Nell’area euro, più di 7 imprese su 10 dipendono dalla biodiversità
Gli studi scientifici testimoniano che la biodiversità è in crisi. Con lei, i servizi ecosistemici di cui le imprese non possono fare a meno
Cosa succederebbe se gli insetti smettessero di impollinare le colture, se la vegetazione non tenesse più il suolo al riparo dall’erosione, dalle frane e dalle inondazioni, se il terreno non filtrasse più l’acqua? In una parola, cosa succederebbe se sparissero i servizi ecosistemici garantiti dalla biodiversità? Nella zona euro, più di sette imprese su dieci sarebbero costrette a chiudere i battenti. A dirlo è un’analisi che la Banca Centrale Europea (BCE) ha pubblicato quando mancano pochi giorni alla Cop16. La Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica è in programma a Cali, in Colombia, dal 21 ottobre al 1° novembre.
Imprese e banche dipendono dalla biodiversità
Non se ne parla spesso, ma la perdita di biodiversità può avere conseguenze gigantesche sui prezzi e sulla stabilità finanziaria. Con una classificazione simile a quella adottata per i rischi climatici, anche in questo caso si parla di rischi fisici per riferirsi a tutti i fenomeni che possono compromettere le attività economiche. Questi a loro volta possono essere acuti, come un incendio, o cronici, come la riduzione della fertilità del suolo. Se per esempio un’industria fa largo uso di legname, e le foreste da cui si approvvigiona sono in cattive condizioni, quest’industria dovrà modificare la propria catena di fornitura e, con ogni probabilità, spenderà di più. Dall’altro lato ci sono i rischi di transizione, legati alla necessità di adeguare il proprio business all’evoluzione delle normative e delle condizioni di mercato. Poi c’è tutto il capitolo dei rischi legali.
Ebbene, secondo la Banca Centrale Europea, le aziende sono fortemente esposte a tali rischi. Per la precisione, sui 4,2 milioni di imprese non finanziarie che operano nell’area euro, il 72% ha una «dipendenza critica» dai servizi ecosistemici e, dunque, rischia di trovarsi in forti difficoltà per il loro degrado. Trascinando inevitabilmente con sé le banche. I tre quarti dei prestiti concessi alle imprese sono stati erogati a soggetti che fanno affidamento su almeno un servizio ecosistemico per poter operare. Se il degrado ambientale andrà avanti a questo ritmo, anche i portafogli di prestiti ne subiranno le conseguenze. Per non parlare delle assicurazioni: il 30% dei loro investimenti dipende dai servizi ecosistemici.
La biodiversità è in profonda crisi, anche in Europa
I dati sulle condizioni della natura, in Europa e nel mondo, confermano che la Banca Centrale Europea ha ottimi motivi per dirsi preoccupata. Il World Wide Fund for Nature (WWF) ha appena pubblicato il Living Planet Report, con i trend sulla dimensione media di circa 35mila popolazioni di 5.495 specie di vertebrati selvatici: il loro calo è stato del 73% dal 1970 al 2020. Il tema è che in natura è tutto collegato. Se viene a mancare la fauna selvatica, gli ecosistemi si rivelano più deboli quando devono far fronte agli shock dovuti alla crisi climatica.
Se i dati del WWF sono su scala globale, quelli pubblicati nel 2018 dall’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Service (IPBES) si riferiscono nello specifico all’Europa. Dove, per esempio, il 73% degli habitat di acqua dolce monitorati risulta in uno stato di conservazione «sfavorevole». Dove le zone umide hanno vissuto un declino del 50% dal 1970, mentre il 71% dei pesci e il 60% degli anfibi (almeno tra quelli oggetto di osservazione) hanno visto calare le loro popolazioni nell’ultimo decennio. Non va molto meglio per gli habitat terrestri: tra tutti quelli monitorati tra il 2007 e il 2012, solo il 16% risulta in buono stato di conservazione.
È sempre l’IPBES a sottolineare come la natura dia un contributo, materiale e non, «essenziale per la qualità della vita delle persone». Se dovessimo tradurre in cifre un servizio ecosistemico come la regolazione delle acque dolci e la qualità delle acque costiere, il valore mediano (tra Europa e Asia centrale) sarebbe di quasi 20mila dollari all’ettaro ogni anno. Per la regolazione del clima e della qualità dell’aria, rispettivamente 464 e 289 dollari all’ettaro ogni anno. Se distruggiamo gli ecosistemi che offrono gratuitamente questi servizi, chi li sostituirà?