Investire nella transizione ecologica conviene, anche al Pil

Investire nella neutralità climatica e nella transizione ecologica farà crescere il Pil globale del 3% al 2050

Il motore della transizione energetica è l'energia rinnovabile © iStockPhoto

Investire nella transizione ecologica non danneggerà l’economia, ma ne stimolerà la crescita. È quanto emerge da un rapporto congiunto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp). Che smentisce chi descrive le politiche per la neutralità climatica come una minaccia per la stabilità finanziaria.

Crescita economica e aumento delle emissioni: a che punto siamo

A differenza di quanto si possa credere, l’economia globale sta compiendo progressi se consideriamo il disaccoppiamento tra crescita economica e aumento delle emissioni. Tra il 2015 e il 2022, il prodotto interno lordo (Pil) globale è cresciuto del 22%, mentre le emissioni sono aumentate solo del 7%. Sono una quarantina i Paesi che hanno aumentato il Pil riducendo al contempo le emissioni.

Tuttavia, sottolinea il rapporto Investing in Climate for
Growth and Development
, la situazione non è del tutto positiva. La concentrazione di gas serra in atmosfera continua a salire e, per la prima volta, la temperatura media globale ha superato la soglia di 1,5°C rispetto all’epoca pre-industriale. Inoltre, gli effetti dei cambiamenti climatici non sono più una minaccia futura, ma stanno già perturbando comunità, ecosistemi ed economie in tutto il mondo.

Nonostante lo scenario apocalittico, però, la transizione ecologica sta rallentando. L’incertezza economica crescente, le tensioni geopolitiche e l’aumento del debito pubblico stanno modificando le priorità, esercitando una pressione sui bilanci governativi, in particolare quelli dedicati al clima. Nonostante i nuovi piani climatici più ambiziosi – conosciuti come Nationally determined contributions (Ndc) – dovessero essere presentati entro il 10 febbraio 2025, solo 19 Paesi al mondo hanno rispettato tale scadenza. Questo rallentamento potrebbe ritardare investimenti cruciali, indebolire la resilienza economica e aumentare i danni legati ai cambiamenti climatici.

«L’incertezza delle politiche indebolisce gli investimenti e frena la crescita», scrivono gli esperti nel report Ocse/Undp. «Politiche poco chiare rischiano di ritardare gli investimenti privati e ridurre il Pil dello 0,75% entro il 2030». Le Ndc, invece, offrono stabilità normativa, dando ai mercati la fiducia necessaria per mobilitare risorse verso una crescita sostenibile. Riducendo il rischio di eventi climatici estremi, uno scenario con Ndc rafforzate potrebbe prevenire significative perdite economiche.

L’economia low-carbon è la più efficiente

L’Ocse e l’Undp ci dicono che una maggiore ambizione climatica non solo è realizzabile, ma ha anche senso dal punto di vista economico. In particolare, fissare obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni e implementare politiche efficaci potrebbe portare a un aumento del Pil globale dello 0,23% entro il 2040. Con benefici ancora maggiori nel 2050 (+3%) e nel 2100 (+13%). Le economie avanzate, inoltre, potrebbero registrare un incremento del 60% del Pil pro capite entro metà secolo, mentre nei Paesi a basso reddito la crescita potrebbe arrivare addirittura fino al 124% rispetto ai livelli del 2025.

Effetti così significativi ci sarebbero anche nel breve termine. Entro la fine del decennio, un impegno deciso nella riduzione delle emissioni potrebbe sollevare 175 milioni di persone dalla povertà. Al contrario, permettere alla crisi climatica di proseguire senza interventi rischia di ridurre un terzo del Pil globale nel corso di questo secolo. Ecco perché le Ndc del 2025 rappresentano un’opportunità mancata. 

Simon Stiell, segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), ha avvertito che, senza un’azione decisa, l’Europa subirà gravi conseguenze economiche. Entro la metà del secolo, il Pil europeo potrebbe ridursi dell’1% a causa degli eventi climatici estremi, e del 2,3% annuo entro il 2050. A differenza delle crisi economiche cicliche, questo fenomeno causerebbe una contrazione permanente. L’equivalente di vivere ogni anno una crisi come quella del 2008.

Inoltre, i dati contenuti nel rapporto ridimensionano le preoccupazioni per i costi della transizione ecologica. Nel Regno Unito, ad esempio, il passaggio a un’economia a basse emissioni costerebbe lo 0,2% del Pil annuo fino al 2050, una cifra trascurabile rispetto ai danni che la crisi climatica potrebbe infliggere. Senza contare che il finanziamento delle misure per il clima nei Paesi in via di sviluppo porterebbe benefici anche alle economie avanzate.

Investire nella transizione ecologica aumenta la resilienza

Il motore della transizione ecologica sta sicuramente nelle energie rinnovabili, con un incremento del 15% della capacità globale nel 2023, di cui due terzi provenienti dalla Cina. Tuttavia, l’industria dei combustibili fossili continua ad attrarre investimenti. Mentre il settore dell’energia pulita ha creato 1,5 milioni di nuovi posti di lavoro nel 2023, quasi un milione di impieghi sono stati generati nel comparto fossile. 

Questo dato sottolinea la necessità di politiche più efficaci per accelerare la transizione energetica e garantire una crescita sostenibile a lungo termine. Certo, i benefici delle Ndc sono evidenti, ma alcune comunità e settori avranno comunque bisogno di supporto. Senza dubbio le regioni storicamente dipendenti dalle industrie fossili dovranno compiere sforzi per adattarsi. Ma le transizioni industriali passate, come il declino del carbone in Europa o l’automazione nella manifattura, dimostrano che, con politiche adeguate, i cambiamenti possono tradursi in rinnovamento. Le Nazioni Unite non hanno dubbi: affrontare gli impatti negativi investendo in riqualificazione, diversificazione economica e politiche di transizione giusta rappresenta un’opportunità di costruire comunità più resilienti.