Giovani analfabeti, per il mondo un costo di $129 miliardi. All’anno
L'Unesco: 250 milioni di bambini non hanno l'istruzione primaria. Un danno economico per i Paesi poveri, che aumenta le disuguaglianze e impedisce loro di svilupparsi
Se la buona istruzione paga, di conseguenza, la sua mancanza non può che far perdere ricchezza. Ai singoli individui ma anche ai sistemi economici nazionali. A quantificare, in termini sia sociali che finanziari, l’impatto della mancanza di educazione è l’Unesco. Ogni anno, il Rapporto mondiale sull’Educazione denuncia i problemi che milioni di bambini e ragazzi fronteggiano in tutto il mondo per tentare di ottenere un’adeguata istruzione.
250 milioni di giovani privati di un’istruzione primaria
In particolare, l’undicesimo rapporto, pubblicato ormai cinque anni fa, ha indicato che il costo associato alla presenza di 250 milioni di giovani privati di un’educazione scolastica primaria. Ebbene, le perdite complessive sono pari a 129 miliardi di dollari all’anno. Il che equivale al 10% delle spese mondiali per l’insegnamento primario.
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«Complessivamente, 37 nazioni perdono la metà di ciò che investono nell’insegnamento primario per questo motivo», si legge nel documento. Quest’ultimo precisa inoltre che «l’istruzione di cattiva qualità provoca un tasso di analfabetismo più alto di quanto si potesse credere». In particolare nei Paesi poveri, «circa 175 milioni di giovani (ovvero un quarto del totale) ancora oggi non sanno leggere una frase, in tutto o in parte. In numerosi Stati dell’Africa subsahariana, ad esempio, tra i bambini più sfavoriti solo uno su cinque completa la scuola primaria. Senza la quale è impossibile imparare le basi della lettura e della matematica».
Il peso delle diseguaglianze sociali e di genere
Il rapporto analizza in particolare i casi di venti nazioni africane. Confermando che le diseguaglianze socioeconomiche tra le famiglie hanno un impatto diretto (e devastante) in termini di istruzione. «In quindici di tali nazioni, non più di un bambino povero su cinque completa gli studi primari. E anche in America Latina, dove le performance scolastiche sono generalmente migliori, si riscontra la stessa dinamica».
«A El Salvador – prosegue l’Unesco – il 42% dei bambini delle famiglie povere completa il primo ciclo di studi, contro l’84% di quelli appartenenti a nuclei più ricchi». A ciò si aggiungono enormi disparità di genere. Nel Benin, ad esempio, il 60% dei bambini maschi ricchi frequenta normalmente la scuola, contro il 6% delle bambine di famiglie povere. A pesare è poi la nascita in luoghi lontano dai centri urbani: in Tanzania soltanto il 25% dei bambini provenienti da aree rurali povere frequenta le elementari. E in alcuni Paesi sudamericani – come Guatemala, Panama o Perù – i bambini che vivono in città hanno molte più possibilità di saper leggere e contare».
4.700 miliardi di dollari all’anno per l’istruzione
L’edizione 2019 del Rapporto mondiale sull’Educazione fornisce quindi una serie di cifre-chiave in merito alle tre grandi fonti di finanziamento dell’istruzione. Ovvero governi, famiglie e donatori. «Le spese annuali per l’educazione a livello mondiale – precisa l’agenzia Onu – sono pari a 4.700 miliardi di dollari». Di tale somma, il 65% (circa tremila miliardi) è concentrato nei Paesi più ricchi del mondo. Mentre soltanto lo 0,5%, pari a 22 miliardi, viene speso in quelli in assoluto più poveri.
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Sono gli Stati a stanziare la quota più alta, pari al 79% delle spese totali. In media, a livello mondiale, si tratta del 4,4% del Pil (dato del 2017). Un dato dunque superiore al 4%, fissato dal Quadro d’Azione per l’Educazione 2030 dell’Unesco. Ma che varia enormemente da caso a caso: si passa così dal 3,4% dell’Asia orientale e sudorientale al 5,1% dell’America Latina.
Inoltre, rispetto al totale dei bilanci pubblici, le spese relative all’istruzione sono in media pari al 14,1%: un dato inferiore al 15% raccomandato dall’agenzia delle Nazioni Unite. Si passa dall‘11,6% di Europa e America settentrionale al 18% di America Latina e Caraibi. «In generale – precisa il rapporto – 43 nazioni sulle 148 analizzate non centrano nemmeno uno dei due obiettivi».