In Giappone si studiano i diesel più “puliti”: ma vale la pena?
Due università collaboreranno con le più importanti case automobilistiche per ridurre le emissioni dei motori diesel e benzina del 30%. Perché, invece, non puntare direttamente su ...
Due delle università più importanti del Giappone – quella di Tokyo e quella di Waseda – collaboreranno con Toyota, Honda, Nissan, Suzuki, Mazda, Mitsubishi, Daihatsu e Fuji Heavy con l’obiettivo di sviluppare motori che assicurino una riduzione delle emissioni nocive per l’ambiente. A riferirlo è l’agenzia AFP, che cita quanto riportato dal quotidiano economico locale Nikkei.
I costruttori, di qui al 2020, promettono di adottare tecnologie in grado di diminuire le emissioni di CO2 del 30%, rispetto a quelle registrate nel 2010. Per questo, la ricerca – che costerà 2 miliardi di yen (all’incirca 14, 4 milioni di euro) – riguarderà sia i motori diesel che quelli a benzina. In questo senso potrebbe crearsi una competizione in qualche modo “virtuosa” tra i produttori giapponesi, che a lungo hanno centrato i risultati migliori in materia ambientale, e alcuni europei (come Volkswagen) che negli ultimi anni si sono avvicinati in modo deciso agli standard nipponici.
La domanda però è: in questo modo non si rischia di continuare a puntare su diesel e benzina, anziché far virare decisamente il mercato verso tecnologie esistenti, che garantiscono fin da ora risultati migliori dal punto di vista ambientale (come nel caso del metano e del GPL, senza parlare dell’elettrico, dei trasporti in comune e di quelli a zero emissioni, come le biciclette)? Non a caso, le previsioni parlano di benzina e gasolio come dei carburanti nettamente più utilizzati anche nel 2030: la loro quota di mercato sarà ancora pari all’89%, secondo un’inchiesta di Fuji Keizai Group.