La Juventus, Philip K. Dick e il futuro del pianeta calcio

La Juve è una società modello perché tutto il calcio italiano si comporta così, dalla Serie A ai dilettanti

© Paola C/Flickr

Lo avevamo scritto settimana scorsa. «Non serve andare né a Doha né in Danimarca, per trovare sospetti di marcio del pallone. Basta rimanere a Torino». Non perché a Valori si assumano sostanze psicotrope che aprono squarci sul futuro come faceva Philip K. Dick. Più prosaicamente perché se la Consob (l’autorità indipendente che si occupa delle società quotate in Borsa) ti contesta i bilanci degli ultimi tre anni e ti impone di riscriverli, e tu sei costretto a rinviare di mese in mese l’assemblea degli azionisti, è ovvio che qualcosa sta succedendo. E infatti è successo. Si è dimesso l’intero Cda della Juventus, è finita la presidenza di Andrea Agnelli dopo dodici anni e diciannove trofei. Ma questo poi lo hanno scritto tutti. È sulle prime pagine di tutti i quotidiani, è in apertura di tutti i telegiornali.

Non sappiamo cosa succederà alla Juve e alla famiglia Agnelli, e non ci interessa. Anche se lo avevamo già immaginato un anno fa cosa sarebbe successo. E anche qui non c’entra Philip K. Dick. Non sappiamo se in primavera il club festeggerà il centenario della proprietà degli Agnelli (il primo fu Edoardo Agnelli, figlio del senatore fascista Giovanni Agnelli, che ne assunse la presidenza nel 1923) con a capo un Agnelli, un Elkann o un Bin Salman. Questo lo leggeremo su altri giornali. A noi però, interessa proprio cosa scrivono gli altri. Perché è il modo migliore per capire cosa non succederà. Si è già capito infatti che non succederà nulla, non si risolverà nulla, non cambierà nulla. E questo forse è molto dickiano.

Le dimissioni del Cda servono infatti anche a evitare che la procura di Torino ravvisi la possibilità di reiterare il reato, e quindi intervenga subito con provvedimenti giudiziari. Mentre la procura della Figc aveva già chiuso le sue indagini, sostenendo che «non è possibile stabilire il valore di un calciatore», quindi le plusvalenze non sono un reato sportivo. Quindi baci e abbracci. Ora sarà costretta a riaprire il fascicolo, ma poi abbraccerà tutti di nuovo. Sono buoni lì, hanno bisogno di affetto, abbracciano tutti. E comunque, questo va detto, per adesso sono tutti innocenti. Quindi staremo a vedere se e quando succederà qualcosa dal punto di vista sportivo e penale, ma non è questo che ci interessa.

Ci interessa però leggere, dicevamo, che il problema è stato l’acquisto di Cristiano Ronaldo, o il Covid-19, o le due finali di Champions League raggiunte, o l’addio di Marotta, o Nedved che ha bevuto troppo, o Ramsey che ha giocato peggio di quel che si credeva. Per chi scrive di calcio il problema è stato quindi qualcosa d’interno alla Juve, per anni descritta come società modello. Fino a quando il giocattolo si è rotto. Una macchina perfetta, finché un piccolo ingranaggio non l’ha inceppata. Adesso non è più una società modello, ma tranquilli arriva John Elkan – a capo di un fondo che fa profitti in Italia, riceve aiuti statali in Italia e poi non paga le tasse in Italia perché è registrato in Olanda – e mette tutto a posto. E la Juve tornerà una società modello.

Questo è il punto. La Juve è una società modello proprio ora. Ora che la Consob la obbliga a riscrivere i bilanci. Ora che la procura di Torino la accusa di “falso in bilancio” e “plusvalenze fittizie”, “false comunicazioni di una società quotata”, “false comunicazioni rivolte al mercato” e “ostacolo all’esercizio delle autorità di pubblica vigilanza”, “aggiotaggio” e “emissioni di fatture per operazioni inesistenti”. La Juve è una società modello perché tutto il calcio italiano si comporta così, dalla Serie A ai dilettanti. La Juve è la stella polare, l’apice e la sublimazione di un mondo devastato, che vive di trucchi, escamotage e maquillage contabili. Da sempre.

Non da quando è arrivato Ronaldo o da quando se ne è andato Marotta. E soprattutto non è solo a Torino. Come Calciopoli non era un problema solo della Juve, così non lo sono le plusvalenze fittizie e i bilanci taroccati. Il problema è il sistema calcio, è la mancanza dei controlli, è la connivenza della politica sportiva (Figc e Coni) e di quella governativa (di qualsiasi colore sia la maggioranza). Il calcio italiano è un’enorme lavanderia a cielo aperto, dove ogni giorno falliscono squadre e scompaiono persone, salvo tornare l’anno dopo pulite e profumate, come se nulla fosse successo. Come fosse tutta colpa dell’arrivo di Ronaldo, o dell’addio di Marotta. Come se fossimo in un libro di Philip K. Dick, dove è tutta colpa del Qatar, che forse ha corrotto per avere i Mondiali. E rovinare così il gioco più bello del mondo.