L’inflazione, la Banca centrale europea e le vecchie ricette monetariste
La Banca centrale europea ha aumentato i tassi per fronteggiare l'inflazione. Ma ciò che servirebbe è una grande manovra anti-speculazione
La Bce ha portato i tassi al 2% e ha bloccato il riacquisto dei 3.200 miliardi di titoli di debito pubblico in scadenza. Dunque, di fronte ad un’inflazione galoppante ha scelto di usare le più vecchie ricette monetariste. Un errore drammatico. L’inflazione, che nel nostro Paese ha raggiunto l’11,9% e il 13,5% per i beni alimentari, non dipende infatti da un aumento dei consumi che genera maggiore domanda e dunque rialzo dei prezzi. Ma dalla crescita dei prezzi prodotta dalla speculazione finanziaria sui prezzi di energia, materie prime e commodities.
Tutto si spiega
Cos’è la speculazione e perché troppa finanza fa male
La speculazione è il più classico dei meccanismi per “fare i soldi dai soldi”. E anche quello che rende la finanza un pericolo per l’economia reale
L’inflazione è la più iniqua delle forme di riduzione del potere d’acquisto
I consumi si stanno invece contraendo, e anche i risparmi si stanno riducendo, non per l’erosione generata dall’inflazione. Ma perché i prezzi aumentati costringono moltissimi italiani ad utilizzare i loro risparmi per far fronte alle difficoltà quotidiane. In tale prospettiva, l’inflazione costituisce la più iniqua delle forme di riduzione del potere d’acquisto in quanto colpisce in maniera durissima i redditi più bassi. Che concentrano i loro consumi sui beni essenziali, in genere i primi colpiti proprio dall’inflazione.
L’aumento dei prezzi sta producendo così effetti sempre più distorsivi, di carattere strutturale. L’inflazione è, come ricordato, vicina al 12%, ma risulta ben oltre il 15 per le fasce di reddito più basse e inferiore al 7 per quelle più alte. Una differenza che dipende in primis dalla struttura dei consumi. Dunque i poveri saranno sempre più poveri.
Le conseguenze dell’inflazione sulla mobilità interna e sul tessuto sociale
Ma c’è un altro dato rilevante. I prezzi aumentano di più nei grandi centri; questo fenomeno impedisce sempre più le possibilità di spostamento di lavoratori e studenti. La cosiddetta mobilità interna che ha caratterizzato la storia italiana ed è stata uno strumento di riduzione delle disuguaglianze sta venendo meno. Per famiglie con redditi bassi è impossibile mandare i figli e le figlie a studiare nei grandi centri, così come per lavoratori con salari bassi diventa impossibile mantenere un’occupazione nei grandi centri.
In altre parole, l’inflazione sta erodendo rapidamente il tessuto sociale. In queste condizioni aumentare i tassi di interesse. E non comprare più debito da parte della Bce significa aggravare la situazione perché sarà molto costoso fare spesa sociale. Sarà più costoso contrarre e pagare mutui. Sarà più difficile per imprese in difficoltà ottenere liquidità. Dunque, un disastro. In estrema sintesi, le misure di contenimento degli effetti della crisi, finanziate con il debito pubblico, non saranno più possibili.
La Bce agisce in modo meccanico e impedisce le misure di contenimento degli effetti della crisi
Ma perché la Bce di Christine Lagarde ha intrapreso questa strada? In primo luogo perché la Bce non è un’istituzione “politica”, a differenza della Federal Reserve americana. L’istituto di Francoforte ha un mandato che consiste nel tenere bassa l’inflazione e dunque, quasi meccanicamente, quando i prezzi salgono, alza i tassi. Anche se ciò è sbagliato.
Non c’è appunto alcuna valutazione politica, e ciò oggi non appare più accettabile. Bisogna aggiungere che la Bce alza i tassi per almeno due altre ragioni. La prima è legata alla difesa dell’euro e alla volontà di proteggere la “competitività” del debito europeo rispetto al dollaro e ai titoli americani. Se la Fed alza i tassi, il dollaro si rafforza e il debito americano attrae capitali: purtroppo per gli europei, però, la Fed può alzare i tassi senza troppi oneri, perché il dollaro è le moneta di riferimento mondiale. E dunque può finanziare il debito Usa senza che il conto lo paghino gli americani, a differenza di quanto accade per noi europei.
Perché la Banca centrale europea ha scelto di alzare i tassi
La seconda ragione del rialzo dei consiste nel fatto che la Bce è, prima di tutto, la banca delle banche. Quindi, se alza i tassi le banche hanno maggiori margini di rendimento e stanno meglio. Ne consegue che le azioni delle banche salgono, con grande soddisfazione di quei fondi d’investimento che possiedono importanti pacchetti di quelle stesse banche. E che, magari, sono i protagonisti della speculazione su gas e cibo.
Alla luce di tutto ciò non è rinviabile una riforma radicale della Bce per trasformarla in una strumento di una politica monetaria capace di combattere l’impoverimento diffuso. Non dovrebbe far rinviare questa esigenza l’illusione generata in termini di conti pubblici dalla stessa inflazione che sta gonfiando le entrate fiscali, tra gettito Iva e extraprofitti, e sta abbattendo il rapporto debito-Pil, sceso in due anni di ben dieci punti, dal 155 al 145%.
Il miglioramento di alcuni dati macroeconomici è pagato con l’impoverimento della popolazione
Si tratta di dati nominali che sono, di fatto, pagati dall’impoverimento rapido della popolazione. Le cui retribuzioni, in assenza ormai datata, di meccanismi di indicizzazione – di adeguamento dei salari e delle pensioni al costo della vita – stanno precipitando. In tal senso si rischia l’ulteriore beffa di una apparente maggiore sostenibilità del debito per un Pil gonfiato dall’inflazione. Che contiene però in sé maggiori disuguaglianze – il Pil cresce in termini nominali, e le disuguaglianze crescono in termini reali – e per una fittizia contrazione del debito, divenuto molto più costoso per gli alti interessi da pagare sul collocamento.
L’inflazione è una pessima condizione sociale che, nell’era della nuova economia di carta, deve essere battuta però eliminando all’origine la speculazione sui prezzi che l’ha generata.