Gli investimenti privati per lo sviluppo aggravano conflitti e violenze

Gli investimenti privati dell'IFC nei Paesi in via di sviluppo aggravano le fragilità, i conflitti e le violenze che dovrebbero contrastare

Gli investimenti privati per lo sviluppo aggravano conflitti e violenze © krblokhin/IStockPhoto

Gli investimenti privati nei Paesi in via di sviluppo aggravano le fragilità, i conflitti e le violenze che dovrebbero contrastare. Questi gli esiti dello studio internazionale International Finance Corporation Projects and Increased Armed Conflict, che ha monitorato gli esiti dei progetti dell’International Finance Corporation. L’IFC, ramo del settore privato della Banca Mondiale, ha sostenuto migliaia di progetti tra il 1994 e il 2022. Lo scopo ufficiale era finanziare attività di sostegno allo sviluppo, ma dall’indagine emerge tutt’altro.

Il quadro, in linea con quanto denunciato da Ong, attivisti e gruppi che si occupano di diritti umani nei Paesi fragili e colpiti da conflitti, è di imposizione di modelli di sfruttamento, violenza e violazioni dei diritti fondamentali.

Gli investimenti privati dell’IFC aggravano i conflitti nei Paesi in via di sviluppo

L’indagine monitora le attività dell’IFC a partire dalle dichiarazioni dell’ente circa i propri standard ambientali e di prestazioni sociali. Tali standard sono divenuti modello per diversi attori finanziari, pubblici e privati, in tutto il mondo.

Dallo studio emerge che ogni progetto monitorato, dal suo avvio, provoca nel giro di un anno in media 7,6 altri eventi di conflitto armato. L’analisi ha paragonato i risultati a quelli di aree in cui non c’era presenza di progetti IFC, mostrando esiti differenti, così come non ha tenuto in considerazione aree in cui il conflitto era già in aumento prima dell’arrivo degli investimenti, per escludere altre eventuali cause. La situazione sembra confermare tutti gli studi che legano l’insorgenza e l’aggravarsi dei conflitti, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, agli investimenti esteri diretti.

I risultati sono coerenti con quanto già da tempo denunciato da diverse Ong e gruppi della società civile. Nel 2020 Human Rights Watch aveva denunciato l’incapacità dell’ente di limitare gli abusi nei progetti che sostiene, ma l’unica risposta ottenuta è stato il trincerarsi dietro l’immunità che è dovuta all’IFC come organizzazione internazionale e, pertanto, non responsabile di fronte ai tribunali nazionali. L’atteggiamento è confermato anche nei casi più gravi, come nella copertura di abusi sessuali su minori in una serie di progetti di investimento.

Violenze e conflitti nei progetti dell’IFC

Tra le evidenze raccolte: i conflitti e la violenza aumentano a maggior ragione nell’attuazione di progetti per cui l’IFC aveva garantito impatti potenziali ridotti, risolvibili con misure di mitigazione.

Altro dato rilevante è che i progetti a più alta intensità di capitale come quelli agroalimentari, petroliferi, del gas, minerari o infrastrutturali, sono quelli più a rischio. Dal paper infatti emerge che la propensione di questi progetti alle perturbazioni socio-politiche e socioeconomiche comporta un’ondata di conflitti armati nell’anno successivo alla loro installazione.
Oltre all’analisi dei dati, l’indagine fornisce una serie di casi studio, come quanto avvenuto in Uganda, dove il governo si è reso responsabile di una vera e propria campagna di terrore volta a convincere i cittadini a consegnare la propria terra a un investitore IFC. In Liberia, invece, il partner di progetto Salala Rubber Corporation si è reso responsabile di violenza di genere, intimidazioni e minacce di rappresaglia verso attivisti che, nel 2019, gli sono costati un discreto numero di denunce.

Serve riformare il sistema finanziario globale

Nonostante questi dati, a disposizione di tutti, i 186 governi membri che posseggono la IFC non hanno fatto alcun passo nella direzione di chiedere maggiore trasparenza e le agenzie di rating continuano a classificare le sue obbligazioni con positive dal punto di vista ambientale, sociale e della governance.

Unica voce fuori dal coro, il Segretario generale delle Nazioni Unite che, da tempo, chiede una riforma del sistema finanziario globale che ponga al primo posto la sicurezza e lo sviluppo umani. Intervenire sulle modalità in cui sono realizzati gli investimenti privati nelle zone di conflitto potrebbe significare introdurre delle figure di intermediazione specializzate, che si pongano tra l’IFC e l’attuazione di progetti in aree sensibili. In questo modo si darebbe voce e spazio alle comunità locali, che manterrebbero la propria indipendenza e anzi ne risulterebbero responsabilizzate.

Operare in questa direzione vuol dire includere le comunità anche nel lavoro di analisi contestuale, pianificazione di azioni di mitigazione, monitoraggio e valutazione degli impatti. A partire da questi progetti sarebbe possibile quindi ridurre i conflitti e garantire strumenti di sviluppo reali, efficaci, per le comunità più vulnerabili.