I progetti fossili finanziati dalla Banca mondiale che intrappolano il Ghana

Un rapporto di SOMO e ActionAid Ghana accusa la Banca mondiale di aver finanziato progetti oil&gas controproducenti per l’economia del Paese africano

Un rapporto accusa la Banca mondiale di aver finanziato progetti oil&gas controproducenti per il Ghana © Gerhard Pettersson/iStockPhoto

Quando le società petrolifere Tullow Oil e Kosmos Energy hanno iniziato a lavorare al giacimento petrolifero offshore Jubilee, gli investitori occidentali lo hanno acclamato come una grande opportunità per lo sviluppo economico del Ghana. A quindici anni di distanza, sappiamo che le cose non sono andate esattamente così. La nave galleggiante costruita ad hoc per la produzione, lo stoccaggio e lo scarico ha manifestato problemi fin dall’inizio. E, contrariamente ai piani, ingenti quantità di gas emerso in superficie con l’estrazione del petrolio sono state bruciate. Il gas flaring, però, ha un impatto enorme sulle emissioni di gas serra. Come se non bastasse, è anche uno spreco in termini economici. Si è arrivati al controsenso per cui, proprio mentre il giacimento Jubilee bruciava gas quotidianamente, il governo del Ghana – alle prese con la carenza di energia – si trovava costretto a incrementare le importazioni di gas naturale liquefatto.

Non è finita qui. Perché non basta estrarre idrocarburi in mare: servono anche le infrastrutture a terra che permettano di usarlo. Peccato però che l’impianto di trattamento del gas di Atuabo, che riceve il gas naturale grezzo dal giacimento di Jubilee, lo processa e lo converte, sia stato realizzato soltanto anni dopo l’avvio delle attività. Con capitali cinesi – perché gli investitori occidentali, evidentemente, non ci avevano pensato. Ciò significa che, per i primi quattro anni, il Ghana ha subito l’impatto ambientale del progetto senza nemmeno poter usufruire del gas. Mentre il Paese africano si indebitava con la Cina a condizioni piuttosto onerose. Dietro a questo progetto doppiamente paradossale c’è la Banca mondiale. Che lo ha sostenuto fin dall’inizio attraverso i prestiti della International Finance Corporation e le garanzie dell’Agenzia multilaterale di garanzia degli investimenti (Miga). Interventi che hanno mobilitato altri 4 miliardi di dollari di capitali privati.

SOMO e ActionAid contro i progetti fossili in Ghana sostenuti dalla Banca mondiale

Il centro di ricerca olandese SOMO e ActionAid Ghana hanno dedicato un intero rapporto ai controversi progetti fossili che la Banca mondiale ha finanziato in Ghana negli ultimi anni. Attraverso le cinque istituzioni che lo compongono, il gruppo si pone la missione di contribuire alla crescita sostenibile, resiliente e inclusiva dei Paesi in via di sviluppo. Nella pratica, denunciano però gli autori, l’operato della Banca mondiale in Ghana ha ben poco a che vedere con lo sviluppo sostenibile. Perché, destinando circa 2 miliardi di dollari a vari progetti legati all’oil&gas, l’istituto contraddice apertamente qualsiasi suo impegno per il clima.

Anche volendo chiudere gli occhi di fronte alle conseguenze sul Pianeta, scelte simili non sono giustificabili nemmeno sul piano economico. Perché vincolano l’economia del Ghana alle fonti fossili, i cui profitti finiscono nelle tasche degli investitori stranieri invece di creare benessere sul territorio. Anzi, il debito estero continua a crescere e il prezzo dell’energia resta fuori portata per la popolazione. «Il Ghana è stato costretto a stipulare accordi energetici insostenibili e fuori dalla propria portata. Questi contratti sembrano garantire profitti alle multinazionali del petrolio mentre il nostro governo fatica a ripagare i debiti. Il peso ricade sui cittadini comuni, che devono sopportare tariffe elettriche elevatissime senza che le promesse di sviluppo energetico si realizzino», commenta John Nkaw, direttore nazionale di ActionAid Ghana.

Il gasdotto Wagp e il progetto Sankofa, due pessimi affari

Il progetto Jubilee è in buona compagnia. Sempre nel 2010 – in ritardo di anni sulla tabella di marcia – è entrato in funzione il West African Gas Pipeline (Wagp). Anch’esso lanciato con promesse roboanti, è un gasdotto che parte dalla Nigeria raggiungendo il Ghana e i Paesi vicini. L’infrastruttura nasce da una joint venture, capeggiata da Shell e Chevron, che ha ricevuto dalla Banca mondiale 50 milioni di dollari come garanzie contro il potenziale rischio di insolvenza dello Stato e altri 75 milioni di dollari per tutelarsi dal rischio politico. Per coprire la sua parte di costi, Accra ha contratto un prestito di 75 milioni di dollari dalla Banca europea per gli investimenti. Ma il Wagp si è rivelato un cattivo affare. Ha funzionato in modo discontinuo, coprendo in media appena la metà delle quantità contrattualizzate e costringendo il Paese a importare (a caro prezzo) combustibile per le sue centrali termiche.

Il terzo progetto descritto dal rapporto è Sankofa. Qui la Banca mondiale ha avuto un ruolo chiave come co-finanziatrice, garante e consulente, impegnando oltre 1,2 miliardi di dollari per favorire un accordo con cui il Ghana si vincolava ad acquistare un volume di gas predefinito da Eni e Vitol, a prescindere dal consumo reale. Le due compagnie hanno incassato un rendimento finanziario netto del 14% sui loro investimenti, insieme ad altri vantaggi fiscali. Perché il progetto funzionasse, però, bisognava connettere il giacimento al gasdotto Wagp. Il Ghana ha dovuto provvedere di tasca propria sborsando 170 milioni di dollari solo per l’interconnessione, in aggiunt ai 50 milioni al mese per il gas che in gran parte non usava. Di fronte ai ritardi nei pagamenti, Eni e Vitol hanno preso 360 milioni di dollari dal fondo di garanzia della Banca mondiale. E ora il Ghana deve ripagare anche quelli.

1 Commento

  • A

    Alessandro Monari

    Bravissimi! Cooperassimo? A presto alessandro.monari@e3power.eu +393482924967

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