Google abbandona le politiche di diversità, equità e inclusione

Donald Trump dichiara guerra alle politiche di diversità, equità e inclusione. Google obbedisce, rinnegando il percorso degli ultimi anni

Google fa marcia indietro su diversità e inclusione © hapabapa/iStockPhoto

Appena tornato a insediarsi alla Casa Bianca, Donald Trump tuona contro le aziende (e non solo) che hanno «adottato e usato attivamente pericolose, degradanti e immorali preferenze basate sull’etnia e sul genere». Una descrizione a dir poco colorita per le politiche di diversità, equità e inclusione. Da parte delle aziende che hanno cavalcato quest’onda per anni, facendone anche una leva di reputazione, ci si poteva aspettare uno scatto d’orgoglio. Invece, sembra proprio che l’orientamento comune sia quello di adeguarsi alla linea della nuova amministrazione. È il caso di Google.

Google si impegna per la diversità nella forza lavoro e poi cambia idea

Negli ultimi anni Google ha fatto qualche passo avanti in termini di diversità nella forza lavoro. Nel 2014 i dipendenti bianchi erano il 64,5%, dieci anni dopo il 45,3%. Risultando dunque in minoranza rispetto agli asiatici, passati a loro volta dal 31,5 al 45,7% del totale. La percentuale di persone nere è raddoppiata sul totale della forza lavoro (dal 2,4 al 5,7%) e triplicata nelle posizioni di leadership (dall’1,7 al 5,1%). Anche il bilanciamento tra generi è diventato un po’ più equilibrato. Soprattutto, è aumentata la presenza delle donne nelle posizioni di leadership: superava di poco il 20% nel 2014, dieci anni dopo sfiora il 33%.

Questi cambiamenti non arrivano per caso, ma sono frutto di politiche volte a garantire opportunità di carriera anche ai gruppi tradizionalmente sotto-rappresentati. «Noi di Alphabet siamo impegnati a far sì che la diversità, l’equità e l’inclusione siano parte di tutto ciò che facciamo. E a creare una forza lavoro che sia rappresentativa degli utenti che serviamo», si legge infatti nel Form 10-K, il resoconto dettagliato della situazione finanziaria e della strategia aziendale che Alphabet, la holding che possiede Google, ha inviato all’inizio del 2024 alla Securities and Exchange Commission, l’equivalente della nostra Consob. Nell’analogo documento presentato all’inizio del 2025 non c’è nulla di tutto questo. La parola «diversità» non compare nemmeno una volta.

Le politiche di diversità, equità e inclusione non sono più ben accette

Già da qualche mese varie grandi aziende statunitensi hanno iniziato a ridimensionare – quando non accantonare del tutto – i propri programmi di diversità e inclusione. Evidentemente fiutando il cambiamento di rotta nell’opinione pubblica poi deflagrato con il trionfo di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 5 novembre. Ora la Casa Bianca chiude i programmi federali, licenzia i funzionari e minaccia di ripercussioni le aziende che hanno in corso contratti con l’amministrazione. Come Google, appunto. Che, riferisce il New York Times citando alcuni documenti interni, ha abbandonato gli obiettivi legati alla diversità nelle assunzioni e negli avanzamenti di carriera. Spiegando di essere tenuta ad allinearsi all’ordine esecutivo pervenuto dalla presidenza degli Stati Uniti. Non è da escludere che a farne le spese siano anche altri programmi di diversità, equità e inclusione di Google che «comportano rischi» o «non hanno l’impatto sperato».

Google è in buona compagnia. Anche Amazon a partire dal 2020 si era impegnata a incrementare la presenza di persone nere nei ruoli dirigenziali e in alcune funzioni aziendali. Salvo poi decidere, dopo le ultime elezioni, di «eliminare programmi e materiali obsoleti». Meta, il gruppo a cui fanno capo Facebook, Instagram e Whatsapp, ha fermato sia le politiche di assunzione sia i programmi di formazione interna legati alla diversità. Smantellando il team che li gestiva. Quando la vicepresidente delle risorse umane Janelle Gale ha annunciato questo cambiamento di rotta nel forum interno, ha ricevuto decine di risposte critiche. Uno dei commenti diceva: «Se non resti fedele ai tuoi principi quando le cose si fanno difficili, significa che non sono valori. Sono hobby».