Francia, rivolta contro la riforma pensioni: «Un regalo a ricchi e imprese»

Sulla riforma del sistema pensionistico proposta dal governo francese piovono da mesi critiche: «Esenterà i più facoltosi dalla solidarietà intergenerazionale»

Una manifestazione in Francia del sindacato CGT © Jeanne Menjoulet via Flickr

«La riforma delle pensioni sarà portata a termine». Nel suo discorso di fine anno alla nazione, il presidente della Francia Emmanuel Macron si è mostrato irremovibile, nonostante lunghe settimane di mobilitazioni da parte di sindacati, associazioni e lavoratori. Il nuovo sistema ideato dal governo presieduto dal conservatore Edouard Philippe vedrà la luce, ha affermato il leader transalpino. Ma cosa cambierà per i cittadini francesi? E per quale ragione molti di loro hanno attuato scioperi ad oltranza, riempito piazze e gridato allo scandalo?

Da mesi, in Francia, si susseguono scioperi contro la riforma delle pensioni

Per capirlo si può partire dall’ultimo capitolo della questione. Benché della riforma macroniana delle pensioni si parli ormai da mesi, infatti, dalle pieghe del progetto presentato dall’esecutivo di Parigi continuano ad emergere conseguenze giudicate paradossali da non pochi osservatori.

Secondo la stampa francese, ad esempio, il governo prevede che i lavoratori dipendenti possano versare contributi estremamente ridotti per le porzioni di salario eccedenti i 10mila euro al mese. Si tratta di un aspetto che è stato poco dibattuto. Fino allo scorso 5 dicembre, quando l’economista Thomas Piketty ha spiegato all’emittente France Inter cosa comporta tale novità.

Francia, Thomas Piketty critica la riforma delle pensioni di Macron««Per molto tempo si è accettato che le pensioni non facciano altro che riprodurre sine die, fino alla morte, le disuguaglianze che si sono manifestate nel corso della vita lavorativa. Questa visione ormai è superata. Da un lato perché le disuguaglianze lavorative hanno raggiunto proporzioni abissali. Dall’altro perché la speranza di vita è aumentata e quindi il tema oggi è come finanziare un’esistenza degna nel corso degli ultimi anni della stessa».

«Un sistema pensionistico accettabile, perciò – prosegue l’economista transalpino – dovrebbe essere ben più favorevole per chi guadagna il salario minimo (il “salario minimo di crescita”, detto “SMIC”, è pari in Francia a 1.539,42 euro lordi al mese, per 35 ore di lavoro settimanale, ndr). O magari per chi arriva a due volte tale valore. Occorrerebbe invece chiedere di più a chi guadagna 6 o 7 volte tanto. Il problema è che il progetto proposto dal governo fa esattamente il contrario».

francia macron philippe
Il presidente e il primo ministro della Francia, Emmanuel Macron e Edouard Philippe © Wikimedia Commons

La ragione, secondo Piketty, è la volontà del governo di modificare uno dei pilastri del sistema attuale. Oggi, infatti, i dipendenti sono chiamati a versare circa il 28% del loro stipendio per la pensione. Tali contributi sono per il 17% a carico dell’azienda e per l’11% a carico del lavoratore. Ciò fino però a 324mila euro lordi all’anno, ovvero 27mila euro lordi al mese. Solo al di là di tale soglia, si versa soltanto il 2,3%, senza però alcuna contropartita: tale percentuale, benché esigua, serve unicamente a finanziare il sistema. Un modo dunque per redistribuire la ricchezza nel corso della vecchiaia.

La riforma ideata da Macron e Philippe punta però ad abbassare enormemente tale soglia. Arrivando a soli 10mila euro lordi al mese. Fino ad essa, i contributi saranno fissati al 28,12%; al di là, scenderanno al 2,8%. Il governo presenta l’idea come un elemento di solidarietà, ma – come osservato dal quotidiano Mediapart – «la novità rappresenterà un guadagno non da poco sia per i dipendenti più ricchi che per le aziende presso le quali lavorano». Si parla di un numero di persone compreso tra 300 e 350mila. Così, secondo i calcoli dell’Istituto per la protezione sociale, un dipendente pagato 27mila euro al mese dovrebbe risparmiare circa 10.500 euro all’anno. Mentre chi guadagna lo SMIC dovrà sborsare uno 0,12% in più rispetto ad oggi.

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Per le imprese un “cadeau” da 2,9 miliardi di euro all’anno

«Nella società c’è una domanda di giustizia – aggiunge Piketty – alla quale il governo non risponde. Rispetto ad oggi, la riforma porterebbe ad un enorme calo della contribuzione per i più ricchi». Che nel complesso, secondo il sindacato CGT, sarà di circa «4,8 miliardi di euro all’anno». Ancor più duro Jacques Rigaudiat, economista ed ex consigliere dei primi ministri Michel Rocard e Lionel Jospin: «I più abbienti saranno di fatto esentati dalla solidarietà intergenerazionale». Le imprese, dal canto loro, otterrebbero uno sgravio di 2,9 miliardi di euro all’anno.

Ma al di là di tale aspetto, quali sono gli altri punti fondamentali della riforma? Il primo è che i 42 regimi pensionistici oggi esistenti in Francia saranno sostituiti da un “sistema universale”. «Un euro di contributi aprirà gli stessi diritti per tutti», spiega il governo. «Ma non si tiene conto del fatto che chi guadagna di più ha una speranza di vita maggiore rispetto a chi guadagna di meno. E chi fa certi mestieri, allo stesso modo, vive in media meno di chi ne fa altri. Il che significa che chi è più povero e fa lavori usuranti pagherà le proprie quote ma usufruirà per meno tempo del sistema. Di fatto, dunque, finanzierà le pensioni di chi è più ricco e fa lavori meno pericolosi», avverte ancora Piketty.

Saranno infatti soppressi alcuni “regimi speciali” (infermieri, controllori di volo, ecc.) e previste agevolazioni solo per determinate professioni, come nel caso di militari che abbiano assolto compiti pericolosi in missione.

«Chi guadagna meno e fa lavori usuranti finanzierà la pensione dei più ricchi»

La pensione, inoltre, sarà calcolata in funzione dei “punti” accumulati nel corso della vita lavorativa. Saranno convertiti in euro in funzione degli equilibri finanziari al momento della liquidazione. Difficile, se non impossibile, perciò sapere in anticipo quale sarà la rendita di ciascun punto al momento del pensionamento. Inoltre, sarà soppressa la “regola dei 25 anni migliori”, sulla cui base sono state finora calcolate le pensioni dei francesi.

Regola che per i funzionari era ridotta agli ultimi sei mesi di stipendio. Il che da un lato favorirà chi ha una carriera lineare (principalmente i bassi salari). Dall’altro, però, rappresenterà un problema dal momento che d’ora in poi anche gli anni di disoccupazione e di precariato saranno calcolati per stabilire il montante delle pensioni.

Per quanto riguarda poi l’età pensionabile, essa sarà mantenuta a 62 anni. Si tratta di una promessa avanzata in campagna elettorale da Macron. Anche qui, tuttavia, il rapporto pubblicato da Jean-Paul Delevoye, Alto commissario per la riforma pensionistica, preconizza possibili penalità. Di fatto, dunque, come spiegato dall’emittente France Info, «è la fine della pensione a 62 anni senza decurtazioni. Anche per chi ha lavorato per 43 anni».

Non a caso, lo stesso rapporto Delevoye indica 64 anni come «un’età equilibrata», con un premio per chi deciderà di lavorare di più. Di fatto, così, per la pensione “piena” potrà essere necessario arrivare anche a 67 anni. «L’obiettivo – commenta France Info – è di far lavorare i francesi più a lungo».

Per ottenere la pensione piena si dovrà lavorare tra 62 e 67 anni

La pensione minima, inoltre, è stata fissata a 1.023 euro, pari all’85% del salario minimo. Un valore praticamente invariato rispetto ai 1.000 euro previsti per il 2020 per una carriera completa. E che resta al livello della soglia di povertà fissata dall’INSEE, l’istituto di statistica francese.

Infine, un altro punto di scontro con le parti sociali è legato all’equilibrio finanziario. Ad oggi il deficit non è eccessivo: 2,9 miliardi di euro nel 2018. Ma il Consiglio d’Orientamento delle Pensioni ha parlato di un buco di 10 miliardi nei prossimi tre anni. Per questo Delevoye ha indicato la necessità di stringere la cinghia. Non si sa tuttavia ancora in che modo ciò sarà fatto. Sul lungo termine, poi, l’idea è di contenere le spese stabilmente al 13,8% del Pil.

Il governo francese, in ogni caso, è di fronte ad un bivio: continuare sulla propria strada ed attendersi una profonda frattura sociale. Oppure cercare un difficile compromesso. Che secondo le dichiarazioni del ministro dell’Economia Bruno Le Maire di lunedì 6 gennaio sarebbe «ormai prossimo». Resta il fatto che, secondo un sondaggio pubblicato dalla testata l’Opinion, il 53% dei francesi si dice contrario alla riforma.