Dati Pil: Roma in recessione. Ma auto, Brexit e Cina allarmano tutta la UE
Istat ed Eurostat ufficializzano la recessione italiana. Ma l’aria di crisi soffia in tutta la UE. Fattori decisivi: auto e congiuntura macro
L’Italia è ufficialmente in recessione. I dati Istat resi noti oggi sono solo la conferma di un sospetto che circolava ormai da tempo. È negativa l’eredità che il 2018 lascia sull’economia del 2019:nell’ultimo trimestre dello scorso anno, il Pil ha fatto registrare un calo dello 0,2% sul trimestre precedente, anch’esso in calo dello 0,1%. Quindi, secondo le convenzioni degli economisti, con due cali consecutivi del Pil trimestrale, l’economia entra ufficialmente in recessione.
«Tale risultato negativo determina un ulteriore abbassamento del tasso di crescita tendenziale del Pil, che scende allo 0,1%, dallo 0,6% del trimestre precedente», – commentano gli analisti Istat che spiegano i dati con «un netto peggioramento della congiuntura del settore industriale a cui si aggiunge un contributo negativo del settore agricolo, a fronte di un andamento stagnante delle attività terziarie».
Eurostat sulla linea di Istat
Ma l’ufficializzazione della recessione arriva non solo dalle statistiche italiane. Anche Eurostat oggi conferma le previsioni della vigilia. E le preoccupazioni non sono solo entro i confini italiani. Roma è in recessione e su questo non c’è ormai alcun dubbio. Ma anche il Pil globale dell’Eurozona ha rallentato nel 2018, con una crescita dell’1,8%, in scia a un quarto trimestre in cui la crescita è stata dello 0,2% sul terzo, quando l’incremento era stato lo stesso. Guardando all’Ue a 28, il Pil è aumentato dell’1,9% nel 2018, mentre nel quarto trimestre l’incremento è stato dello 0,3% sui tre mesi precedenti e dell’1,5% su anno. Nelle sue ultime previsioni, l’8 novembre scorso, la Commissione europea prevedeva per il 2018 una crescita del 2,1%.
Numeri che dalle parti di Palazzo Chigi si sognano (e non da ora). Ma comunque il clima europeo non è dei migliori. Una premessa poco rassicurante a due mesi da una Brexit che sembra sempre più imminente.
Crisi tedesca
L’aria di crisi è particolarmente evidente in Germania. La locomotiva d’Europa annaspa e non è un bel segnale. A gennaio l’Ifo Export Expectations, l’indice che misura il sentiment del settore manifatturiero tedesco è crollato a quota 5.9, il valore più basso da tre anni a questa parte.
L’indicatore, elaborato dall’ifo Institut di Monaco evidenzia le aspettative negative dei comparti industriali per i prossimi mesi. E a pesare sul risultato sono soprattutto le pessime prospettive del settore automobilistico. Dal Dieselgate in avanti, è noto, sono numeri da incubo. Nel 2018 le immatricolazioni di vetture nuove in Germania sono diminuite di circa un terzo e la congiuntura negativa del mercato globale non aiuta di certo.
Recessione a 4 ruote
La crisi del mercato dell’auto rischia infatti di avere un peso enorme per l’Europa nel suo insieme. Quello degli autoveicoli è un settore strategico che, come ricorda la stessa Associazione dei produttori del Continente, contribuisce da solo al 6,8% del Pil. Ad oggi l’automotive europeo impiega 13,3 milioni di individui, pari al 6% circa della forza lavoro (ma la percentuale sale all’11,3% nel calcolo sul solo settore manifatturiero). La produzione annuale viaggia attorno ai 19,6 milioni di veicoli realizzati in 304 impianti diffusi in 27 Paesi.
La vendita delle vetture Made in UE, ricorda ancora l’associazione, genera un avanzo commerciale da circa 90 miliardi di euro e oltre 400 miliardi di entrate fiscali nei primi 15 Paesi membri dell’Unione.
Anche l’Italia tira il freno a mano
I dati sono preoccupanti anche in Italia dove le immatricolazioni del 2018 segnano un ribasso del 3,11% nel confronto con l’anno precedente. Va male, in particolar modo, FCA: -10,41% a 12 mesi.
Il fenomeno, però, è di lungo periodo. Negli ultimi dieci anni la produzione di veicoli nella Penisola si è praticamente dimezzata. Determinanti le delocalizzazioni degli impianti, gli effetti della crisi post 2008 e la generale flessione del mercato. Secondo l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, la produzione media annuale della automobili in Italia è passata da 1,1 milioni a meno di 560mila tra il decennio 1998-2007 e il periodo 2008-2017.
La Brexit fa paura
La notizia peggiore, però, è che l’Europa non ha ancora fatto i conti con la Brexit. La sempre più concreta ipotesi di uscita senza accordo da parte del Regno Unito, rilancia prepotentemente lo spettro dei dazi commerciali standard del WTO. Nei mesi scorsi, l’Institut der deutschen Wirtschaft (Istituto dell’Economia Tedesca, IW), un think tank di Colonia vicino agli industriali tedeschi, ha provato a dipingere lo scenario peggiore.
L’hard Brexit, ha denunciato a ottobre, costringerebbe la UE a imporre dazi medi del 2,8% sull’export britannico nel Continente (che vale da solo 186 miliardi di euro). Londra, per contro, risponderebbe con tariffe medie del 3,6% sui prodotti europei in entrata (294 miliardi). Morale: l’interscambio commerciale potrebbe dimezzarsi – Italia in media (-47,4%), peggio la Germania (-57,1%) – e a pagare sarebbe in primo luogo l’industria automobilistica tedesca, costretta a sobbarcarsi un quinto circa dei dazi di Londra.
Cina: ballano 260 miliardi di dollari di export europeo
L’automobile, insomma, fa da filo conduttore. E la matassa, una volta sbrogliata, porta dritto in Cina. Pechino rallenta, ed è storia nota; vuoi per la guerra commerciale con gli Stati Uniti vuoi per gli aggiustamenti fisiologici (almeno si spera) della sua economia. Ma i numeri preoccupano l’Europa, che nella seconda economia del mondo vede anche un grande mercato finale.
Nel 2018 le vendite di automobili in Cina sono diminuite (-6% circa); non accadeva da quasi trent’anni.
A dicembre, le importazioni totali del Paese (auto e non solo, per capirci) sono calate del 7,6% su base annuale. La Cina è la destinazione ultima del 3% dell’export italiano e del 6,7% di quello tedesco. Le esportazioni di prodotti europei in Cina valgono 260 miliardi di dollari.