, senza mai abbassare la guardia perché il lupo 🐺, noto, continua a mascherarsi da nonna 👵!

Claudio Puliti Coordination of Projects and Major Works di Acea Ato2

Davide, qualcosa mi sfugge: le 32 società presenti su entrambi gli indici sono una grande parte (80%) dell’ESG, ma una piccolissima quota dell’indice tradizionale. Mi sembra più interessante questo secondo dato per ragionare sulla tua domanda, cioè se “non siamo di fronte ad un’operazione mistificatoria”. Mi verrebbe da dire che la risposta è no, perché pochissime società (32 su centinaia) riescono a entrare nell’ESG.

Imprese sostenibili: chi lo certifica e su quali basi?

La questione della definizione di ciò che è oppure non è green, o socialmente responsabile, e dei criteri misurabili per stabilirlo, oltreché di quali enti e come possano certificare il rating ESG, è centrale, ovviamente. E come sta tormentando le istituzioni europee da diverso tempo, con l’introduzione della tassonomia verde e l’avvio del percorso di quella sociale, così ingaggia gli “amici” di Dal Maso.

Federico Mento Direttore Ashoka Italia

Grazie Davide Dal Maso per la riflessione puntuale. Credo ci sia un gigantesco problema collegato alla consistenza degli indici, in particolare quando si tratta di metriche proprietarie “chiuse”. Se gli indici diventano “cosmesi”, sarà arduo affermare un approccio maturo alla sostenibilità (l’integrità citata da Filippo Montesi Altamirano).

Giovanna Zacchi Head of ESG Strategy BPER Banca; Referente Team Diversity&Inclusion di BPER Banca

Il rating ESG utilizzato per la valutazione è quello di Vigeo Eiris, tra i più severi a livello europeo, e sono stati applicati anche criteri di esclusione (non presenti in altri notissimi indici ESG di livello europeo e mondiale).

Federico Mento Direttore Ashoka Italia

Qui (a pagina 4) c’è la sezione dedicata al “Social Impact” (già ci sarebbe molto da discutere) di Vigeo Eiris e credo dimostri ciò che scrivevo sopra in termini di consistenza. L’aumento del 1,5% (!!!) in 5 anni della dimensione women in managementviene valutato come “increase“. Piuttosto mi aspetterei delle soglie più sfidanti, impegni pubblici verso i quali l’impresa orienta la sua attività.

E noi non possiamo che accendere ulteriormente i riflettori sul faticoso percorso della parità di genere nel mondo del lavoro, in generale. E sulle iniquità di trattamento economico tra le persone, tanto più evidenti quando si verificano nelle posizioni apicali nella grande finanza. Come ha mostrato il colosso francese del risparmio Amundi che, proprio dopo aver scelto Valérie Baudson per ricoprire il ruolo di Ceo, ha deciso di tagliare del 33% lo stipendio attribuito al ruolo. Cioè un terzo in meno rispetto a quello del predecessore (uomo).

Serve un “buttafuori” per escludere i cattivi

Serve, insomma, una rivoluzione responsabile che investa più fronti. E tra chi punta alla moral suasion dei più recalcitranti e chi invece pensa che la pazienza delle persone e del Pianeta siano terminate, la distanza è ormai evidente. Ad esempio in quest’ultimo commento:

Lorenzo Vinci Collaboratore presso Banca Popolare Etica

Condivido le perplessità di Davide e temo che l’obiettivo sia più connesso al trovare clienti che a “consolare” gli amministratori…
Su questi argomenti consiglio vivamente di riascoltare le riflessioni sull’opportunità di passare dal fare i “buttadentro” al fare i “buttafuori” che faceva pochi mesi fa il Prof. M. Calderini ad un Ted Talk a Varese (in particolare dal minuto 6,50 in avanti)

La chiosa di Lorenzo Vinci schematizza e semplifica due approcci alternativi, infatti. Ma non solo. Secondo noi nasconde l’allarme per una sempre più impellente necessità di porre un freno a meccanismi di ambiguità strumentale. Alle prassi di greenwashing e socialwashing del comparto finanziario e produttivo globale.

Così, mentre molti big players patiscono maggior pressione di fronte alle loro responsabilità dirette nelle varie forme di crisi in corso (pandemica, sociale, economica, climatica…), per chi vuole perseguire una reale e radicale correzione di rotta la strada è segnata. Pur tra importanti differenziazioni, molte linee guida e buone prassi si realizzano infatti già nella finanza etica, innanzitutto e sulla base di principi e valori non negoziabili stabiliti a priori, e negli schemi della finanza responsabile. Ed entrambe applicano seri processi di esclusione e selezione di compagnie e interi settori industriali.