Un impegno per il prossimo governo: spesa in istruzione al 4,5% del Pil

Contrastare la dispersione scolastica è essenziale per il futuro del Paese: altrimenti avremo cittadini incapaci di partecipare criticamente alla vita pubblica. E ne risentirà anche l'economia

Marco Rossi Doria
Marco Rossi Doria
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La percentuale di abbandono scolastico in Italia è salita al 14,5%, mentre da tempo ormai, continua a diminuire la spesa pubblica destinata all’istruzione e la formazione, crollata al 3,5% in rapporto al PIL. Esattamente un punto sotto la media europea. Eppure, recuperare quel punto, che vale circa 10 miliardi di euro, dovrebbe essere un obiettivo fondamentale, un passo in avanti contro la dispersione scolastica di bambini e ragazzi, per ottenere, finalmente, il successo formativo nel nostro Paese.

Una priorità per il futuro

Non è semplice, ma programmare la risalita degli investimenti in istruzione e formazione portandoli almeno al 4,5% sul nostro PIL, nel giro di tre-quattro anni, dovrebbe essere una priorità per il futuro dei nostri giovani e per l'Italia stessa. Tale spesa, se in parte dovrebbe essere dedicata alla ricerca e a nuove strutture universitarie, nelle zone del Paese in cui mancano, in massima parte, dovrebbe continuare a sostenere la lotta alla dispersione scolastica.

Servono interventi precoci, partendo dalla diffusione dei nidi, al rafforzamento della scuola d'infanzia dei quartieri periferici e difficili, di tutta Italia e del Mezzogiorno. Là dove i bambini sono più poveri, come i dati Istat e l’Atlante dell’Infanzia tracciato da Save the Children hanno portato alla luce. Fino alla formazione professionale di qualità al Sud, integrata con le azioni del Terzo settore. Oltre che all’istituzione del tempo prolungato, ma flessibile, negli istituti comprensivi. Con attenzione al passaggio tra i cicli, in particolare l’anello debole tra scuola media inferiore e biennio del successivo obbligo.

Sulla base dei risultati dei test INVALSI e OCSE-PISA, si evince, infatti, che le competenze e le conoscenze dei bambini italiani nel primo ciclo di scuola primaria, sono tra le migliori in Europa. Per poi crollare, sempre più, a partire dal termine della scuola secondaria inferiore.

Fondi per istruzione escluse dal computo del debito

Serve, quindi, un’azione importante che deve essere governata a livello nazionale, che coinvolge scuole, docenti e famiglie, che deve vedere il coordinamento delle istituzioni centrali in capo a comuni e regioni, agenzie educative, territori, privato sociale. Penso agli oltre 400 milioni di euro, stanziati su bandi in tutta la penisola, da Con i bambini, impresa sociale che riunisce le Fondazioni di origine bancaria italiane, su progetti per combattere la povertà educativa minorile.

Un piano di questo tipo deve essere trasversale ai partiti. Ma soprattutto può essere, anche, negoziato in Europa. Non sono, infatti, investimenti che l’Unione europea, nella sua attuale compagine, quella uscita dalle ultime elezioni, non sarebbe in grado di valutare positivamente. I fondi destinati al sostegno della formazione e dell’istruzione potrebbero essere esclusi dal computo del nostro debito.

Risposta strategica per il futuro democratico dell'Italia

Certo, per fare questo ci vuole una decisa volontà politica, ma è l'unica risposta strategica, non tattica, per poterci permettere di risalire, di almeno un punto, la china del nostro fallimento formativo.

Investire in istruzione e formazione vuol dire dare più possibilità ai giovani di trovare lavoro, poter accedere alle cure sanitarie, godere di buona salute. Significa minor rischio di devianza e tossicodipendenza. Significa anche, certo, poter esercitare i propri diritti e doveri da cittadino e da lavoratore. Saper leggere la propria busta paga, usufruire di servizi e protestare se non si ottengono. Diventare individui capaci di esercitare cittadinanza e partecipare alla vita democratica.

Tutto questo è possibile solo se si hanno strumenti per interpretare, comprendere i fenomeni, interpretarli, avere una propria opinione in merito, in senso politico, occuparsi di piccola e grande polis. E se, ovviamente, non si è distolti da questioni di sopravvivenza, povertà, ma si ha uno spazio emotivo e mentale per potersi occupare anche di socialità.

Ma la lotta al fallimento formativo, se pur coincide in larga misura con la possibilità di andare a scuola e terminare un corso di studi, deve corrispondere, anche, a un innalzamento della qualità formativa, con determinate caratteristiche. La prima è riconoscere il carattere fondativo dei primi anni di istruzione.

La buona riuscita dei primi otto-dieci anni di formazione obbligatoria è un prerequisito per poter diventare cittadini consapevoli.

Ripensare la scuola iper-standardizzata

In essi si imparano sia un metodo di apprendimento, sia le basi fondamentali. Leggere e interpretare testi, capire e collocare eventi e cose nello spazio e nel tempo. Saper portare avanti un dialogo, ascoltare, imparare a esprimere pensieri e sentimenti.

Il tutto deve essere fatto correttamente nella nostra lingua e nel frattempo, i ragazzi devono aver appreso le caratteristiche principali di una seconda lingua. Così come devono saper utilizzare le tecnologie informatiche, in modo critico e responsabile. Tutto ciò acquisito nei primi anni di vita, contribuisce a formare dei futuri cittadini consapevoli (e a dare loro gli strumenti per poter accedere nel futuro alla formazione continua. Contrastando così, ricordiamo, gli alti tassi di analfabetismo funzionale della popolazione adulta).

La scuola deve saper garantire tutto ciò. Una scuola iper-standardizzata, che non incontra le esigenze dei ragazzi e territori, non è in grado di stare al passo dei tempi. Bisogna dare tempo e spazio all'accoglienza, per far uscire da condizioni di minorità i ragazzi che rischiano di essere esclusi, ai margini. Ma bisogna costruire un programma di apprendimento che fornisca canoni rigorosi e innovativi, fondamentali per stare in questo mondo e in questo Paese.


* Maestro elementare dal 1975, ha insegnato nei quartieri difficili di Roma, Napoli, negli Stati Uniti, in Kenya, in Francia. Primo maestro di strada, ha fondato il progetto Chance – scuola pubblica di seconda occasione. Esperto dei processi di apprendimento e delle politiche di inclusione è stato sottosegretario all’Istruzione nei governi Monti e Letta e ha coordinato la Cabina di regia sulla dispersione scolastica e la povertà educativa istituita dal ministro Valeria Fedeli. Attualmente guida l’Associazione IF-ImparareFare che si occupa di formazione professionale, tirocini di qualità e avvio d’impresa per ragazzi poveri di Napoli.