I trafficanti di rifiuti intercettano il 13% del mercato (quasi senza rischi)
Nel settore rifiuti opera una selva di microsocietà. Sfruttando le falle nei sistemi di tracciabilità e di controllo drena miliardi al mercato legale
Una fila di 181.287 tir, messi in fila uno dietro l’altro, carichi fino all’orlo con 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti, che da Trapani arriverebbe senza soluzione di continuità fino a Berlino. È una delle tante immagini contenute nel Rapporto Ecomafia 2018 di Legambiente per raccontare la pericolosità dei trafficanti di rifiuti. Questo contando solamente i quantitativi di veleni sequestrati in appena 54 inchieste per “traffico organizzato di rifiuti” chiuse nell’arco temporale che corre da gennaio 2017 a maggio 2018.
Traffici finiti incollati nelle ragnatele degli inquirenti di ogni parte d’Italia, messi all’indice dal nostro sistema normativo solo dal 2001, anno di entrata in vigore di quello che è stato almeno fino al 2015 l’unico delitto ambientale, quello di traffico organizzato di rifiuti, codificato nell’allora decreto Ronchi all’art. 53bis, poi confluito nell’attuale Testo unico ambientale (art. 236 Dlgs 152/2006) fino al suo recentissimo inserimento nel codice penale all’art. 452 quaderdecies (introdotto con il Dlgs 1 marzo 2018, n. 21).
Il traffico va dove si guadagna di più
Non è mancata la sorpresa, almeno all’inizio, per gli investigatori che hanno messo il naso dentro quei camion o nei piazzali pronti per il carico e scarico. Ci hanno trovato rifiuti raccolti in maniera differenziata, plastica, carta e cartone, metalli (ferrosi e non), parti d’autoveicoli rottamati, Raee, vetro. Mai scarti organici, che rilasciano odori, tracce di percolato e non valgono granché (salvo i rari casi di digestione anaerobica). I trafficanti intercettano frazioni di scarti sottraendoli ai circuiti ufficiali, spesso togliendo le castagne dal fuoco di gestioni inefficienti in mano a società in difficoltà (economiche e logistiche), di piattaforme poco controllate, di bilanci sempre in bilico.
Ogni difficoltà dei circuiti legali è l’occasione propizia per i trafficanti.
Non dovendo rispettare alcuna legge sono imbattibili sul mercato. Offrono servizi a scatola chiusa. Si muovono a colpo sicuro, tanto che è difficile beccarli.
Come operano i trafficanti
Il sistema è sempre quello di falsificare i documenti, i Fir e le bolle di carico e scarico, facendo passare un rifiuti per qualcos’altro, come un ammendante o semplice roccia da scavo. Il mercato nero del riciclo nasce da qui. Nasce e prolifera nelle falle dei sistemi di gestione e nelle zone grigie dei mercati delle materi prime seconde i trafficanti ci mettono lo zampino.
Non è solo la presenza di reti criminali a fare la differenza, determinanti sono i meccanismi di compliance, tracciabilità e trasparenza.
Sotto questo punto di vista le politiche di end of waste se, da una parte, sono l’unica strada possibile per facilitare l’economia circolare, dall’altra aprono ancora di più quelle stesse maglie che i trafficanti hanno sfruttato fino a oggi.
https://valori.it/economia-circolare-un-settore-da-22-miliardi-a-rischio-per-57-righe/
Per stare sulla breccia sanno di dover cambiare costantemente pelle. Se prima vestivano i panni, semplici, delle società di trasporto e di gestione di discariche o di buche, oggi sono società cartiere, emettono fatture false, controllano impianti di riciclo e inquinano il mercato dell’economia circolare.
Una selva di piccole Srl
L’alto tasso di illegalità nel settore è spiegato, almeno in parte, dalle risorse economiche in ballo. Se il mercato legale dei rifiuti ogni anno supera i 23 miliardi di euro di fatturato, quello illegale – sicuramente più difficile da stimare – supera i 3 miliardi e attira come una carta moschicida vecchi e nuovi trafficanti. In poche parole: controllano almeno il 13% del mercato.
Una selva di società, soprattutto società a responsabilità limitata, con pochi euro di capitali e fideiussioni posticce, si muovo con passi felpati aggirando le regole, mettendo il cuneo nelle falle dei sistemi di regolazione, contando nell’oggettiva impossibilità per le autorità di controllo di poter verificare ogni passaggio che accompagna la gestione degli oltre 160 milioni di tonnellate di rifiuti che produciamo ogni anno, tra speciali, urbani e assimilati (agli urbani).
Oltre ai danno ambientali e sanitari, i trafficanti drenano risorse economiche importanti.
Eppure il settore del riciclo cresce
Nonostante le loro ruberie, nel 2011 l’industria italiana ha impiegato nei suoi cicli produttivi, dati Istat, circa 35 milioni di tonnellate di materie prime seconde, cioè materie provenienti dal recupero dei rifiuti. Il settore del riciclo negli ultimi dieci anni è aumentato a ritmo vertiginoso: il numero delle aziende è lievitato da 2.183 a 3.034 (+39%), raddoppiando il numero degli occupati, da 12mila a più di 24mila. È anche di questo che stiamo parlando.