Addio alla Juventus, ultima dinastia del capitalismo familiare italiano

La Juventus, prima ridimensionata e poi probabilmente venduta, ci dice che si è conclusa l’era degli Agnelli e degli Elkann

Dopo oltre un secolo la Juventus si ridimensiona © Wikimedia Commons

Il crollo degli antichi imperi era annunciato dagli oracoli. Quello della monarchia britannica lo sarà dalla scomparsa dei corvi nella Tower of London. La fine delle dinastie familiari del capitalismo italiano, invece, spesso è profetizzata dalle squadre di calcio. All’inizio del millennio i fallimenti o i ridimensionamenti di Lazio, Roma, Parma e Fiorentina annunciavano il crollo di Cirio, Italpetroli, Parmalat e Cecchi Gori Group. Le squadre poi furono vendute. Negli anni Dieci le insistenti voci sulla vendita del Milan, poi avvenuta, raccontavano la fine del potere assoluto di Silvio Berlusconi prima dell’austerity, delle sentenze e delle cene eleganti. Oggi quanto sta succedendo alla Juventus apre a nuovi orizzonti sul destino degli Agnelli e degli Elkann.

Quest’anno la Juventus chiuderà il bilancio 2023/24 con un rosso di circa 200 milioni di euro. Con un fatturato di esercizio di circa 420 milioni, un quinto in meno rispetto ai 507 milioni del 2022/23. E debiti complessivi per oltre 700 milioni, di cui almeno 300 milioni di natura finanziaria, i più pericolosi. Inoltre, questo bilancio disastroso per il club bianconero diventerà il settimo bilancio consecutivo in perdita dopo i 123 milioni di rosso nel 2022/23. I 239,3 milioni nel 2021/22. I 209,9 milioni nel 2020/21. Gli 89,7 milioni nel 2019/20. I 39,8 milioni nel 2018/19 e i 19,2 milioni nel 2017/18. E tutto ciò nonostante, solo negli ultimi quattro anni, la holding di famiglia Exor abbia approvato tre aumenti di capitale per la Juve da quasi 1 miliardo di euro.

Exor è quasi solo finanza. Niente più auto, libri e fogli di giornale

La dismissione del Milan avvenne con una serie di cambi di allenatori. Una girandola che seguiva i lunghi regni di Sacchi, Capello e Ancelotti e gli interregni di Zaccheroni e Allegri. Dei dirigenti, la figlia Barbara e curiosi professionisti stranieri che in pratica estromisero la storica diarchia Galliani Braida. E dei calciatori che avevano fatto grande il Milan. A guardare la Juventus sta succedendo lo stesso. Prima l’addio forzato dell’ultimo Agnelli (Andrea), giusto in tempo per non fargli celebrare il centenario della famiglia a capo della Juventus. Con lui via i suoi storici collaboratori e dentro Giuntoli. Poi la risoluzione del contratto con Allegri e l’addio di una serie di campioni o presunti tali in operazioni di mercato più finanziarie che calcistiche, vedi Douglas Luiz. E le voci sempre più insistenti di una vendita dell’intero pacchetto azionario del club.

La famiglia Agnelli Elkann sta prendendo le distanze anche dai giornali, con Scanavino che ha sostituito John Elkann alla presidenza di Gedi e Orfeo al posto di Molinari alla guida di La Repubblica. A breve Tavares lascerà la guida di Stellantis. A certificare la crisi del comparto auto, acuito dalle sbagliatissime previsioni di Marchionne sul motore elettrico. Ecco il cambio di paradigma nella parabola della famiglia che ha segnato il capitalismo italiano dal fascismo a oggi. Niente più economia. Leggi fabbriche e automobili: oggi gli ex impianti Fiat producono circa 300mila auto in confronto agli oltre due milioni degli anni Novanta. E tanta finanza. Exor è una holding di passaporto olandese e che da un anno ha una sua società patrimoniale di investimenti. Si chiama Lingotto. E il nome è proprio quello della prima, storica, fabbrica di automobili. Ma Exor, proprietaria del 68% della Juve, al contrario del calcio, delle auto e dei giornali, invece va benissimo.

La parabola della Juventus ha molte similitudini con quella del Milan

La holding della famiglia Elkann Agnelli ha chiuso il primo semestre del 2024 con un utile di 14,7 miliardi di euro. Nello stesso periodo del 2023 era stato di 2,2 miliardi. E il debito netto è a giugno 2024 di 3,7 miliardi di euro, in diminuzione rispetto ai 4 miliardi dello scorso anno. Questo è possibile perché Exor è una società che opera oramai quasi esclusivamente in ambito finanziario e, infatti, i suoi utili – oltre che da quelle aziende che vanno alla grande – arrivano principalmente dagli investimenti. O da operazioni come il buyback. Exor, come dicevamo, ha circa il 70% delle azioni delle Juve. Il restante 10% è del fondo Lindsell Train, che è secondo azionista anche del Manchester United e del Celtic Glasgow. Quello che avanza è capitale diffuso, essendo la Juve quotata in Borsa.

I pesanti conti in rosso della Juve cominciano a diventare un peso di cui liberarsi. Ecco perché l’arrivo di Giuntoli e una politica tesa a risanare i conti. Tutto lascia immaginare che sia un preludio alla vendita del club. Anche perché le similitudini con la fine dell’impero berlusconiano non finiscono qui. Allora, poco prima della vendita del Milan ci fu la sentenza sul Lodo Mondadori, con B. che fu costretto a pagare circa 450 milioni a De Benedetti. L’altro giorno la Procura di Torino ha disposto il sequestro di 75 milioni per i tre fratelli Elkann e per il presidente della Juve Ferrero per «frode fiscale» e «truffa in danno dello Stato». Il tutto dentro la complessa indagine sull’eredità di famiglia che li vede contrapposti alla madre, e che promette altri fuochi di artificio. Così, a volte, finiscono le dinastie del capitalismo familiare italiano. E ad annunciarlo sono le squadre di calcio.