Tassa sugli extraprofitti bancari: il governo costretto a rimediare alle storture del mercato
Il governo Meloni punta a tassare gli extra-profitti delle banche, anche se solo con un provvedimento una tantum
Dentro un decreto che contiene davvero di tutto, secondo la peggiore tradizione degli omnibus, il governo ha inserito una norma che colpisce gli extra-profitti bancari. Si tratta di una misura quasi doverosa vista l’entità degli utili degli istituti di credito, in pratica unici beneficiari dei tassi alti della Bce.
La norma in questione è costruita infatti proprio per colpire l’eccessiva differenza fra i tassi esercitati dalle banche nell’erogazione dei prestiti e quelli pagati ai propri clienti nell’arco di tempo 2021-2023, quando appunto i tassi della Bce si sono impennati. L’imposta ha un’aliquota del 40 per cento per le differenze che eccedono il 3 e il 6 per cento nei due periodi 2021-2022 e 2021-2023. Dunque il vero indicatore non sono gli utili in quanto tali ma proprio l’eccessivo margine ricavato dalle banche nei confronti della clientela. Una sorta di riparazione obbligata per sanare la distorsione del mercato del credito.
Il primo provvedimento “a vocazione sociale” del governo Meloni
Il gettito può risultare importante, tanto che la stessa norma stabilisce un massimo per l’imposta costituito dal 25 per cento del patrimonio netto alla data della chiusura dell’esercizio 2022 dell’istituto colpito dalla misura. A giudizio del ministro Salvini gli incassi potrebbero avvicinarsi ai 3 miliardi di euro, una stima non molto diversa da quella che a suo tempo il governo Draghi immaginò per gli extra-profitti energetici.
Dunque, il governo Meloni ha adottato il primo provvedimento che potrebbe essere ricondotto alla più volte dichiarata vocazione sociale della Destra italiana, introducendo un principio di giustizia economica nei confronti di posizioni di natura monopolistica.
I dubbi sull’applicabilità della tassa sugli extra-profitti delle banche
I dubbi che possono nascere da una simile misura non sono pertanto legati al suo intento ma solo sulla sua applicabilità. La norma è forse davvero troppo generica per trovare un’applicazione immediata, come del resto ha dichiarato il ministro Tajani, pronto a modifiche parlamentari.
L’esperienza delle imposte sugli extraprofitti fa immaginare una serie di ricorsi che potrebbero ridurre il gettito facendo appello alla scrittura approssimativa di una regola così pesante, inserita in un “decretone” tanto esteso da mettere in difficoltà Mattarella. Il riferimento secco ai tassi lascia margini assai ampi di interpretazione nell’individuaIone del perimetro di intervento normativo.
Una tassa una tantum per coprire una riforma strutturale
C’è poi un ulteriore elemento critico rappresentato dal fatto che, secondo il governo, una parte del gettito dell’imposta sugli extra-profitti sarebbe destinata a coprire la riforma fiscale. È chiaro che un’entrata una tantum come quella prodotta da questa imposta, destinata a durare un solo anno, non può coprire una riduzione del gettito fiscale di natura strutturale.
Sarà decisivo capire quindi se siamo di fronte ad una norma-manifesto, volta a creare consenso, coltivando la giusta irritazione verso un sistema bancario troppo finanziarizzato, oppure se la misura verrà difesa e applicata fino in fondo di fronte alle resistenze di un settore decisamente corporativo.