Parlamento Ue: assist d’oro agli investimenti responsabili
Dopo l’Action Plan della Commissione, anche il Comitato per gli Affari economici dell'Europarlamento prende posizione a favore degli investimenti sostenibili
Il 2018 si sta dimostrando un anno di un grande attivismo da parte delle istituzioni europee in tema di investimenti socialmente responsabili (SRI). L’ultimo appuntamento, in ordine di tempo è stato il 24 aprile. Quel giorno, il Comitato per gli Affari Economici e Monetari (ECON) del Parlamento europeo ha approvato un rapporto sulla finanza sostenibile. Anche se non vincolante, il documento rappresenta un risultato significativo, visto il largo consenso raccolto tra i diversi schieramenti politici. Su 62 deputati, i voti favorevoli sono stati infatti 41.
Obiettivo dell’ECON: incrementare gli investimenti in progetti conformi agli SDGs – gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite – e agli impegni assunti dall’UE con l’Accordo di Parigi sul clima.
Il documento del Parlamento europeo, come già prima il Piano d’Azione della Commissione Ue, recepisce inoltre gran parte delle raccomandazioni dell’High-Level Expert Group (HLEG) on Sustainable Finance, un gruppo di esperti costituito dalla Commissione a dicembre 2016.
Focus su marchi green e combustibili fossili
Il rapporto approvato dall’ECON è stato presentato a febbraio dall’eurodeputata britannica Molly Scott Cato. A questo punto per la sua approvazione definitiva si dovrà aspettare la discussione e il voto del Parlamento in sessione plenaria previsti il 28 e il 29 maggio.
Molti sono i punti condivisi con il Piano d’Azione della Commissione, a cominciare da definizioni condivise e certificazioni per i prodotti SRI. In particolare, gli eurodeputati invitano la Commissione a introdurre entro il 2019 un “Green Finance Mark” da assegnare a investimenti che soddisfano determinati standard di sostenibilità, tra cui l’esclusione del settore dei combustibili fossili e/o il finanziamento di progetti a impatto socio-ambientale positivo.
Il rapporto sottolinea inoltre i rischi legati ai cosiddetti “carbon stranded asset”, ovvero gli investimenti nel settore dei combustibili fossili, destinati a svalutarsi con la transizione verso modelli economici a basse emissioni.
Secondo le stime dell’ECON, una percentuale compresa tra l’80% e il 60% delle riserve di petrolio, gas e carbone in capo alle società quotate in Borsa non sarà sfruttabile se saranno introdotte misure concrete per il contenimento del riscaldamento globale entro i 2°, come previsto dall’Accordo di Parigi.
Per consentire ai mercati di gestire tale rischio, l’ECON propone anzitutto l’introduzione di un “carbon stress test” che verifichi l’esposizione degli istituti finanziari ai titoli a più alta intensità di carbonio; il report incoraggia poi il disinvestimento dai combustibili fossili e la fine dei sussidi a questo settore.
Per quanto riguarda il mercato dei green bond, il report auspica il coinvolgimento del settore pubblico per vigilare sul rispetto di standard condivisi – inclusi criteri di carattere sociale – e la pubblicazione periodica di reportistiche sull’impatto generato dai progetti finanziati.
I consigli alle istituzioni finanziarie Ue
Un’attenzione particolare viene poi riservata alle istituzioni finanziarie europee. E qui, le raccomandazioni dell’ECON si sprecano. Alle Autorità di Vigilanza (European Supervisory Authorities, o ESAs) suggerisce di fare riferimento ai criteri ESG nello svolgimento del proprio mandato. Alla Banca Europea degli Investimenti (BEI) di rendere più compatibili i propri finanziamenti con la transizione verso modelli low-carbon. Una preoccupazione più che comprensibile visto quanto ancora viene investito dalla BEI, così come dalle altre Banche per lo Sviluppo mondiali, in fonti fossili.
L’ECON riserva consigli anche alla Banca Centrale Europea, alla quale chiede di includere gli SDGs e i vincoli dell’Accordo di Parigi nelle linee guida che definiscono gli attuali programmi di acquisto di obbligazioni societarie e, in futuro, nell’intera politica d’investimento.
Gli eurodeputati invitano infine la Commissione a considerare i rischi di sostenibilità nella regolamentazione prudenziale delle banche (Basilea III) e a rivedere le attuali normative in materia di rendicontazione non finanziaria. Obiettivo: renderle più efficaci e in linea con le raccomandazioni della Task Force on Climate-related Financial Disclosures (TCFD) del Financial Stability Board. Ribadita anche la necessità di includere i criteri ESG nel concetto di dovere fiduciario, che vincola gli investitori istituzionali ad agire nell’interesse dei beneficiari.
Gli impegni della Commissione e la posizione del Parlamento testimoniano la diffusa consapevolezza della rilevanza, anche economico-finanziaria, degli aspetti ambientali, sociali e di governance. Se saranno effettivamente introdotte misure a favore degli investimenti sostenibili, l’Europa potrebbe assumere il ruolo di guida nello sviluppo della finanza SRI a livello internazionale. D’altronde, secondo quanto rilevato dalla Global Sustainable Investment Review 2016 già oltre metà del patrimonio globale gestito secondo criteri di sostenibilità (23 mila miliardi di dollari) si colloca nel Vecchio continente.
Il Piano d’Azione della Commissione
La presa di posizione dell’ECON giunge a poche settimane da quella della Commissione europea. L’8 marzo il governo Ue ha pubblicato il Piano d’Azione Financing Sustainable Growth, con specifiche misure da adottare e relative scadenze per rendere il mercato dei capitali più in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Il Piano d’Azione sulla finanza sostenibile è stato presentato il 22 marzo a Bruxelles in un convegno a cui hanno partecipato i vertici della Commissione Europea e rappresentanti di spicco della classe politica e del settore economico-finanziario. Tra loro il Presidente francese Emmanuel Macron e l’ex sindaco di New York, nonché inviato speciale dell’ONU per il clima, Michael Bloomberg.
Ecco quindi le proposte della Commissione per sostenere gli investimenti sostenibili:
- introdurre un sistema condiviso di definizione e classificazione dei prodotti e dei servizi considerati “sostenibili”.
- Creare standard e certificazioni di qualità per i green bond.
- Aumentare gli investimenti in infrastrutture sostenibili.
- Richiedere ad asset manager e imprese assicuratrici di tener conto delle preferenze ESG (Environmental, Social and Governance) dei clienti.
- Rendere più trasparenti le metodologie adottate per costruire gli indici di sostenibilità, prevedendo una specifica iniziativa di armonizzazione degli indici low-carbon.
- Incoraggiare l’integrazione dei criteri ESG da parte delle società di rating e di ricerca di mercato.
- Includere i criteri di sostenibilità nella definizione di dovere fiduciario degli investitori istituzionali.
- Valutare la possibilità di introdurre riduzioni dei requisiti patrimoniali minimi delle banche sugli investimenti sostenibili (il cosiddetto “green supporting factor”), nel caso in cui i profili di rischio siano effettivamente inferiori.
- Migliorare qualità e trasparenza della rendicontazione non finanziaria delle imprese, allineando le attuali linee guida sui rischi climatici alle raccomandazioni della TCFD.
- Incoraggiare l’integrazione dei criteri ESG e l’adozione di un approccio di lungo periodo nei processi decisionali dei Consigli di Amministrazione delle società.