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Malgrado decenni di appelli, gli impegni per il clima dei governi sono ancora insufficienti. L’IEA indica la strada (fatta di rinnovabili)

I governi del G20 riuniti a Roma nell'ottobre del 2021. Le nazioni più ricche sono le maggiori responsabili del riscaldamento climatico e delle sue conseguenze © Paul Kagame/Flickr

Il processo di transizione energetica che il mondo deve compiere è ancora troppo lento, ma in miglioramento. Soprattutto, per la prima volta la domanda globale di fonti fossili, che più di ogni altra è responsabile del riscaldamento climatico, sembra essere sul punto di raggiungere un picco, previsto per il 2025. Ciò significa che potrebbe, d’ora in avanti, stabilizzarsi. A spiegarlo è un rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), pubblicato il 27 ottobre, e intitolato “World Energy Outlook 2022”.

«La guerra in Ucraina potrebbe spingere le rinnovabili»

La notizia del picco è tuttavia solo in parte positiva, poiché la scienza ha spiegato che ciòche occorrerebbe non è una stabilizzazione ma un calo. Drastico e immediato. Inoltre, il rapporto precisa che il ricorso alle energie rinnovabili è ancora troppo blando. Se avessimo investito maggiormente nel fotovoltaico e nell’eolico, oggi la situazione sarebbe decisamente meno grave. Così come se si fosse puntato sull’efficienza energetica.

Tuttavia, lo stesso rapporto precisa che la guerra in Ucraina potrebbe accelerare gli investimenti nelle rinnovabili, al fine affrancarci dai combustibili fossili. A pochi giorni dalla ventisettesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop 27 che si terrà a novembre in Egitto, l’IEA chiede in questo senso nuovi sforzi. Che non dovranno essere inferiori a 2mila miliardi di dollari di qui al 2030. E salire a 4mila miliardi entro il 2050. Cifre alte ma non folli, se si considera che dopo l’Accordo di Parigi, nel giro di pochi anni, soltanto 60 grandi banche internazionali hanno concesso alle fossili 4.600 miliardi. Senza considerare quelli arrivati dai fondi d’investimento e dai governi.

Quando costerà trasformare i nostri sistemi economici

In generale, una trasformazione complessiva degli interi sistemi economici di tutto il mondo necessiterà di 4-6mila miliardi di dollari all’anno. Il che rappresenta solo l’1,5-2% del totale degli asset in gestione nel settore finanziario.

«L’Agenzia Internazionale per l’Energia – ha commentato Michele Governatori, Responsabile elettricità e gas del think tank ECCO –  ha registrato il raggiungimento di un massimo dei consumi di energie fossili che attendevamo da tempo. Questo è in parte effetto della crisi del gas. Ma soprattutto della spinta mondiale ormai inarrestabile verso le energie compatibili con la lotta ai cambiamenti climatici. L’emergenza di questa fase è un motivo in più, non in meno, perché le politiche siano coerenti con questa transizione».

E d’altra parte si tratta di una scelta obbligata, anche in ragione di un altro rapporto, pubblicato dall’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Il documento ha valutato la portata delle nuove promesse di riduzione delle emissioni di CO2 avanzate dai governi di tutto il mondo. Concludendo che esse sono ancora lontanissime dalla traiettoria che ci porterebbe a centrare l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi. Ovvero limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali.

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Un’immagine della Cop 26 di Glasgow © Andrea Barolini

L’aumento della temperatura media globale, al ritmo attuale, sfiorerà i 3 gradi centigradi

Ebbene gli impegni attuali, ancorché rivisti, porteranno il riscaldamento globale non a 1,5, e neppure a 2 gradi (che già rappresenterebbe la differenza tra una crisi e una catastrofe climatica). Ma a 2,5 gradi. E ciò a patto che tali promesse vengano totalmente mantenute, cosa che è tutta da verificare. Altrimenti, la traiettoria porterà a 2,8 gradi.

Basterebbe d’altra parte ascoltare i cittadini e gli esperti per capire che è ora di agire. La nona edizione del rapporto “Future Risks Report” della compagnia d’assicurazioni Axa, che misura i rischi finanziari in funzione della loro percezione, ha indicato la crisi climatica come la principale fonte di preoccupazione. Ciò secondo i 4.500 esperti di 28 Paesi e le 20mila persone di 15 nazioni che hanno partecipato al sondaggio.