Giustizia per i lavoratori di Bames (ex IBM). Grazie anche a un’inchiesta di Valori
Da IBM di Vimercate a Bames. Da good news di Report a incubo per i lavoratori. Fallita nel 2013, nel 2020 la sentenza. Riconosciuto il danno morale
A metà degli anni Sessanta il colosso americano dell’elettronica IBM si insedia a Vimercate, in Brianza. Nei tempi d’oro impiega 3.000 persone, più l’indotto. Nel 2000 si trasferisce in Irlanda, per motivi fiscali, e vende le sue attività produttive alla multinazionale canadese Celestica. Dopo sei anni, Celestica si trasferisce in Repubblica Ceca e vende a sua volta alla famiglia milanese Bartolini, che non ha nessuna esperienza nel settore dell’elettronica. La società viene ribattezzata “Bames” (Bartolini After Market Electronic Services) e viene presentato un piano di rilancio ambizioso per gli 850 lavoratori rimasti, principalmente per la produzione di schede e apparecchiature elettroniche. La vendita a Bartolini, però, disattende quanto previsto dal protocollo istituzionale del 2 agosto 2006. Che prevedeva la presenza attiva di tre società industriali per rilanciare il sito. E in più ha rappresentato il peccato originale che ha modificato il progetto di rilancio, facendolo rimanere in gran parte sulla carta.
I nuovi proprietari si dedicano infatti a una serie di operazioni finanziarie che, secondo le ricostruzioni della procura di Monza, avrebbero alleggerito le casse dell’impresa, aiutati anche da veicoli societari in paradisi fiscali. Nell’ottobre del 2013 Bames fallisce.
Da “good news” della trasmissione Report (Rai Tre), nel 2009, l’ultima erede di IBM si trasforma in un incubo per i lavoratori, che avevano creduto in un rilancio della “Silicon Valley” lombarda.
Già nel 2011, un’analisi di Merian Research, commissionata dal sindacato FIM-CISL, FIOM-CGIL e RSU, oggetto di un convegno pubblico a Vimercate e pubblicata in esclusiva su Valori, aveva fatto luce su una serie di controversie, come il trasferimento di sei milioni di euro a una scatola societaria lussemburghese, fondata da un trust con sede a Gibilterra. Depositata alla procura di Monza, l’analisi è diventata la base di un procedimento penale che, nel dicembre del 2020, ha portato alla condanna in primo grado a 4 anni e 8 mesi per bancarotta fraudolenta di Selene e Massimo Bartolini, riconoscendo anche un risarcimento per danno morale di 5.000 euro a una sessantinadi dipendenti che si erano costituiti parte civile.
Un secondo processo vede attualmente imputati il patron della società, Vittorio Romano Bartolini e altre sette persone.
Per i lavoratori di quella che fu l’IBM di Vimercate si è riaccesa la speranza che su questa ingloriosa vicenda possa essere fatta finalmente giustizia.
Ne abbiamo parlato con Gigi Redaelli, oggi in pensione, che da segretario generale di Fim Cisl Brianza aveva commissionato l’analisi anche a nome di Fiom-Cgil e RSU. Negli ultimi dieci anni ha coordinato le proteste e le denunce dei lavoratori.
Come si è arrivati alla condanna dei Bartolini?
Premetto che si tratta di una condanna in primo grado che riguarda solo due dei dieci imputati. Quelli che hanno scelto il rito abbreviato. I capi di imputazione si possono leggere già nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, inviato dalla procura di Monza nel novembre del 2017. Agli indagati si contesta di aver «distratto e/o dissipato», almeno in parte, una montagna di liquidità. Stiamo parlando di circa 87 milioni di euro, ottenuta da operazioni di leasing immobiliare e finanziamenti bancari. Soldi che sarebbero dovuti servire per rilanciare la Bames.
Dove sono finiti questi soldi?
In base alle ricostruzioni della procura, che hanno ampliato e approfondito una serie di ipotesi già presenti nell’analisi di Merian Research, quasi 32 milioni di euro sarebbero stati utilizzati per erogare finanziamenti a società controllanti, controllate e collegate, tra il 2007 e il 2012. Circa 13 milioni di euro per effettuare «investimenti per l’acquisto, ad un prezzo sproporzionato e ben superiore al valore effettivo, di varie partecipazioni societarie». Di questi, 6 milioni di euro sarebbero finiti in Lussemburgo nella GPM Investments SA, nel dicembre del 2006. Un veicolo societario messo in piedi nel 2005 da una fiduciaria con sede a Gibilterra.
Altri circa 18 milioni di euro sarebbero stati usati per acquisire quote di società del gruppo Telit, con il pagamento di un prezzo «nettamente sproporzionato e ben superiore al valore effettivo della partecipazione societaria acquisita».
Bames è fallita nel 2013. La prima sentenza è arrivata nel dicembre del 2021…
È stato un lungo percorso e non è ancora finito. Tutto è partito con l’analisi di Merian Research e Valori, nel 2011, che abbiamo poi messo a disposizione della curatela di Bames e della procura di Monza. Sono stati i sindacati a presentare istanza di fallimento. Se non ci fossimo mobilitati, i lavoratori non avrebbero visto un centesimo, perché a un certo punto i soldi sembravano essere spariti. Abbiamo poi organizzato regolarmente presidi di 40-50 persone davanti al tribunale in occasione delle udienze, tenendo alta l’attenzione della stampa e delle istituzioni locali. E abbiamo continuato ad incontrarci con gli ex lavoratori per quasi dieci anni, almeno due volte al mese, per tenere alto il morale e aggiornare tutti sullo stato dei contenziosi in corso.
Quanto hanno ottenuto finora i lavoratori?
Grazie ai procedimenti in corso, i fratelli Selene e Massimo Bartolini hanno fatto ricomparire 1,15 milioni di euro, che assieme ad altri soldi arrivati alla curatela del fallimento a seguito di accordi “transattivi” che hanno sanato contenziosi con altri soggetti coinvolti, hanno consentito di corrispondere una parte (36%) di tutti i soldi che avrebbero dovuto prendere i lavoratori, tra stipendi non pagati, ferie maturate, contributi INPS non versati, ecc. Mentre il TFR è stato corrisposto per intero dal fondo di garanzia INPS. I sei milioni in Lussemburgo, invece, non li hanno più trovati. È stato poi riconosciuto un danno morale ai circa sessanta lavoratori ammessi che si erano costituiti parte civile, per la sofferenza psicologica che hanno patito in questi anni. È un risultato di portata storica: il riconoscimento di danni morali non è usuale in caso di condanna per bancarotta fraudolenta. I 5.000 euro di risarcimento saranno però corrisposti solo alla fine del procedimento.
Che cosa resta della visione di un distretto dell’elettronica in Brianza?
Oggi possiamo dire che non rimane quasi nulla. L’idea di creare un distretto che coinvolgesse anche le province di Milano,Bergamo e Lecco, oltre a quella di Monza e Brianza, non si è mai veramente concretizzata. La reindustrializzazione di Celestica, nella seconda metà degli anni 2000, doveva diventare il perno del distretto, ma poi la società se n’è andata e i nuovi proprietari sono ora accusati di essersi intascati i soldi invece che investirli per lo sviluppo industriale dell’area.
Non sembra essere un caso isolato in Italia…
Sì, alla fine la triste storia di Bames è il sintomo di un male più grande che coinvolge l’Italia intera: la mancanza di una politica industriale degna di tale nome e l’incapacità di fare sistema. Ogni situazione viene gestita come un caso a sé stante. Mi dispiace dirlo ma nel nostro Paese l’ultimo vero esempio di politica industriale è stato l’IRI di Romano Prodi. Dopo quell’esperienza siamo andati alla deriva, brancolando nel buio e aggrappandoci a qualche rara luce.