Finanza, cambiano le regole. Decine di fondi si dichiarano meno sostenibili

Gli asset manager stanno declassando i propri fondi articolo 9: non rispettano i parametri più rigidi che l'Unione europea imporrà nel 2023

Dal 1 gennaio 2023 le regole europee in materia di fondi sostenibili diventeranno più stringenti © Austin Distel/Unsplash

Che l’attenzione agli aspetti ambientali e sociali sia sempre più diffusa anche nel mondo della finanza è un dato di fatto. Ma a quali condizioni un fondo può essere ritenuto sostenibile? A stabilire le regole per l’Unione europea è la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR). A gennaio del 2023, però, alcuni standard diventeranno molto più stringenti. Il che sta costringendo alcune società finanziarie a declassare i propri fondi, che non potranno più essere inquadrati come “articolo 9”. Cioè ritenuti del tutto sostenibili (anche se è stato rivelato che uno su due, in realtà, già non lo era).

Cosa prevede il regolamento europeo SFDR

La SFDR è un regolamento: ciò significa che è vincolante per tutti gli Stati membri dell’Unione europea, senza bisogno di misure di recepimento. Entrata in vigore nel mese di marzo del 2021, vuole introdurre una maggiore trasparenza nel profilo di sostenibilità dei prodotti finanziari, permettendo agli investitori comparare i vari fondi tra di loro.

Nello specifico, prevede tre categorie. I fondi articolo 6 non sono focalizzati sulla sostenibilità; i fondi articolo 8 (light green) invece promuovono caratteristiche ambientali e sociali, ma collocano denaro anche in attività di altro tipo; i fondi articolo 9 (dark green) hanno invece la sostenibilità come obiettivo principale e puntano a perseguire risultati specifici, in parallelo a quelli finanziari.

Quanti fondi non saranno più articolo 9

A fine settembre 2022, il 33,6% dei fondi commercializzati all’interno dell’Unione europea era inquadrato come articolo 8 e il 4,3% come articolo 9. Tutti gli altri non indicavano caratteristiche ambientali, sociali e di governance (ESG), ricadendo quindi nell’articolo 6. Nel terzo trimestre dell’anno il patrimonio dei fondi articolo 8 e articolo 9 è cresciuto quasi del 3%, raggiungendo i 4.300 miliardi di euro, mentre quello dei fondi articolo 6 calava quasi del 7%.

Questi dati, forniti dalla società di servizi finanziari Morningstar, sono però destinati a cambiare in fretta. Per la precisione dal 1 gennaio del 2023, quando entreranno in vigore le norme tecniche di regolamentazione (RTS) per il livello 2 della SFDR. Queste ultime impongono ai fondi articolo 8 e articolo 9 requisiti aggiuntivi in termini di allocazione dei capitali (una percentuale minima per esempio dovrà essere indirizzata ad attività coerenti con la tassonomia), metodologie e comunicazione delle informazioni.

BlackRock
La sede di BlackRock © Pubblico dominio/Wikimedia Commons

Cosa succederà? Qualche indizio ce l’abbiamo già. Negli ultimi tre mesi, riferisce Morningstar, 41 fondi sono stati declassati da articolo 9 ad articolo 8. Perché i loro gestori hanno preferito attrezzarsi in anticipo, in previsione dell’entrata in vigore di questi requisiti più rigorosi.

Tra loro c’è per esempio AXA IM, che ne ha già riclassificati 21 e farà lo stesso per altri 24 nei prossimi mesi. Anche BlackRock e UBS AM si stanno preparando al downgrade di svariati ETF, per un totale di 21 miliardi di euro di asset gestiti.

Amundi, il più grande asset manager europeo, declasserà da articolo 9 ad articolo 8 circa 100 prodotti, per un valore complessivo di 45 miliardi di euro, seguendo un approccio descritto come «deliberatamente prudente». Il sito specializzato fundinfo stima che siano ben 1.500 i fondi destinati a perdere il loro status di articolo 9.

Ma tutti i fondi sostenibili lo sono davvero?

Questo fa sospettare che, per come sono state impostate le regole del gioco fino ad ora, l’etichetta di articolo 9 non fosse poi una garanzia. Lo suggerisce anche una recente analisi condotta dalla piattaforma tecnologica Clarity AI su 15mila fondi. Quelli articolo 9 sono 750.

Quasi il 20% di questi ultimi, però, ha indirizzato più del 10% dei propri investimenti verso aziende che violano i principi del Global Compact delle Nazioni Unite oppure le linee guida previste dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) per le multinazionali. Se si allarga lo sguardo a chi ha un’esposizione superiore al 5%, si arriva addirittura al 40% del campione. In altre parole, questi fondi – ufficialmente «sostenibili» – investono in 166 società ritenute colpevoli di corruzione, pratiche anticoncorrenziali, danni ambientali. C’è di più. Quasi il 10% dei fondi articolo 9 ha allocato almeno il 10% dei propri asset in società legate ai combustibili fossili.

A conti fatti, dunque, alcuni di essi potrebbero non essere conformi nemmeno al principio «do not significant harm», cioè quello di non arrecare danni significativi all’ambiente. A leggere questi numeri, il prossimo inasprimento delle regole appare quanto mai necessario.