Fossil Fuel Treaty: l’utopia che diventa trattato globale contro le fossili

Il Fossil Fuel Treaty raccoglie sempre più adesioni da governi, città e società civile, puntando a un trattato globale per eliminare le fonti fossili

© Fossil Fuel Treaty/Facebook

Un grande evento internazionale nel 2026, numeri in crescita, l’ampliamento costante del network e del supporto della società civile, oltre ovviamente alla Cop30 imminente. Su questo è ruotato il Virtual Summit del Fossil Fuel Treaty, l’iniziativa che mira a definire un trattato globale vincolante per la non-proliferazione dei combustibili fossili. Un complemento necessario all’Accordo di Parigi, che paradossalmente non cita mai le fonti fossili nonostante siano di gran lunga la principale causa della crisi climatica.

Strategie globali per il Fossil Fuel Treaty

Il Summit si è tenuto dall’8 al 15 settembre, con sessioni online che hanno richiamato centinaia di partecipanti dai quattro angoli del Pianeta. Annunciato e preparato da mesi, l’incontro aveva il principale obiettivo di allineare i sostenitori del Treaty sulla definizione delle strategie, legali, politiche e di costante costruzione del movimento, potenzialmente più efficaci per far avanzare l’agenda del Trattato. Uno spazio di lavoro, in altre parole, in cui ogni partecipante poteva ritagliarsi un ruolo. Prova ne sia il fatto che nell’ultima sessione a chi era collegato è stata data la possibilità di sottoscrivere un impegno specifico. Come ad esempio organizzare un’iniziativa di sostegno sul proprio territorio o sollecitare il proprio Comune ad aderire formalmente al Treaty.

È stata anche l’occasione per fare il punto sui risultati più recenti raggiunti dal Treaty e sui principali obiettivi a breve termine. A cominciare dalla conferenza internazionale che si intende organizzare nel 2026.

Phase-out Conference 2026: la Colombia guida l’iniziativa

L’ufficializzazione è arrivata proprio nei giorni immediatamente successivi al Virtual Summit, dove se n’era parlato in via informale. Sarà la Colombia ad ospitare la Fossil Fuel Phase-Out Conference ad aprile 2026, prima conferenza internazionale per l’eliminazione dei combustibili fossili.

I governi della Colombia e di Vanuatu lo hanno annunciato il 24 settembre in una conferenza stampa congiunta a New York durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA). Che sia la Colombia il Paese ospitante dell’evento non stupisce. Come al Virtual Summit ha ricordato Tatiana Roa Avendano, viceministra dell’Ambiente colombiana, la Colombia è stata il primo Paese forte produttore di combustibili fossili a sostenere il Treaty. Decisione che il presidente colombiano Gustavo Petro annunciò alla Cop28 in Dubai. Vanuatu, invece, nel 2022 sempre durante UNGA fu il primo Paese a chiedere ufficialmente alle nazioni del mondo di sostenere un trattato per fermare l’espansione delle fossili.

Verso un trattato globale per fermare le fossili

La conferenza mirerà a divulgare l’iniziativa a un pubblico ancora più vasto. Ma soprattutto a far salire a bordo nuovi Paesi, così da provare ad accelerare sull’obiettivo fondamentale al quale il Treaty sta puntando oggi: ottenere un mandato formale di negoziazione per la definizione del Trattato. O come processo negoziale autonomo, oppure in ambito Onu.

I funzionari dei 17 Paesi (Colombia e Pakistan i due maggiori) che sostengono il Treaty, o che hanno comunque ufficialmente iniziato a partecipare al processo, si sono già incontrati tre volte. L’ultima a metà giugno a Bonn, durante la sessione degli “organismi sussidiari” della Convenzione quadro sul clima delle Nazioni Unite. Si incontreranno di nuovo alla Cop brasiliana.

Crescono adesioni e numeri del Fossil Fuel Treaty

Presidente del Treaty da settembre dell’anno scorso, il celebre attivista sudafricano Kumi Naidoo, già direttore esecutivo di Greenpeace International e segretario generale di Amnesty International, ha affermato che il Treaty sta ricevendo un supporto diplomatico senza precedenti. I numeri lo confermano. Il Treaty è sostenuto ufficialmente da circa 140 città ai quattro angoli del Pianeta (3 in Italia, Pontassieve, Roma e Torino), da 850 parlamentari in tutto il mondo (c’è anche l’iniziativa specifica “Parlamentari per un futuro fossil free”). Oltre che da 4mila organizzazioni della società civile.

C’è anche il mondo del business, con oltre una settantina di realtà di cui la metà banche e istituzioni finanziarie. Fra queste Banca Etica, prima banca in Italia a farlo, e altri istituti di credito membri di GABV-Global Alliance for Banking on Values. Oltre a premi Nobel, scienziati e accademici, leader e organizzazioni religiose (fra cui il Movimento Laudato Si’), istituzioni medico-sanitarie (fra cui l’Organizzazione mondiale della Sanità). E sindacati che rappresentano oltre 35 milioni di lavoratori (gli ultimi ad aderire sono stati i britannici UCU-University and College Union, e BFAWU-Bakers, Food and Allied Workers Union). E poi oltre un milione di sostenitori individuali in tutto il mondo.

Dal sogno alla realtà: il trattato contro le fossili prende forma

L’iniziativa dimostra di continuare ad avere una robusta e anzi crescente forza trainante nei confronti di personaggi di primissimo piano. In estate, ad esempio, Sadiq Khan, il sindaco di Londra (città che ha aderito al Treaty a metà del 2022), è stato nominato inviato speciale di Fossil Free Cities, l’iniziativa specifica per le città. Khan, che è anche co-presidente della rete C40 Cities, è noto per aver introdotto una lunga serie di misure green. In collaborazione con la London Pension Fund Authority, ad esempio, ha promosso politiche di disinvestimento dalle fonti fossili che hanno interessato asset per quasi 10 miliardi di sterline.

La realizzazione del Treaty è sempre meno un’utopia, insomma, come invece è stata spesso ed è tuttora bollata. Del resto lo ha ricordato al Virtual Summit lo stesso Kumi Naidoo, prendendo a prestito una celebre frase di Nelson Mandela: sembra sempre impossibile, finché non viene fatto.

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