Italo che amava l’Italia

La storia di Italo che amava l’Italia. E che ama il calcio di Yamal, Mbappé, Saka e Musiala, ma non sarà mai come loro

Una partita di calcio giovanile © Rawpixel/iStockPhoto

Italo che amava l’Italia era nato una notte di luglio del 2006. Era la notte in cui la Nazionale italiana vinceva i Mondiali di Germania. Per questo all’anagrafe i genitori dopo Italo gli diedero anche i nomi Gianluigi, Gennaro, Fabio e Grosso. Italo che amava l’Italia era troppo piccolo all’epoca per ricordarsi gli Europei del 2008 in cui fummo umiliati dalla Spagna. O i Mondiali di Sudafrica 2010 in cui non riuscimmo nemmeno a superare un girone facilissimo. I suoi primi ricordi della Nazionale italiana risalgono agli Europei del 2012, quando arrivammo in finale avanti grazie ai gol dell’altrimenti detestato e vituperato Mario Balotelli. Anche se poi pure lì fummo umiliati dalla Spagna.

Nonostante questo però, Italo che amava l’Italia decise che il pallone era la sua grande passione. Anche perché era piuttosto bravo a giocare, uno dei migliori della sua età. Aspettava quindi fiducioso di vedere gli azzurri al Mondiale del 2014. Ma anche lì l’Italia non riuscì nemmeno a passare i gironi. In quasi dieci anni di vita, a Italo che amava l’Italia era stata quindi preclusa la possibilità di vedere la Nazionale italiana in una partita a eliminazione diretta di un Mondiale. Quelle partite da dentro e fuori che segnano la storia del calcio. Ma Italo che amava l’Italia non sapeva che il peggio doveva ancora venire. Non avrebbe più visto l’Italia giocare ai Mondiali.

Italo che amava l’Italia nonostante le umiliazioni della Nazionale

Nella sua adolescenza, mentre la sua bravura come calciatore si estendeva oltre i confini regionali, le cose continuarono infatti a peggiorare. Dopo Paraguay, Nuova Zelanda, Costa Rica e Slovacchia, Italo che amava l’Italia avrebbe infatti visto la nazionale Italiana umiliata da Svezia, Svizzera, Irlanda del Nord e Macedonia del Nord. Incapace addirittura di qualificarsi ai Mondiali 2018 e 2022. Certo, dopo la pandemia avrebbe visto gli azzurri vincere gli Europei. Ma l’immagine simbolo di quella competizione era la foto di un vecchio difensore italiano che strattonava un giovane attaccante inglese. Nulla a che vedere con i video che si scambiava con gli amici sulle magie dei giovani calciatori europei delle altre squadre.

E nonostante la Serie A sia così noiosa che pure i tifosi si dedicano ad altro

Anche perché nemmeno a livello di club il calcio italiano aveva fatto granché dalla sera di luglio in cui nacque Italo che amava l’Italia, e che per questo si dovette accollare anche i nomi di Gianluigi, Gennaro, Fabio e Grosso. Giusto una Champions con il Milan nel 2007 e una con l’Inter nel 2010. Poi il nulla assoluto. Nel deserto che seguì, solo un’Europa League dell’Atalanta, che sembrava però una di quelle imprese isolate di chi regala la prima e unica competizione continentale della storia ai loro piccoli Paesi. E anche all’interno del Paese le cose nel calcio non andavano meglio. Tra scandali, scommesse, corruzioni, inchieste, fallimenti, il calcio italiano era precipitato nel sottoscala della storia.

Le partite della Serie A erano talmente noiose che all’estero le televisioni neppure compravano i diritti per trasmetterle. I suoi giocatori così scarsi che nessuna grande squadra europea li voleva. I suoi dirigenti così inadeguati che le squadre italiane erano le più indebitate di tutta Europa. Gli stadi così fatiscenti e i biglietti così costosi che pure i tifosi avevano cominciato a dedicarsi ad altro, tipo commerciare in panini o in parcheggi. O a spararsi addosso l’uno con l’altro. Eppure a leggere i giornali e a guardare le televisioni sembrava che il calcio italiano fosse sempre il migliore del mondo.

Italo che amava l’Italia è uno straniero nella sua Nazione

Ma nel 2025, come tutti i ragazzini appena maggiorenni, Italo che amava l’Italia non leggeva i giornali e non guardava le televisioni. Le sue fonti d’informazione erano la rete globale e orizzontale delle sue connessioni. Per questo sapeva benissimo che la Nazionale italiana avrebbe faticato a qualificarsi anche per i Mondiali del 2026, nonostante le squadre partecipanti sarebbero passate da 32 a 48. E lo sapeva non tanto perché conoscesse le statiche di ogni attaccante della Norvegia. Ma perché conosceva le statistiche dell’Istat e sapeva di vivere in un Paese vecchio e stanco, di cui la Nazionale era specchio. Un Paese dove gli stipendi erano tra i più bassi di Europa, il lavoro tra i più precari e meno qualificati, la sanità pubblica distrutta, l’istruzione calpestata. E i diritti quasi nulli.

Così nel 2025 Italo che amava l’Italia continuava ad amare il calcio, e a guardare in rete in video di Yamal, Mbappé, Saka, Musiala. Anche se forse non avrebbe mai visto l’Italia ai Mondiali. Ma quello che lo intristiva di più era che lui, il cui talento calcistico era oramai riconosciuto a livello nazionale, per l’Italia che pure amava non avrebbe mai potuto giocare. Perché quella sera di luglio del 2006 era nato in Italia da genitori provenienti dalla diaspora africana. E per questo, fino al giorno in cui era diventato maggiorenne, non era mai stato considerato un cittadino italiano. Perché a differenza di Yamal, Mbappé, Saka, Musiala e tutti altri fenomeni del calcio europeo, nati nei loro Paesi da genitori stranieri e subito diventati cittadini, Italo che amava l’Italia pur essendo nato nel suo Paese era sempre stato uno straniero.

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