1. Ogni anno Greenpeace Brasile sorvola l’Amazzonia per monitorare la deforestazione e gli incendi boschivi. Un fenomeno dietro il quale si nascondono affari miliardari e rischi economici. Ma soprattutto determinante nella perdita di enormi superfici ricche di biodiversità, oltre che nella produzione di milioni di tonnellate di CO2 che favoriscono il riscaldamento globale a causa dei roghi che devastano le foreste pluviali – non solo in Amazzonia -.
Grazie a questa foto scattata ad agosto 2020, ai dati di rilevazione satellitare dei punti di calore e alle eccezionali e allarmanti immagini che seguono (che coprono quasi 20 anni di impatto sugli habitat), risulta evidente che si tratta di una pratica che va monitorata, governata, limitata e combattuta.
2. Durante un’esplorazione sul Rio delle Amazzoni l’equipaggio della MY Arctic Sunrise, barca di Greenpeace, scopre un’operazione di disboscamento illegale con almeno 200 km di strade realizzate nella foresta. Gli attivisti hanno informato l’agenzia ambientale Ibama. Inoltre denunciano con la scritta CRIME (cioè “CRIMINE”) dipinta a caratteri cubitali sulla chiatta dei taglialegna posta a bloccare l’accesso al cantiere di smistamento. Un’enorme quantità di tronchi è già stata portata via sull’acqua.
3. Greenpeace accompagna questa immagine ricordando che l’americana Cargill Corporation (su cui spesso abbiamo scritto) brucia vaste aree di foresta pluviale per preparare il terreno alle piantagioni di soia.
4. Visuale impressionante dall’aereo in volo da Manaus a Santarem sopra un’ampia area disboscata a forma di croce. Ben 1645 ettari deforestati illegalmente per piantare soia. Greenpeace documenta da anni l’impatto della deforestazione e delle coltivazioni sulle comunità locali, sulla fauna selvatica e sul paesaggio della foresta pluviale.
5. In volo dall’Alta Floresta alla municipalità di Claudia con vista sulla foresta pluviale, quando ampie porzioni di bosco e vegetazione vengono incendiate dai contadini per lasciare spazio ai campi di soia e all’allevamento di bestiame.
6. La documentazione di incendi boschivi provocati dall’uomo per liberare terreni per l’agricoltura e il bestiame è ampia. In tali aree il disboscamento causa la desertificazione del territorio, distrugge la biodiversità, costringe le popolazioni indigene a migrare e contribuisce a rendere il Brasile tra i principali emettitori globali di gas a effetto serra.
7. Un singolo albero in un campo di soia vicino alla foresta pluviale, a sud di Santarem e lungo la strada BR163. Attraversando l’Amazzonia brasiliana da nord a sud, su una distanza di 1700 km, c’è questa autostrada federale che si è rivelata come uno dei principali motori della deforestazione nella regione. Lungo questa linea di comunicazione sono stati appiccati molti roghi e sono sorti impianti di macellazione. Inoltre, essa viene usata dai grandi coltivatori come collegamento fino al porto di Santarem, punto di partenza per l’export delle grandi compagnie.
9. Gli attivisti di Greenpeace Brasile collocano uno striscione con la scritta “Laundered for export” (cioè “Ripulito per l’esportazione”) presso la segheria di Pampa vicino alla capitale dello stato di Parà, Belem. Dopo un’indagine durata due anni Greenpeace ha denunciato la manipolazione del sistema per riciclare il legname illegale con documenti legali per poi rivenderlo in tutto il mondo, soprattutto negli USA e in Europa.
10. La regione tra gli stati di Maranhão, Tocantins, Piauí e Bahia è conosciuta come MATOPIBA e considerata la vetrina nazionale dell’agribusiness, con un’alta produzione di soia e mais per l’esportazione. Il modello predatorio, tuttavia, crea disuguaglianze e accelera la deforestazione nel bioma del Cerrado, tra i più minacciati del Brasile ed estremamente importante per le falde acquifere e l’approvvigionamento idrico di tutta l’America Latina.
11. Il Parco Statale Serra de Ricardo Franco si trova in una regione dove si incontrano l’Amazzonia, il Cerrado e il Pantanal. Creato nel 1997 e però – spiega Greenpeace- mai completamente implementato. A causa di problemi di supervisione è diventato perciò un facile bersaglio per i land grabbers (gli “accaparratori di terra”) e gli allevatori di bestiame. Sono stati disboscati oltre 38mila ettari che avrebbero dovuto essere completamente protetti; il 33% di questa deforestazione è avvenuta dopo che il parco è stato etichettato come Conservation Unity. L’allevamento di bestiame è la ragione principale per cui le persone invadono queste terre.
12. Ecco cosa resta alla fine della “stagione degli incendi” tra gli stati brasiliani di Amazonas, Acre e Rondônia, dove la foresta amazzonica presenta ancora roghi e vaste aree di ceneri accumulate. Una minaccia per le persone, gli animali e un contributo alle emissioni globali di gas serra. Nel 2018, nonostante una tendenza alla diminuzione del numero di incendi, gli Stati brasiliani più critici per la deforestazione hanno registrato una crescita di episodi.
13. Resti di bosco in fiamme in un’area controllata dal sistema di monitoraggio satellitare Prodes (Brazilian Amazon Satellite Monitoring Project), a Juara. A luglio 2020 Greenpeace ha sorvolato i punti di deforestazione indicati dal Deter (Real Time Deforestation Detection System) e le zone di allarme incendi segnalate dall’Inpe (Istituto nazionale per la ricerca spaziale), negli stati del Pará e del Mato Grosso.
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Si apre e cresce il mercato dei sostituti vegetali della carne da allevamenti. Tra 10 anni potremmo avere al supermercato quella coltivata da cellule staminali