Wall Street vola verso nuovi, preoccupanti record
Gli indici azionari di Wall Street battono tutti i loro record storici. È un segnale di ottimismo, o di un mercato finanziario ipertrofico?
Più di 36mila punti per il Dow Jones, 16mila per il Nasdaq, quasi 4.700 per lo S&P500. L’attesissima riunione della Federal Reserve di martedì 3 novembre si è chiusa con dichiarazioni che hanno fatto ben sperare i mercati. E a dimostrarlo è la volata degli indici borsistici di Wall Street che continuano a macinare record su record.
Accolte con favore le dichiarazioni della Fed
La banca centrale statunitense sembra non avere fretta di alzare i tassi di interesse, attualmente compresi tra lo 0 e lo 0,25%. Gli investitori continuano ad aspettarsi due aumenti da un quarto di punto nel 2022, ma alcuni analisti interpellati dal quotidiano economico francese Les Echos parlano addirittura del 2023.
Il cambiamento in vista è piuttosto un altro. Già nel corso di novembre la Fed inizierà infatti a ridurre il ritmo degli acquisti di asset (in gergo si parla di tapering). Questo perché, semplicemente, il massiccio programma di quantitative easing, lanciato per stimolare l’economia dopo lo scoppio della pandemia, sembra aver raggiunto il suo scopo.
Dopo il -3,4% del Pil in termini reali nel 2020 (un calo perfettamente in linea con la media globale e ben più contenuto rispetto al -6,5% dell’area euro), per il 2021 l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) prevede un rimbalzo addirittura del 6%, seguito da un +3,9% nel 2022. Se il contesto economico generale non riserverà grosse sorprese, il quantitative easing potrebbe esaurirsi già verso la metà del 2022. Il numero uno della Fed Jerome Powell ci ha comunque tenuto a precisare che l’istituto «continua a offrire un ampio sostegno all’economia» e che la domanda di lavoro resta «forte».
I record di Wall Street
La reazione positiva di Wall Street agli annunci del 3 novembre 2021 non è altro che il culmine di una cavalcata trionfale che prosegue da tempo. A guardare i grafici degli ultimi cinque anni, c’è da restare a bocca aperta. Nel mese di novembre del 2016 il Nasdaq si aggirava attorno ai 4.800 punti: a novembre 2021 è a 16mila, di cui 4mila guadagnati nell’arco di un solo anno.
Sempre cinque anni fa il Dow Jones era nel pieno della scalata che l’ha portato dai 6.626 punti del marzo 2009, il momento più drammatico della crisi finanziaria globale, agli oltre 36mila attuali. Il tracollo legato allo scoppio della pandemia c’è stato ed è stato tangibile, visto che ha mandato in fumo 10mila punti nell’arco di un mese (tra febbraio e marzo 2020). Tuttavia è stato ben presto recuperato. Proprio mentre Joe Biden vinceva le elezioni americane, l’indice sfondava il tetto dei 30mila punti per la prima volta nella sua storia.
L’indice S&P 500, che segue un paniere formato dalle 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione, cinque anni fa era a 2.181 punti; alla vigilia della pandemia era a 3.380, è crollato fino a 2.304 e oggi sfiora i 4.700. Manco a dirlo, un record assoluto.
E se i mercati azionari fossero sopravvalutati?
La domanda viene da sé. L’economia statunitense sta davvero crescendo a questo ritmo? O forse Wall Street viaggia su un binario tutto suo che ha ben poco a che vedere con la salute del sistema Usa nel suo insieme? Dare una risposta certa è impossibile. Ma, visto che non sarebbe la prima volta, è possibile osservare alcuni indizi.
Uno di essi si chiama Cyclically adjusted price-to-earnings ratio (CAPE), è stato messo a punto dal Premio Nobel Robert Shiller e confronta il valore di un indice con l’andamento degli utili delle imprese quotate negli ultimi dieci anni, al netto dell’inflazione. Ebbene, novembre 2021 è stato un mese record anche per il CAPE relativo all’indice S&P 500, che si avvicina pericolosamente ai 40 punti. Alla vigilia della pandemia era già a 30, un valore già considerato alto, perché non si toccava dai tempi della bolla delle DotCom.
Warren Buffett, l’oracolo di Omaha, ha dato il suo nome a un’altra metrica che segnala quando il sistema finanziario è ormai ipertrofico: il Buffett indicator, cioè il rapporto tra la capitalizzazione di mercato e il Pil di un determinato Paese. Di solito un valore compreso tra l’81 e il 99% è ritenuto normale; se supera il 117%, significa che il mercato è «sopravvalutato in modo significativo». Anche in queste condizioni eccezionali in cui i tassi sono prossimi allo zero, in teoria il Buffett indicator dovrebbe aggirarsi attorno al 120%. Ecco, il 4 novembre 2021 al numeratore (finanza) c’erano 51.100 miliardi di dollari, al denominatore (economia reale) 23.700 miliardi. Il risultato è 216%. Ben 96 punti percentuali in più.
Mixando tra loro sette metriche differenti, la CNN ha messo a punto un indicatore che porta il nome, vagamente hollywoodiano, di Fear and Greed Index. Paura e avidità, proprio le due emozioni che muovono gli investitori. Su una scala da 0 a 100, un valore inferiore ai 40 segnala un atteggiamento timoroso e quindi attendista. Esattamente il contrario di ciò che accade a novembre 2021, con un punteggio di 83 che fa pendere il piatto della bilancia dal lato dell’avidità. Un ottimismo che rischia di spingere i prezzi delle azioni ben al di sopra del loro valore reale.