La banca olandese ING non rinuncia alle fonti fossili (compreso il carbone di Glencore)

La più grande banca fossile dei Paesi Bassi, ING, è stata invitata a porre fine ai finanziamenti per il gigante del carbone Glencore

Maurizio Bongioanni e Valentina Neri
Una foto dell'azione degli attivisti ad Amsterdam © Fossielvrij NL
Maurizio Bongioanni e Valentina Neri
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A fine 2015 la comunità internazionale, con l’Accordo di Parigi, si impegnava a contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Facendo il possibile per avvicinarsi alla soglia su cui da allora si è incentrato il dibattito istituzionale, politico e scientifico: gli 1,5 gradi. Perché ciò accada, sostiene l’Agenzia internazionale dell’energia, bisogna muoversi tutti nella stessa direzione. Anche la finanza. Entro il 2030, per ogni euro dato ai combustibili fossili, bisogna investirne 6 nelle fonti rinnovabili. È matematica. Senza i capitali, la transizione energetica non procede. Oggi, per ogni euro investito nelle fossili, alle rinnovabili vanno 20 centesimi. E ci sono banche che, nonostante tutte le promesse, sembrano non volersi svincolare dai principali responsabili della crisi climatica in corso. Stando alle organizzazioni non governative, fa parte della categoria anche ING. La maggiore banca olandese, oltre che una delle più grandi in Europa.

I finanziamenti di ING ai combustibili fossili

I numeri sono tratti da un report di Eerlijke Geldwijzer, una coalizione di ong che operano nei Paesi Bassi. Nel periodo che va dal 2016 al 2023, sei grandi banche olandesi hanno fornito 51,2 miliardi di euro – tra prestiti e sottoscrizioni – alle società dei combustibili fossili, contro i 13,6 miliardi destinati alle rinnovabili.

È inevitabile che l’attenzione ricada sulla più grande, ING. Paradossalmente, i suoi finanziamenti per le compagnie fossili sono addirittura cresciuti: da 3,1 miliardi di dollari nel 2016 a 4,1 miliardi nel 2023. Il totale è di 31,8 miliardi negli otto anni considerati. È vero che nel frattempo sono aumentati anche quelli per le energie rinnovabili, ma non abbastanza: ad oggi, sul totale dei prestiti erogati al settore dell’energia, appena un quarto va alle fonti pulite. Il famoso rapporto di 6 a 1 caldeggiato dalla IEA, di questo passo, arriverà nel 2040 e non nel 2030.

La proporzione si fa ancora più impietosa guardando non ai prestiti bensì agli investimenti: ad oggi, infatti, il 97% del totale va a petrolio, gas e carbone. Con un deciso aumento delle sottoscrizioni di obbligazioni.

Glencore continua a crescere grazie ai soldi delle banche

Un legame contro il quale da tempo si scaglia un gruppo di organizzazioni, tra cui BankTrack, ING Fossielvrij, Toxic Bonds Network e Artivist Network. A inizio settembre è apparso un messaggio proiettato sul quartier generale di ING ad Amsterdam. Con frasi come «ING, fai la cosa giusta: nega il debito a Glencore» e «orgogliosi di finanziare il carbone fino al 2050». Si tratta di una protesta simbolica contro il ruolo di ING nel supportare il colosso del carbone Glencore attraverso l’emissione di obbligazioni, per un valore complessivo di oltre 5,6 miliardi di dollari, inclusi i 3,2 miliardi raccolti nel marzo di quest’anno. Dal 2016, ING ha fornito all’azienda anglo-svizzera oltre 2,18 miliardi di dollari tramite prestiti e obbligazioni.

«Per anni, ING ha svolto il ruolo di gatekeeper (custode, apripista, ndr.) per Glencore, aiutandola a raccogliere miliardi di dollari sui mercati obbligazionari. Se ING è davvero seria riguardo alla riduzione dei finanziamenti al carbone, dovrebbe chiudere le porte a Glencore quando verrà a chiedere altri soldi», ha affermato Pieter Sellies, attivista di ING Fossielvrij.

Glencore espande le miniere di carbone, nonostante la crisi climatica

Dal 2019, quando ING ha facilitato l’emissione di un bond del valore di 660 milioni di euro, Glencore ha continuato a espandere le sue operazioni minerarie, soprattutto in Sudafrica, Australia e Canada. La strategia della compagnia va contro le sue stesse dichiarazioni di voler ridurre l’uso del carbone. Solo nel 2023, Glencore ha investito 1,32 miliardi di dollari nella fonte fossile più obsoleta e “sporca” in assoluto. Un aumento del 26% rispetto all’anno precedente e dell’83% rispetto al 2021. I piani futuri prevedono investimenti record di 5 miliardi di dollari entro il 2026 per espandere ulteriormente la produzione di carbone.

Oltre al suo impatto ambientale, Glencore continua a essere coinvolta in gravi controversie legate alla governance e ai diritti umani. Durante l’assemblea generale annuale di Glencore all’inizio di quest’anno, rappresentanti di comunità dalla Colombia, dal Perù, dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Regno Unito e dalla Svizzera hanno denunciato la compagnia per la sua eredità fatta di inquinamento, corruzione e mancanza di compensazioni alle comunità locali.

ING dice di voler azzerare i finanziamenti al carbone

ING ha dichiarato l’intenzione di ridurre a zero i finanziamenti alle compagnie minerarie di carbone entro il 2025, e di non finanziare nuove miniere di carbone metallurgico. Tuttavia, lo scorso marzo ha facilitato l’emissione di un bond da 500 milioni di euro per Glencore, che scadrà nel 2054.

Secondo Julia Hovenier, campaigner presso BankTrack, un simile comportamento è incoerente. «Aiutando le compagnie del carbone come Glencore a emettere obbligazioni che scadranno ben oltre le date concordate per la riduzione delle emissioni, ING scommette contro il nostro futuro e trae profitto dal fallimento globale nel decarbonizzare. È necessario che ING adotti immediatamente una politica per interrompere il supporto finanziario a tutte le aziende che stanno espandendo il carbone, incluso quello metallurgico».

Luci e ombre nel nuovo piano per il clima di ING

Sempre a settembre ING ha rinnovato i propri impegni per il clima. Impegnandosi, tra le altre cose, a smettere di fornire nuovi prestiti per la costruzione di terminal per l’esportazione di gas naturale liquefatto (GNL) dopo il 2025. E di mettere al bando immediatamente i finanziamenti alle aziende che si dedicano esclusivamente al settore petrolifero e del gas upstream e continuano a sviluppare nuovi giacimenti. Anche gli altri clienti dovranno mettere a punto piani di transizione climatica. In caso contrario, la banca paventa la possibilità di interrompere le relazioni commerciali con loro.

È un passo avanti? Certamente, sostiene BankTrack commentando la notizia. E sottolineando come le policy adottate dal colosso bancario olandese siano molto più avanzate rispetto a quelle della stragrande maggioranza dei suoi concorrenti. Nei fatti, però, queste regole prevedono anche vistose eccezioni. Un esempio: la maggior parte delle compagnie oil&gas non rientra nella definizione di operatori pure-play, cioè che si occupano in modo esclusivo delle fasi di ricerca, trivellazione ed estrazione (upstream, appunto). Tecnicamente, dunque, la banca può continuare a finanziarle. Proprio da un’analisi attenta di requisiti e potenziali scappatoie, BankTrack arriva a dire che «l’impatto sul mondo reale delle misure annunciate potrebbe essere limitato».